L’Italia non è mai stata così «sotto tiro» in Libia. Le fazioni fanno a gara per lanciare minacce. L’ultima è stata quella del governo di Tobruk, che ha appena rifiutato un piano di aiuti dall’Italia, sostenendo che Tripoli «ha permesso ai nipoti di Benito Mussolini
di tornare in Libia».
La scintilla è stata l’arrivo a Tripoli del nostro rappresentante diplomatico, Giuseppe Perrone, che il 10 gennaio ha riaperto l’ambasciata. Il premier Abdullah al-Thani del governo di Tobruk, ex alleato dell’Occidente, ha inviato una «nota diplomatica urgente» accusando l’Italia di «nuova occupazione» per essere sbarcata a Tripoli con i corpi speciali, che garantiranno
la sicurezza dell’ambasciata. Dietro l’attacco c’è il generale Khalifa Haftar, l’uomo forte in Cirenaica, che vede come fumo negli occhi l’appoggio italiano al governo di Fayez al Sarraj a Tripoli, riconosciuto dall’Onu. E strizza l’occhio
ai russi per armi e appoggio politico.
«Il generale Haftar si agita sullo scenario internazionale, illudendosi di essere abbastanza furbo da strumentalizzare Putin» osserva il generale Vincenzo Camporini, vice presidente dell’Istituto affari internazionali, «senza rendersi conto
che è Mosca a strumentalizzarlo, procurandosi una nuova testa di ponte nel Mediterraneo e rafforzando il suo ruolo da protagonista per la stabilizzazione del bacino Mediorientale».
Rujban Salah Suhbi, influente esponente del parlamento di Tobruk, ha pure bollato come «illegittimo» l’appalto concesso
dal governo di Tripoli a una ditta italiana per la ricostruzione dell’aeroporto della capitale.
L’Italia è finita nel mirino anche dell’ex premier islamista, Khalifa Ghweil, che nella capitale conta ancora su una milizia armata. «Il 24 dicembre si è tenuto l’anniversario dell’indipendenza libica, ma ora i soldati italiani tornano in Libia» ha esordito, chiedendo il ritiro dell’ospedale militare messo in piedi a Misurata per la caduta di Sirte, l’ex roccaforte delle bandiere nere in Libia. E pure la milizia di Zintan, alleata di Haftar in Tripolitania, minaccia di sabotare il gasdotto dell’impianto Eni di Mellitah, che arriva fino in Sicilia, se non ritiriamo la missione sanitaria Ippocrate da Misurata.