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Intervista
23 dicembre 2016 - Controstorie - Mondo - Il Giornale
“Spocchia e ignoranza Ecco perché facciamo finta di non vedere”
Figlio di un reduce della battaglia di El Alamein, il generale dei paracadutisti Marco Bertolini è in congedo dallo scorso luglio dopo 44 anni di servizio. Incursore e veterano delle missioni all\'estero, dal Libano nel 1982 all\'Afghanistan, ha guidato la brigata Folgore e il comando delle operazioni delle forze speciali.
Aleppo in prima pagina, ma sulla guerra nello Yemen, che ha già provocato 12mila morti silenzio di tomba.
«Il nostro buon cuore è molto selettivo anche su Aleppo, liberata da un\'occupazione sanguinosa, tra i lai delle arcigne cancellerie occidentali. La categoria della liberazione non è per tutti. Quanto allo Yemen, vi si scontrano interessi sauditi e iraniani e non si tratta di una guerra pulita, visto che coinvolge milizie che esibiscono i simboli dell\'Isis e di Al Qaida, di fatto alleate dei sauditi».
Ci sono stragi, ospedali colpiti e morti civili di serie A e di serie B?
«È proprio così. Il bambino palestinese dileggiato e decapitato pochi mesi fa ad Aleppo da miliziani dell\'Isis o Al Nusra, non ha goduto degli onori delle nostre cronache, zeppe invece di bambini siriani che non si capisce perché dovrebbero essere obiettivo degli strike russi e siriani. Chissà perché Saddam prima, Gheddafi poi e ora Assad dovrebbero avere scelto operazioni così inutili da un punto di vista tattico e controproducenti dal punto di vista propagandistico. Non ci credo». 
La Somalia è da decenni nel caos, ma tutto tace nonostante la minaccia jihadista.
«La Somalia è un paese geo-strategicamente importante, ma incapace di autogestirsi dopo 25 anni di guerra civile ad opera di Al Shabab, ispirato prima ad Al Qaida e ora a Daesh. Sono stato spesso, in questi anni, a Mogadiscio, dove opera un nostro contingente impegnato a supportare il poverissimo ma valoroso esercito somalo. Ho sempre registrato con impotenza e dolore le aspettative di quel paese verso l\'Italia, alle quali fatichiamo a corrispondere».
Anche l\'Afghanistan è finito nel dimenticatoio.
«Il disinteresse per l\'Afghanistan è la prova della volubilità della nostra opinione pubblica, inclusa quella più rappresentata ai piani alti della nostra società. Eppure, da 15 anni vi combattiamo una vera e propria guerra contro un nemico che ci ha causato perdite e per la quale ci siamo meritati l\'ammirazione degli alleati. Anche se il nostro coinvolgimento è ora di carattere addestrativo, siamo comunque esposti alla minaccia dei talebani a cui si sta aggiungendo quella del Califfato».
Nel Donbass la tregua vale solo sulla carta. Perché abbiamo dimenticato il conflitto nel cuore dell\'Europa?
«L\'abbiamo dimenticato per l\'ignoranza di quello che vi è in gioco e per la spocchia con la quale ci rapportiamo con una realtà che a torto riteniamo distante. La Russia non può rinunciare al Donbass e soprattutto alla Crimea, sede della sua unica flotta in grado di operare nel Mediterraneo. Per il motivo contrario, gli Stati Uniti non si vogliono lasciare sfuggire l\'opportunità di murare la Russia fuori dal nostro bacino. È una crisi legata a quella in Siria, dove operano basi russe che Putin sta cercando di integrare con altri porti nel Mediterraneo. Sidi el Barrani in Egitto potrebbe essere un\'opzione alla quale stanno lavorando».
I russi sono di nuovo i «cattivi» e gli occidentali sempre i «buoni»?
«Pare proprio di sì. Si è affermato il paradosso di una Russia nuovo riferimento per i movimenti nazionalistici e di destra europei, mentre quelli internazionalisti e di sinistra hanno scelto gli Stati Uniti obamian-clintoniani. Peccato che Trump gli abbia sparigliato i giochi. A quanto pare, internazionalismo socialista e globalizzazione mercantilista si sono passati senza difficoltà il testimone, segno che forse le differenze tra i due...».
La Birmania del Nobel per la pace Aung San Suu Kyi è accusata di crimini contro la minoranza musulmana, ma pochi lo sanno. Scatta la censura quando i «buoni» massacrano i «cattivi»?
«Sempre». 
[continua]

