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Articolo
23 dicembre 2016 - Controstorie - Mondo - Il Giornale |
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Le guerre che non fanno notizia continuano a mietere vittime |
Fausto Biloslavo Dalla guerra che non fa notizia nello Yemen alla carneficina nel Sud Sudan fino all\'Afghanistan, la Somalia e il Donbass, nel cuore dell\'Europa, non sono pochi i conflitti che abbiamo volutamente dimenticato. Un silenzio tombale dettato da motivazioni politiche, sdegno a senso unico in nome di un falso buonismo o semplice disinteresse. LO YEMEN NON FA NOTIZIA La pietà dell\'Occidente, che si riflette su giornaloni e tv, talvolta è spudoratamente a senso unico. La tragedia di Aleppo riaffiora sempre in prima pagina, ma la feroce guerra dei sauditi nello Yemen non fa notizia. Dal marzo dello scorso anno, con l\'inizio della campagna saudita contro i ribelli Houti spalleggiati dall\'Iran, sono morti 12mila yemeniti. Gli sfollati sono più di tre milioni e metà della popolazione sopravvive grazie agli aiuti umanitari. La guerra censurata nello Yemen è un fronte dello scontro più ampio fra gli sciiti filo iraniani e i sunniti sponsorizzati dalla monarchia di Riad. Solo le Ong, come Medici senza frontiere, denunciano i crimini di ambo le parti nel disinteresse generale. Lo Yemen non vale i fiumi di lacrime da coccodrillo versate per la Siria nonostante vengano colpiti in egual maniera ospedali e funerali; dei 500 feriti curati solo in un mese a Taiz il 23% erano donne e bambini. Anche se la guerra è volutamente dimenticata, l\'importanza strategica dello Yemen non sfugge ad Al Qaida e allo Stato islamico, che si contendono il primato di attacchi kamikaze. SOMALIA, CAOS DIMENTICATO Il 29 dicembre, la Somalia dovrebbe avere un presidente, (...) (...) dopo tre rinvii e decadi di guerra civile e anarchia. A patto che gli Al Shabab, i talebani del Corno d\'Africa, non lo facciano saltare subito per aria. Nelle ultime settimane i loro «martiri» hanno colpito ripetutamente, nel cuore di Mogadiscio, al volante di macchine minate. L\'attacco suicida più sanguinoso è avvenuto all\'ingresso del porto con un furgone bomba che ha ammazzato 29 civili e ferito cinquanta persone. Nessuno ne ha parlato nonostante le vittime siano quasi tre volte superiori alla strage del mercatino di Natale a Berlino. Nell\'aeroporto della capitale somala hanno la loro base 110 paracadutisti italiani al comando del generale Maurizio Morena. L\'Italia guida la missione di addestramento europea dello scassato esercito somalo, ma anche l\'impegno nazionale interessa poco. Pure la guerra dei trecento uomini dei corpi speciali americani con l\'appoggio di droni e caccia bombardieri viene combattuta in silenzio. Gli specialisti del Navy Seal team 6 affiancano le truppe dell\'Unione africana e quelle somale nella caccia ai terroristi. Quest\'anno le operazioni Usa sono aumentate a 5-6 raid al mese. La minaccia è diventata duplice: da una parte il grosso degli Al Shabab legati ad Al Qaida a dall\'altra una fetta impazzita che ha giurato fedeltà al Califfato. I 21mila soldati dell\'Unione africana avrebbero bisogno del doppio degli uomini per spazzare via definitivamente i militanti islamici annidati soprattutto sulle coste. Nel nord, le forze della regione semi autonoma del Puntland hanno scalzato le bandiere nere dalla città portuale di Qandala. Però il loro capo, Abdiqadir Mumin, non si arrende e sogna che la Somalia diventi una provincia del Califfato. SILENZIO SUI CRIMINI IN BIRMANIA Vi ricordate l\'eroina birmana, Aung San Suu Kyi? Il premio Nobel per la pace, simbolo della resistenza democratica al regime dei generali ha finalmente preso il potere nel Myanmar. E cinque mesi dopo le associazioni dei diritti umani, che l\'hanno sempre difesa a spada tratta, l\'accusano di chiudere un occhio sulla «pulizia etnica» in corso nell\'ovest del paese ai danni dei Rohingya, una semi sconosciuta minoranza musulmana. Human Rights Watch ha presentato come prove delle immagini satellitari, che dimostrano come i militari abbiano raso al suolo i villaggi degli islamici. Orribili testimonianze parlano di stupri di gruppo della soldataglia birmana, torture ed esecuzioni sommarie. Il governo di Aung San Suu Kyi prima ha taciuto e poi ha smentito con stizza, ma la zona è off limits per giornalisti e osservatori dei diritti umani. Dal 9 ottobre al 2 dicembre 21mila musulmani sono fuggiti davanti «al genocidio», come ha denunciato Najib Razak, primo ministro malese. I Rohingya sono appena 800mila e non hanno diritto alla cittadinanza su una popolazione