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10 febbraio 2017 - Prima - Italia - Il Giornale
La memoria sfregiata Su foibe ed esodo avanza il negazionismo
I martiri delle foibe si rivoltano nelle tombe senza nome, dove in tanti non sono mai stati riesumati. Il Quirinale, dopo la seconda assenza consecutiva per il 10 febbraio, ha annunciato che il presidente Sergio Mattarella incontrerà gli esuli, ma senza dire quando. Il 10 febbraio, Giorno del ricordo (...)
(...) degli infoibati e dei 350mila che furono costretti alla fuga dalle violenze e dal sistema comunista di Tito, è sfregiato da un rivolo di contro-manifestazioni che negano o puntano a minimizzare questa tragedia a guerra finita. Da Padova a Roma, da Pavia a Orvieto non sono pochi gli eventi «riduzionisti», se non peggio, che quasi sempre hanno il cappello dell\\\'Associazione nazionale partigiani e vengono ospitati da amministrazioni comunali oppure da università con soldi pubblici. Come è pubblico il canone della Rai, che sta in piedi grazie alla tasche dei contribuenti. Diversi canali, da Raitre a Raiuno, mandano in onda film e testimonianze che ricordano degnamente gli esuli e gli infoibati. Peccato che proprio Rai Storia faccia il contrario annunciando, in maniera meschina, che il 10 febbraio alle 16 trasmetterà Mille papaveri rossi in ricordo delle vittime delle Foibe. Poi se uno va a vedere il documentario in quattro puntate Meja. Guerra di confine non può non stupirsi, o peggio. Le prime tre puntate infatti sono totalmente dedicate alle nefandezze nazi-fasciste ai confini orientali e nei Balcani partendo addirittura dall\\\'impresa di Fiume di Gabriele d\\\'Annunzio. Nessuno smentisce che abbiamo fatto carne di porco, ma forse ci sono altri momenti per trasmettere l\\\'opera omnia sulle nefandezze italiane al posto del 10 febbraio. L\\\'ultima parte dedicata alle foibe inizia con Alessandra Kersevan intervenuta fra mille proteste anche ieri alla Camera per sminuire le foibe e bollare la stragrande maggioranza delle vittime come fascisti, spie, collaborazionisti e chissà cos\\\'altro. La pasionaria riduzionista sugli schermi di Rai Storia ci illustrerà in maniera dotta la brutta pagina del campo di concentramento per sloveni di Gonars durante il fascismo. Fra una denuncia e l\\\'altra dei crimini di guerra italiani si arriva finalmente alle prime foibe del 1943 in Istria. Lo scrittore Giacomo Scotti, che aveva scelto il paradiso di Tito, glissa sul segnale di allarme. Alla fine della guerra l\\\'occupazione jugoslava di Trieste e il dramma delle foibe e dell\\\'esodo vengono liquidati in pochi minuti per passare al dopo e al crollo dei confini con la Slovenia europea... Se non fosse da piangere verrebbe da ridere che una roba del genere venga trasmessa per ricordare l\\\'esodo e le foibe.
In questo mese sono ben dieci le iniziative filo negazioniste. A Modena interverrà la solita Kersevan nella sala Ulivi nell\\\'archivio storico della Resistenza per parlare di Foibe e confini orientali: le amnesie della Repubblica. A Genzano, nella municipalità di Roma, l\\\'Anpi promuove per l\\\'11 febbraio la presentazione del libro di Davide Conti Criminali di guerra italiani e lo spettacolo teatrale Drug Goiko, su un militare italiano passato con i partigiani di Tito. A Orvieto la solita Kersevan è ospite nella sala del Consiglio comunale. Paolo Sardos Albertini, presidente del Comitato martiri delle foibe ha scritto al sindaco spiegando che sarebbe come «se per parlare dell\\\'Olocausto degli ebrei si chiamasse qualche nostalgico di Hitler». Ieri a Pavia era previsto nell\\\'aula magna dell\\\'università l\\\'intervento di Piero Purini, noto riduzionista, sul Giorno del ricordo: genesi di una ricorrenza e usi politici della storia. Anche alla sala storica della biblioteca delle Oblate a Firenze i relatori sono stati decisi dall\\\'Istituto storico della Resistenza toscana e gli esuli si sentono esclusi. Tragicomico il fatto che la Regione Friuli-Venezia Giulia guidata dalla stellina Pd, Debora Serracchiani, che domani sarà in prima fila alla foiba di Basovizza, continui a finanziare con 24.300 euro la società editoriale della pasionaria «per la promozione del friulano». Peccato che con la mano sinistra Kersevan sforni discutibili tomi per smontare «il mito delle foibe».