video
18 ottobre 2019 | Sna | reportage
100 anni degli agenti di assicurazione
Il palco del Centenario Sna ha accolto anche Fausto Biloslavo, oggi certamente il più famoso e tenace reporter di guerra. Attraverso fotografie e filmati tratti dai suoi reportage nelle zone dei conflitti, Biloslavo ha raccontato la sua vicenda professionale, vissuta fra pericoli e situazioni al limite del disumano, testimonianfo anche l’orrore patito dalle popolazioni colpite dalla guerra. Affrontando il tema del coraggio, ha parlato del suo, che nonostante la quotidiana esposizione della sua vita a rischi estremi gli permette di non rinunciare a testimoniare la guerra e le sue tragiche e crudeli conseguenze. Ma il coraggio è anche di chi la guerra la subisce, diventando strumento per l’affermazione violenta delle ragioni di parte, ma non vuole rinunciare alla vita, alla speranza. E lottare per sopravvivere richiede grande coraggio. Sebbene possa sembrare un parallelo azzardato, lo stesso Biloslavo, spiega che il coraggio è sostenuto dalla passione, elemento necessario in ogni attività, in quella del reporter di guerra come in quella dell’agente di assicurazione. Il coraggio serve per cominciare da zero, ma anche per rialzarsi quando si è colpiti dalle difficoltà o per adattarsi ai cambiamenti, è il messaggio di Biloslavo alla platea del Centenario.

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12 ottobre 2017 | Tele Capodistria | reportage
Gli occhi della guerra
"Gli occhi della guerra" sarà questo il tema della prossima puntata di Shaker, in onda venerdì 13 ottobre alle ore 20. Nostro ospite FAUSTO BILOSLAVO, giornalista di guerra che, in oltre 35 anni, ha vissuto e raccontato in prima persona la situazione su tutti i fronti più caldi: Libano, Afghanistan, Iran, Iraq, ex Jugoslavia... e ultimamente Ucraina, Libia, Siria... Cosa vuol dire fare il reporter di guerra? Com'è cambiato questo "mestiere"? Perchè è ancora così importante? Come mai tanti giovani vogliono farlo? Quali consigli dargli? Tante le domande cui cercheremo di dare risposta. If you LIKE it, please SHARE it!!!

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16 giugno 2016 | Tgcom24 | reportage
Gli occhi della guerra, l’arte imperitura del reportage
Presentazione Gli occhi della guerra e del documentario "Profughi dimenticati" dal nord dell'iraq