di 50 milioni di birmani con minoranze di vario genere, anche cristiane. Dal 2012 almeno centomila persone sono state cacciate dalle loro case e costrette a vivere in squallidi campi presidiati dalla polizia. Se fosse capitato in Siria per mano di Assad, i giornali di tutto il mondo avrebbero denunciato l\'ennesimo orrore in prima pagina, ma dei crimini della lontana Birmania, con il nuovo corso dell\'eroina dei diritti umani, non si parla. SUD SUDAN, L\'ORRORE SCONOSCIUTO L\'ultimo paese diventato indipendente, appena cinque anni fa, è sprofondato in una paurosa guerra civile. Il Sud Sudan è dilaniato dallo scontro politico ed etnico fra il presidente, Salva Kiir e il suo ex vice, Riek Machar. I due leader rappresentano le diverse anime del Movimento per la liberazione del popolo sudanese, che ha portato alla nascita del nuovo stato dopo decenni di lotte contro gli arabi del nord. Ribelli e governativi si sono macchiati di atrocità nei confronti dei civili. In novembre è stato denunciato l\'ultimo massacro. Un convoglio di auto di civili in fuga dalla città di Yei, nel sud del paese, è stato attaccato dai ribelli. Non solo hanno aperto il fuoco senza pietà, ma dato alle fiamme un camion bruciando vivi gli sfollati. Dall\'altra parte della barricata le forze governative vengono accusate di stupri, arresti arbitrari e sparizioni. Una pagina di orrore silenziata dai grandi media. In ottobre 3.500 persone al giorno scappavano dalle loro case per evitare di venire massacrate. Dall\'inizio del conflitto, tre anni fa, sono stati reclutati a forza 17mila bambini soldato, da tutti e due i contendenti, ma l\'Africa rosso sangue non fa notizia. Il generale keniota Johnson Mogoa Kimani Ondieki, che comandava un esiguo contingente dell\'Onu, è stato silurato per non avere protetto i civili durante i combattimenti esplosi questa estate a Giuba, la capitale. Il 15 dicembre sono arrivati 250 militari giapponesi. Per la prima volta dalla seconda guerra mondiale i soldati del Sole levante vengono impiegati all\'estero con l\'ordine di usare le armi per difendere i civili. Purtroppo, però, Adama Dieng, consigliere speciale delle Nazioni Unite, ammette che «l\'Onu non dispone dei mezzi adeguati per fermare le atrocità di massa». GUERRA SCORDATA IN AFGHANISTAN Dopo quindici anni di intervento alleato, mezzo trilione di dollari spesi e 150mila morti, ci siamo dimenticati dell\'Afghanistan, dove la guerra continua e i talebani avanzano. Cinque capoluoghi di provincia sono minacciati dagli insorti del defunto mullah Omar. Uno è Farah, nell\'ovest dell\'Afghanistan, dove i soldati italiani hanno sputato sangue e sudore per garantire la sicurezza. Adesso sono rimasti solo 900 nella grande base di Herat, ma con compiti soprattutto di addestramento e monitoraggio delle forze armate afghane. I talebani quest\'anno sono entrati due volte nel capoluogo Kunduz, nel nord del paese e hanno ripiegato solo grazie ai massicci raid dei caccia americani. Le truppe Usa, che la Casa Bianca voleva ritirare del tutto, sono oramai ridotte a diecimila uomini. Non è una sorpresa che i talebani abbiano il totale controllo di 33 distretti su 400 e circondano le forze governative in altri 116. E ancora più grave è la crescita della bandiere nere, soprattutto nell\'Est del paese. Il Califfato afghano conta su 2-3mila uomini in armi, ma il conflitto al crocevia dell\'Asia è uscito dai riflettori dei media. IL BUCO NERO DEL DONBASS La guerra nel cuore dell\'Europa, nell\'est dell\'Ucraina filo russo, continua, ma non ce ne accorgiamo perché il Donbass è stato relegato in un buco nero. Sia i russi sia gli occidentali hanno preferito congelare l\'attenzione su questo fazzoletto di terra controllato dai separatisti e circondato dall\'esercito ucraino. In teoria dovrebbe essere in vigore una tregua, ma in realtà si spara e si tirano cannonate ogni giorno. E il processo di soluzione politica previsto dai secondi accordi di Minsk è nato morto. Il Donbass è tormentato da un conflitto a bassa intensità, che fino a oggi è costato, secondo le Nazioni Unite, trentamila morti e feriti. L\'ennesima guerra dimenticata. |
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16 giugno 2016 | Tgcom24 | reportage
Gli occhi della guerra, l’arte imperitura del reportage
Presentazione Gli occhi della guerra e del documentario "Profughi dimenticati" dal nord dell'iraq
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12 ottobre 2017 | Tele Capodistria | reportage
Gli occhi della guerra
"Gli occhi della guerra" sarà questo il tema della prossima puntata di Shaker, in onda venerdì 13 ottobre alle ore 20.
