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Reportage
21 agosto 2016 - Il Fatto - Libia - Il Giornale
Sui muri di Sirte minacce Isis “A Roma col volere di Allah”
La cannonata ha aperto un buco nero sul muro esterno. A fianco è rimasta ben visibile la scimitarra disegnata con una bomboletta di vernice nera, la scritta in arabo «questa è la via per Roma» ed una grande freccia verso il mare Mediterraneo, a soli cento metri. Una scritta inequivocabile sulle mire del Califfato. I combattenti di Misurata ci hanno portato sulla costa di Sirte liberata dalle bandiere nere. Non c'è anima viva, ma solo morte e distruzione. La cannonata ha distrutto il resto dello slogan del Califfo: «Lo Stato islamico è qui per rimanere ed espandersi - verso Roma - con la volontà di Allah».
L'edificio giallo sovrastato da una torre, poco distante dal bagnasciuga, sarebbe stato utilizzato dalle bandiere nere come posto di comando e controllo navale. Non è molto grande, ma a fianco c'è un altro edificio simile abbandonato durante la battaglia per la liberazione di Sirte. Probabilmente era un posto di guardia ai tempi del colonnello Gheddafi. Tutto attorno si estendono delle villette basse e allineate, che la famiglia e gli ospiti del colonnello utilizzavano come resort sulla spiaggia sabbiosa. Prima della ritirata verso i quartieri residenziali del centro città erano le dimore dei volontari della guerra santa, che hanno trasformato Sirte in una roccaforte.
All'interno del covo dello Stato islamico c'è il caos. I tagliagole in fuga hanno abbandonato giubbotto e vestiti nella polvere. Sulle pareti interne ci sono altre scritte che inneggiano al Califfato. Pochi mobili, mezzi distrutti e schedari completamente svuotati dimostrano che si trattava di una specie di ufficio. Fra le carte abbandonate il Giornale trova del materiale, che dimostra la presenza degli jihadisti stranieri nei ranghi dello Stato islamico. Una ricevuta del ministero degli Esteri di Khartoum per del denaro versato forse per un visto o un permesso. Dal Sudan sono arrivate legioni di volontari a dar man forte alla brigata internazionale del Califfo ancora annidata a Sirte con 300 uomini che combatteranno fino alla morte. Fra i resti del covo delle bandiere nere troviamo anche una moneta tunisina di 100 dinari. Diversi comandanti dell'ultima ridotta dello Stato islamico in città sono originari della Tunisia. Fino a marzo era stato segnalato a Sirte Moez Fezzani, nome di battaglia Abu Nassim, uno dei capi tunisini delle bandiere nere in Libia ricercato dall'Italia, che ha vissuto a lungo nel nostro Paese. «Una famiglia libica scappata un mese fa raggiungendo le nostre linee ci ha informato che l'emiro alla guida di questi fanatici è un tunisino» racconta Usama Farkoun della brigata di Misurata. La sua unità è in prima linea sul lungomare di Sirte nel quartiere 2, dove i palazzi sono ridotti ad un groviera dalla furia dei combattimenti.
Uno dei documenti più interessanti nel posto di comando dello Stato islamico è un pieghevole con le tabelle di tiro dei colpi di mortaio da 60 millimetri. Le istruzioni per utilizzare le granate non sono scritte in arabo, ma in inglese, francese e spagnolo. La fornitura originaria del munizionamento doveva essere occidentale e la tabella poteva venir letta solo da chi conosce queste lingue europee.
«Un kamikaze eliminato prima che si facesse esplodere aveva scritto sul giubbotto minato Abu Jaffar il senegalese - spiega Farkoun in sandali e polo mimetica - Dai cadaveri abbiamo riconosciuto uomini del Daesh arrivati dal Ghana, dall'Egitto e dalla Tunisia, ma pensiamo che possa esserci anche qualche europeo». Nessuno fornisce uno straccio di prova che confermi la presenza di combattenti di casa nostra con le bandiere nere, ma fino a giugno avevano a disposizione un porto sul Mediterraneo dove era facile arrivare via mare o partire con i barconi verso il vecchio continente.
All'esterno dell'edificio giallo che ancora indica «la via per Roma», con tanto di scimitarra, sono sparsi bossoli di mitragliatrice pesante. I muri sono sbrecciati dalle cannonate o bucherellati dalle raffiche. Le bandiere nere avevano tracciato con lo spray nero dei bersagli forse per addestrare a sparare le reclute o i bambini soldato che usano su tutti i fronti. Il Mediterraneo brilla sotto il sole davanti al posto di controllo abbandonato. L'Italia è a soli 400 chilometri in linea d'aria dall'ultima ridotta delle bandiere nere.
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[continua]