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radio

22 ottobre 2009 | Radio24 | intervento
Mondo
Libertà di stampa
In Italia la libertà di stampa è sempre più in pericolo per colpa del solito Cavalierenero,mentregli Stati Uniti fanno unbalzo in avanti graziealnuovomessiademocraticoBarack Obama. Lo stabilisce l’annuale rapportodiReporterssansfrontières, i giornalisticonil nasino all’insùche considerano l’Italia alla stregua di Bielorussia e Zimbabwe. Politicamentecorretti, hannoelevatogliStati Uniti dal 40˚ posto al 20˚, solo perché non c’è più George W. Bush. E declassato l’Italia al 49˚. Obama ha incassato un Nobel per la pace preventivoeconquistatol’aureola della libertà di stampa.Nonche negli Usa mancasse, ma è curioso che il 15 maggio proprio i Reporter senza frontiere (Rsf) lanciavano strali contro il nuovo inquilino della Casa Bianca. «L’organizzazione è delusa dalladecisionedelpresidente(Obama) diporreilvetosullapubblicazione delle 44 fotografie che ritraggono l’esercitoamericanomentreabusae torturai prigionieriafghanieiracheni », si legge inuncomunicato di Rsf. Jean-Francois Julliard, segretario generalediRsf,ammettechenelbalzoinavantidegliUsahacontato «l’effetto Obama». Peccato che la Casa Biancastiasparandocannonateverbalicontrola tvFoxNewsreadicriticare il presidente. «Non è più un organo di informazione», «li tratteremocome un partito d’opposizione» hanno tuonato i portavoce. La Fox è da tempo esclusa dalle interviste ad Obama, limitata nell’accesso alle fonti governative e ai suoi giornalisti vengononegate ledomandedurantegliincontriconlastampaallaCasa Bianca. L’editore dell’agguerrita tv è RupertMurdoch.Rsfnonsimobilita moltoper lasuaFoxnegli Usa,main Italialodifende,considerandolominacciato da Silvio Berlusconi. Sui 175 Paesi nella classifica sulla libertà di stampa siamo scivolati dal 35˚postodel 2007,quandoc’eraRomanoProdi, al44˚delloscorsoanno e al 49˚ odierno.Unabocciatura che nonsi capisce benecomesalti fuori. Nella classifica l’Italia si è beccata 12,4 voti negativi. I voti si basano su un questionario, che è stato consegnato a diverse decine di giornalisti, professoriuniversitari,attivistideidirittiumanieavvocatidelnostroPaese. Nonostante le richieste del Giornale la lista dei «giurati» è segreta. Peroraanchele12,4bacchettatesulla libertà di stampa non sono state ufficializzate. Sfogliando il facsimile delquestionarioèovviocheinItaliai giornalistinonvengonoammazzati, torturatiosbattutiincarcerebuttandovia la chiave.Comeaccadein Eritrea, inTurkmenistaneinIran,gliultimi tre Paesi della classifica di Rsf. Nonèmaicapitatocheleforzearmateoilgoverno abbianochiusoconla forza giornali o televisioni, come si chiede nel questionario. SecondoRsf«lepressionidelCavaliere sui media, le crescenti ingerenze », ma pure «le violenze di mafia controi giornalisticherivelano le attività di quest’ultima eundisegno di legge che ridurrebbe drasticamente lapossibilitàperimediadipubblicareleintercettazionitelefoniche, spiegano perché l’Italia perda posizioni per il secondo anno consecutivo». Julliard, capoccia dell’organizzazione, avevagiàannunciatoildeclassamento in occasione della manifestazione sulla libertà di stampa del 3 ottobre scorso a Roma. Al fianco di SabinaGuzzanti,lacomicaantiCav, minacciò:«Troppepressionisuimedia, SilvioBerlusconirischiadi finire nella lista dei predatori della libertà di stampa» come la mafia. «L’Italia nonguadagneràcertoposizioni»,avvertì. Il preveggente francese ha però sbagliato qualche calcolo. Il nostro Paeseèstato retrocessoancheper le querele miliardarie di Berlusconi a Repubblica e altri giornali. ScorrendolaclassificadiRsfsiscoprechesiamo stati battuti pure dal Sud Africa, piazzato al 33˚ posto. Peccato che il discutibile presidente sudafricano, JacobZuma,abbia querelato perun milione di dollari il vignettista JonathanShapiro. Nonsolo:unprogrammasulla satira è stato censuratodue volte in tv,maZuma,si sa, èpiù simpatico del Cav. www.faustobiloslavo.eu

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20 ottobre 2009 | Radio Uno | intervento
Mondo
Rassegna stampa - Ultime da Babele
Cmmento ai giornali fra il mito del posto fisso ed i problemi del Medio Oriente.

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17 dicembre 2018 | Tracce Radio Rai FVG | intervento
Mondo
Guerra guerra guerra
35 anni di reportage in prima linea

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08 dicembre 2010 | Nuova Spazio Radio | intervento
Mondo
La fronda di Wikileaks
Oltre alle manette Julian Assange, fondatore di Wikileaks, deve preoccuparsi delle diserzioni della sua ciurma di pirati informatici e sostenitori. Negli ultimi mesi Assange ha perso per strada il suo braccio destro, il tedesco Daniel Domscheit-Berg ed Herbert Snorrason, il giovane hacker che teneva in piedi il sito nel “rifugio” islandese. Domscheit-Berg, ex hacker, è stato il principale portavoce di Assange per tre anni, con il nome falso di Daniel Schmitt. Ispiratore del Chaos computer club, una comunità di pirati informatici, ha cominciato ad entrare in rotta di collisione con il capo per le rivelazioni dei rapporti militari sulla guerra in Afghanistan. Non solo: Wikilekas sta operando in maniera così segreta da assomigliare sempre più alle intelligence che intende mascherare. In Islanda la perdita più grave è quella della parlamentare Birgitta Jonsdottir, un’entusiasta della prima ora di Wikileaks. La deputata. che andrebbe d’accordo con Beppe Grillo, si batte per far passare una legge che trasformerebbe l’isola nel miglior rifugio per gente come Assange. Anche molte associazioni noprofit hanno preso le distanze, quando ha pubblicato i documenti della guerra in Afghanistan. Il discusso guru informatico non ha voluto emendare i nomi dei collaboratori della Nato, che adesso rischiano la vita. Prima fra tutti, a mollare l’australiano, è stata l’organizzazione di giornalisti, che pende a sinistra, Reporter senza frontiere.

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06 luglio 2015 | Radio Capodistria | intervento
Mondo
Non solo Califfato
Una panoramica della situazione internazionale e il ricordo di Franco Paticchio, grande Direttore ed Editore dimenticato

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