Nostro ospite FAUSTO BILOSLAVO, giornalista di guerra che, in oltre 35 anni, ha vissuto e raccontato in prima persona la situazione su tutti i fronti più caldi: Libano, Afghanistan, Iran, Iraq, ex Jugoslavia... e ultimamente Ucraina, Libia, Siria...
Cosa vuol dire fare il reporter di guerra? Com'è cambiato questo "mestiere"? Perchè è ancora così importante? Come mai tanti giovani vogliono farlo? Quali consigli dargli?
Tante le domande cui cercheremo di dare risposta.
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18 ottobre 2019 | Sna | reportage
100 anni degli agenti di assicurazione
Il palco del Centenario Sna ha accolto anche Fausto Biloslavo, oggi certamente il più famoso e tenace reporter di guerra. Attraverso fotografie e filmati tratti dai suoi reportage nelle zone dei conflitti, Biloslavo ha raccontato la sua vicenda professionale, vissuta fra pericoli e situazioni al limite del disumano, testimonianfo anche l’orrore patito dalle popolazioni colpite dalla guerra. Affrontando il tema del coraggio, ha parlato del suo, che nonostante la quotidiana esposizione della sua vita a rischi estremi gli permette di non rinunciare a testimoniare la guerra e le sue tragiche e crudeli conseguenze. Ma il coraggio è anche di chi la guerra la subisce, diventando strumento per l’affermazione violenta delle ragioni di parte, ma non vuole rinunciare alla vita, alla speranza. E lottare per sopravvivere richiede grande coraggio.
Sebbene possa sembrare un parallelo azzardato, lo stesso Biloslavo, spiega che il coraggio è sostenuto dalla passione, elemento necessario in ogni attività, in quella del reporter di guerra come in quella dell’agente di assicurazione.
Il coraggio serve per cominciare da zero, ma anche per rialzarsi quando si è colpiti dalle difficoltà o per adattarsi ai cambiamenti, è il messaggio di Biloslavo alla platea del Centenario.
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08 dicembre 2010 | Nuova Spazio Radio | intervento |
Mondo
La fronda di Wikileaks
Oltre alle manette Julian Assange, fondatore di Wikileaks, deve preoccuparsi delle diserzioni della sua ciurma di pirati informatici e sostenitori. Negli ultimi mesi Assange ha perso per strada il suo braccio destro, il tedesco Daniel Domscheit-Berg ed Herbert Snorrason, il giovane hacker che teneva in piedi il sito nel “rifugio” islandese. Domscheit-Berg, ex hacker, è stato il principale portavoce di Assange per tre anni, con il nome falso di Daniel Schmitt. Ispiratore del Chaos computer club, una comunità di pirati informatici, ha cominciato ad entrare in rotta di collisione con il capo per le rivelazioni dei rapporti militari sulla guerra in Afghanistan. Non solo: Wikilekas sta operando in maniera così segreta da assomigliare sempre più alle intelligence che intende mascherare.
In Islanda la perdita più grave è quella della parlamentare Birgitta Jonsdottir, un’entusiasta della prima ora di Wikileaks. La deputata. che andrebbe d’accordo con Beppe Grillo, si batte per far passare una legge che trasformerebbe l’isola nel miglior rifugio per gente come Assange. Anche molte associazioni noprofit hanno preso le distanze, quando ha pubblicato i documenti della guerra in Afghanistan. Il discusso guru informatico non ha voluto emendare i nomi dei collaboratori della Nato, che adesso rischiano la vita. Prima fra tutti, a mollare l’australiano, è stata l’organizzazione di giornalisti, che pende a sinistra, Reporter senza frontiere.
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06 luglio 2015 | Radio Capodistria | intervento |
Mondo
Non solo Califfato
Una panoramica della situazione internazionale e il ricordo di Franco Paticchio, grande Direttore ed Editore dimenticato
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22 ottobre 2009 | Radio24 | intervento |
Mondo
Libertà di stampa
In Italia la libertà di stampa è
sempre più in pericolo per colpa del
solito Cavalierenero,mentregli Stati
Uniti fanno unbalzo in avanti graziealnuovomessiademocraticoBarack
Obama. Lo stabilisce l’annuale
rapportodiReporterssansfrontières,
i giornalisticonil nasino all’insùche
considerano l’Italia alla stregua di
Bielorussia e Zimbabwe. Politicamentecorretti,
hannoelevatogliStati
Uniti dal 40˚ posto al 20˚, solo perché
non c’è più George W. Bush. E
declassato l’Italia al 49˚. Obama ha
incassato un Nobel per la pace preventivoeconquistatol’aureola
della
libertà di stampa.Nonche negli Usa
mancasse, ma è curioso che il 15
maggio proprio i Reporter senza
frontiere (Rsf) lanciavano strali contro
il nuovo inquilino della Casa
Bianca. «L’organizzazione è delusa
dalladecisionedelpresidente(Obama)
diporreilvetosullapubblicazione
delle 44 fotografie che ritraggono
l’esercitoamericanomentreabusae
torturai prigionieriafghanieiracheni
», si legge inuncomunicato di Rsf.