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05 aprile 2011 | TG4 | reportage
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21 marzo 2011 | Studio Aperto | reportage
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16 giugno 2011 | Matrix | reportage
La "guerra" degli italiani nel golfo della Sirte
Da tre mesi l’Italia è in prima linea, in mezzo al mare, di fronte alle coste libiche. Assieme agli alleati della Nato ci siamo impegnati a difendere, con le bombe, i civili e la fetta di Libia che si è ribellata al colonnello Gheddafi. L’ammiraglia della flotta occidentale nel golfo della Sirte è la portaerei Garibaldi. La tv di Tripoli accusa la Nato di bombardare i civili, ma i piloti italiani hanno ordini draconiani: possono colpire solo obiettivi militari che si trovano al di fuori dalle zone abitate per evitare vittime innocenti. Le 19 navi della Nato al largo della Libia, sotto il comando della Garibaldi, garantiscono l’embargo contro il regime del colonnello. I fanti di marina del reggimento San Marco si calano dagli elicotteri per ispezionare i mercantili e controllare che non trasportino armi. Come rappresaglia alle bombe Tripoli ha spalancato le porte agli immigrati clandestini che partono dalla Libia occidentale. A bordo della Garibaldi vivono 800 marinai comprese 62 donne, che si ritrovano nelle mensa dell’equipaggio. Ma hanno pochi momenti di svago, a parte qualche partita a biliardino ed una palestra ricavata negli spazi angusti della nave. A dare conforto ai giovani di 20 anni e ai veterani delle missioni in mare ci pensa don Vincenzo Caiazzo, che parla dei marinai e della portaerei come se fosse una parrocchia In mezzo al mare la guerra in Libia sembra invisibile e lontana, ma nella Centrale operativa di combattimento, cuore pulsante della Garibaldi, non si dorme mai, come il sottotenente di vascello Chiara Camaioni, 24 anni, di Ortona.

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29 aprile 2011 | Spazio Radio | intervento
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Piegare Gheddafi e preparare l'intervento terrestre
Gli americani spingono con insistenza per un maggiore coinvolgimento dell’Italia nel conflitto in Libia, non solo per passare il cerino politico agli europei. L’obiettivo finale è piegare il colonnello Gheddafi e far sbarcare una forza di interposizione in Libia, con ampia partecipazione italiana. Un modello stile ex Yugoslavia, dove il contingente occidentale è arrivato dopo l’offensiva aerea.

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18 marzo 2011 | Radio Capodistria | intervento
Libia
IL vaso di pandora
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26 aprile 2011 | Radio 101 | intervento
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Con Luxuria bomba e non bomba
Il governo italiano, dopo una telefonata fra il presidente americano Barack Obama ed il premier Silvio Berlusconi, annuncia che cominciamo a colpire nuovi obiettivi di Gheddafi. I giornali titolano: "Bombardiamo la Libia". E prima cosa facevamo? Scherzavamo con 160 missioni aeree dal 17 marzo?

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08 marzo 2011 | Panorama | intervento
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02 marzo 2011 | Panorama | intervento
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