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Reportage
04 settembre 2016 - Sito - Libia - Il Giornale
Tank, cecchini e kamikaze: la battaglia di Sirte continua

SIRTE – Il combattente di mezza età, che ci appare davanti sembra uno spettro. Dal buco di proiettile nella gola il sangue  zampilla come una fontana. Si tiene ancora in piedi, ma barcolla. E’ stato appena colpito. Per un attimo i nostri sguardi si incrociano. Sembra chiedermi aiuto, ma sono impietrito. Prima che crolli altri combattenti lo sorreggano per trascinarlo all’ambulanza. La mimetica è inzuppata di sangue. E mentre lo caricano sulla barella l’autista urla all’infermiere nel retro “ferma l’emorragia, ferma l’emorragia”.

La battaglia per la liberazione del quartiere 1 sul lungomare di Sirte è dura e senza pietà. I vecchi carri armati di fabbricazione sovietica aprono la strada alle katibe, i reparti libici che combattono lo Stato islamico. Il primo tank è piazzato in mezzo ad un incrocio ad un centinaio di metri da una moschea bucherellata dai proiettili. Il cannone si alza lentamente per vomitare una valanga di fuoco. Un boato pazzesco si mescola ad una vampata rossastra. Poi il carro viene avvolto da una nuvola di fumo provocata dalla granata che parte verso le postazioni delle bandiere nere.

I combattenti avanzano appiattiti ai muri di cinta della zona residenziale e noi dietro, con un fuoco d’inferno da tutte le parti che rende impossibile capire chi spara a chi. Per passare da un edificio ad un altro evitando di finire nel mirino dei cecchini i libici più nerboruti portano delle mazze ,che servono a sfondare i muri. Bisogna “scalare” le pareti più alte con mezzi di fortuna. Un libico anti Isis, che parla inglese, ci porta a vedere, orgoglioso, il cadavere semi carbonizzato di un miliziano del Califfo. “Forse viene dal Chad. Questa è la fine che fanno i seguaci di Daesh (Stato islamico nda). Non permettiamo a nessuno di occupare la nostra terra” spiega Mohammed, che parla bene inglese.

Ad ogni cannonata i combattenti libici di Misurata, alleati del governo di unità nazionale, urlano “Allah o akbar”, Dio è grande. Durante uno di questi show, la vampata improvvisa e rossastra di un’esplosione ci ricorda che la battaglia non è finita. Un kamikaze si è fatto saltare in aria con una macchina minata. Il sangue schizza fino sul soffitto del rudere che ci protegge. E dei brandelli umani del suicida ci piombano sulla testa. I carri armati sulla strada, che erano l’obiettivo del kamikaze, sono intatti. I miliziani dello Stato islamico continuano a bersagliarli, inutilmente, con il fuoco di armi leggere. I proiettili sollevano sbuffi di fumo grigio, ma neppure scalfiscono la corazza.

  

 

Dal palazzo in prima linea i combattenti libici sparano con tutto quello che hanno verso le case ancora occupate dalla bandiere nere infilando le armi nelle inferriate delle finestre. La zona residenziale è ridotta ad uno scheletro di cemento annerito e fumante dagli aspri scontri. Dopo 5 ore di battaglia torniamo indietro, ma uscire dal fronte non è facile. Un pick up stracolmo di giovani combattenti, che dovrebbe aprirci la strada si infila in un viale battuto dai cecchini. Un proiettile si infila da dietro nella nostra ruota di scorta, ma con un’accelerata siamo in salvo.

[continua]

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07 aprile 2011 | TG5 | reportage
Diario dalla Libia in fiamme
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01 luglio 2019 | TG4 | reportage
#IoNonStoConCarola
“Io non sto con Carola”, la capitana trasformata in eroina per avere violato la legge. E bisognerebbe dirlo forte e chiaro per rompere questa illusione di solidarietà maggioritaria pompata ad arte dalla sinistra, da Ong talebane dell’accoglienza, una bella fetta dela Chiesa e dai pezzi da novanta del facile buonismo radical chic come Saviano, Fazio, Lerner e Murgia. Per non parlare del governo tedesco e francese, che con una faccia di bronzo unica, ci fa la morale sulla capitana. Ovviamente è passato sotto silenzio un sondaggio del 27 giugno su Rai3, non proprio una rete mangia migranti, che svelava come il 61% degli italiani fosse contrario all’attracco della nave Sea watch a Lampedusa, ancora prima dell’epilogo forzato deciso dalla capitana. Se al volante della tua automobile trovi lungo la strada un carabiniere con la paletta che intima l’alt, cosa fai? Accosti e non sfondi il posto di blocco. Se speroni la macchina dell’Arma vieni rincorso armi in pugno e ti arrestano, ancor più se a bordo hai dei clandestini. E nessuno si sognerebbe di alzare un dito in tua difesa con pelose giustificazioni umanitarie. Carola Rackete ha sfondato il blocco ordinato dal Viminale, violato la legge, speronato una motovedetta mettendo in pericolo la vita dei finanzieri a bordo e la stanno trasformando in un’eroina dei due mondi. Non solo: da oggi potrebbe essere libera e bella. Un mondo alla rovescia dove le Ong si sostituiscono agli stati e fanno quello che vogliono calpestando la sovranità nazionale del nostro paese. Per non parlare del paradosso che Sea watch, grazie al polverone sollevato, ha pure incassato oltre un milione di euro con raccolte fondi in Germania e in Italia per la difesa dell’eroina dei due mondi. Carola ha agito in stato di necessità per “salvare vite umane” sostegno i suoi fan. Ma se vogliamo salvare veramente i migranti in Libia, a cominciare da quelli rinchiusi nei centri di detenzione, dobbiamo continuare a riportarli a casa loro come sta facendo a rilento e fra mille difficoltà una delle agenzie dell’Onu, difficile da paragonare a SS moderne. E non andarli a prendere al largo della Libia come ha fatto la capitana, che rimane indagata per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E piuttosto che sbarcarli in Tunisia il posto più vicino a sicuro li ha portati dritta, dritta in Italia per creare un caso politico usando come paravento “le vite salvate in mare” La dimostrazione è la pattuglia di parlamentari di sinistra salita a bordo in favore di telecamere. L’obiettivo finale dei talebani dell’accoglienza è tornare a spalancare le porte dell’Europa agli sbarchi di massa del passato con 170mila arrivi all’anno in Italia Non si tratta di parteggiare per Salvini o il governo, ma di smetterla di farci prendere in giro trasformando la capitana che ha violato scientemente la legge in un’eroina. Per questo gli italiani, primi fra tutti i moderati dotati di buon senso, dovrebbero dire forte e chiaro “io non sto con Carola”.

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