Jean-Francois Julliard, segretario
generalediRsf,ammettechenelbalzoinavantidegliUsahacontato
«l’effetto
Obama». Peccato che la Casa
Biancastiasparandocannonateverbalicontrola
tvFoxNewsreadicriticare
il presidente. «Non è più un organo
di informazione», «li tratteremocome
un partito d’opposizione»
hanno tuonato i portavoce. La Fox è
da tempo esclusa dalle interviste ad
Obama, limitata nell’accesso alle
fonti governative e ai suoi giornalisti
vengononegate ledomandedurantegliincontriconlastampaallaCasa
Bianca. L’editore dell’agguerrita tv è
RupertMurdoch.Rsfnonsimobilita
moltoper lasuaFoxnegli Usa,main
Italialodifende,considerandolominacciato
da Silvio Berlusconi.
Sui 175 Paesi nella classifica sulla
libertà di stampa siamo scivolati dal
35˚postodel 2007,quandoc’eraRomanoProdi,
al44˚delloscorsoanno
e al 49˚ odierno.Unabocciatura che
nonsi capisce benecomesalti fuori.
Nella classifica l’Italia si è beccata
12,4 voti negativi. I voti si basano su
un questionario, che è stato consegnato
a diverse decine di giornalisti,
professoriuniversitari,attivistideidirittiumanieavvocatidelnostroPaese.
Nonostante le richieste del Giornale
la lista dei «giurati» è segreta.
Peroraanchele12,4bacchettatesulla
libertà di stampa non sono state
ufficializzate. Sfogliando il facsimile
delquestionarioèovviocheinItaliai
giornalistinonvengonoammazzati,
torturatiosbattutiincarcerebuttandovia
la chiave.Comeaccadein Eritrea,
inTurkmenistaneinIran,gliultimi
tre Paesi della classifica di Rsf.
Nonèmaicapitatocheleforzearmateoilgoverno
abbianochiusoconla
forza giornali o televisioni, come si
chiede nel questionario.
SecondoRsf«lepressionidelCavaliere
sui media, le crescenti ingerenze
», ma pure «le violenze di mafia
controi giornalisticherivelano le attività
di quest’ultima eundisegno di
legge che ridurrebbe drasticamente
lapossibilitàperimediadipubblicareleintercettazionitelefoniche,
spiegano
perché l’Italia perda posizioni
per il secondo anno consecutivo».
Julliard, capoccia dell’organizzazione,
avevagiàannunciatoildeclassamento
in occasione della manifestazione
sulla libertà di stampa del 3
ottobre scorso a Roma. Al fianco di
SabinaGuzzanti,lacomicaantiCav,
minacciò:«Troppepressionisuimedia,
SilvioBerlusconirischiadi finire
nella lista dei predatori della libertà
di stampa» come la mafia. «L’Italia
nonguadagneràcertoposizioni»,avvertì.
Il preveggente francese ha però
sbagliato qualche calcolo. Il nostro
Paeseèstato retrocessoancheper le
querele miliardarie di Berlusconi a
Repubblica e altri giornali. ScorrendolaclassificadiRsfsiscoprechesiamo
stati battuti pure dal Sud Africa,
piazzato al 33˚ posto. Peccato che il
discutibile presidente sudafricano,
JacobZuma,abbia querelato perun
milione di dollari il vignettista JonathanShapiro.
Nonsolo:unprogrammasulla
satira è stato censuratodue
volte in tv,maZuma,si sa, èpiù simpatico
del Cav.
www.faustobiloslavo.eu
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25 agosto 2010 | Radio 24 | intervento |
Mondo
Professione: Reporter di guerra
"NESSUN LUOGO E' LONTANO" è il nuovo programma di approfondimento di esteri di Radio 24. Giampaolo Musumeci parla della professione reporter. Come si racconta la guerra? Esiste un modo giusto? Come si fa il giornalista di guerra e come è cambiato il mestiere? Le testimonianze di chi lo ha fatto per anni e chi lo fa tuttora.
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20 ottobre 2009 | Radio Uno | intervento |
Mondo
Rassegna stampa - Ultime da Babele
Cmmento ai giornali fra il mito del posto fisso ed i problemi del Medio Oriente.
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