La lista degli sfregi al 10 febbraio è lunga, ma l\\\'offensiva del «non ricordo» dei nostalgici del Sol dell\\\'avvenire è indirettamente alimentata dalle alte cariche dello Stato che quest\\\'anno snobbano la foiba di Basovizza, unico monumento nazionale del genere a un passo da Trieste. Giovanni Grasso, direttore dell\\\'ufficio stampa del Quirinale, ha annunciato ieri che Mattarella «ha da tempo deciso di ricevere al Quirinale i rappresentanti delle associazioni dei familiari delle vittime e degli esuli». Quando non si sa, nonostante il capo dello Stato abbia trovato il tempo per presenziare domenica scorsa alla partita di rugby Italia-Galles e ieri fosse atteso a Torino per i 150 anni del quotidiano La Stampa. Renzo Codarin, presidente dell\\\'Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia ricorda con amarezza che «70 anni dopo la firma del trattato di pace al termine della Seconda guerra mondiale una presenza più significativa alla foiba di Basovizza sarebbe stata certamente utile tenuto conto che ci sono ancora persone che hanno vissuto direttamente quelle vicende e difficilmente potranno dare una testimonianza diretta alla ricorrenza dell\\\'80° anniversario» perché non ci saranno più.
[continua]

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16 febbraio 2007 | Otto e Mezzo | reportage
Foibe, conflitto sulla storia
Foibe, conflitto sulla storia

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05 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Virus, il fronte che resiste in Friuli-Venezia Giulia
Fausto Biloslavo TRIESTE - “Anche noi abbiamo paura. E’ un momento difficile per tutti, ma dobbiamo fare il nostro dovere con la maggiore dedizione possibile” spiega Demis Pizzolitto, veterano delle ambulanze del 118 nel capoluogo giuliano lanciate nella “guerra” contro il virus maledetto. La battaglia quotidiana inizia con la vestizione: tuta bianca, doppi guanti, visiera e mascherina per difendersi dal contagio. Il veterano è in coppia con Fabio Tripodi, una “recluta” arrivata da poco, ma subito spedita al fronte. Le due tute bianche si lanciano nella mischia armati di barella per i pazienti Covid. “Mi è rimasta impressa una signora anziana, positiva al virus, che abbiamo trasportato di notte - racconta l’infermiere Pizzolitto - In ambulanza mi ha raccontato del marito invalido rimasto a casa. E soffriva all’idea di averlo lasciato solo con la paura che nessuno si sarebbe occupato di lui”. Bardati come due marziani spariscono nell’ospedale Maggiore di Trieste, dove sono ricoverati un centinaio di positivi, per trasferire un infetto che ha bisogno di maggiori cure. Quando tornano caricano dietro la barella e si chiudono dentro l’ambulanza con il paziente semi incosciente. Si vede solo il volto scavato che spunta dalle lenzuola bianche. Poi via a sirene spiegate verso l’ospedale di Cattinara, dove la terapia intensiva è l’ultima trincea per fermare il virus. Il Friuli-Venezia Giulia è il fronte del Nord Est che resiste al virus grazie a restrizioni draconiane, anche se negli ultimi giorni la gente comincia ad uscire troppo di casa. Un decimo della popolazione rispetto alla Lombardia ha aiutato a evitare l’inferno di Bergamo e Brescia. Il 4 aprile i contagiati erano 1986, i decessi 145, le guarigioni 220 e 1103 persone si trovano in isolamento a casa. Anche in Friuli-Venezia Giulia, come in gran parte d’Italia, le protezioni individuali per chi combatte il virus non bastano mai. “Siamo messi molto male. Le stiamo centellinando. Più che con le mascherine abbiamo avuto grandi difficoltà con visiere, occhiali e tute” ammette Antonio Poggiana, direttore generale dell’Azienda sanitaria di Trieste e Gorizia. Negli ultimi giorni sono arrivate nuove forniture, ma l’emergenza riguarda anche le residenze per anziani, flagellate dal virus. “Sono “bombe” virali innescate - spiega Alberto Peratoner responsabile del 118 - Muoiono molti più anziani di quelli certificati, anche 4-5 al giorno, ma non vengono fatti i tamponi”. Nell’ospedale di Cattinara “la terapia intensiva è la prima linea di risposta contro il virus, il nemico invisibile che stiamo combattendo ogni giorno” spiega Umberto Lucangelo, direttore del dipartimento di emergenza. Borse sotto gli occhi vive in ospedale e da separato in casa con la moglie per evitare qualsiasi rischio. Nella trincea sanitaria l’emergenza si tocca con mano. Barbara si prepara con la tuta anti contagio che la copre dalla testa ai piedi. Un’altra infermiera chiude tutti i possibili spiragli delle cerniere con larghe strisce di cerotto, come nei film. Simile ad un “palombaro” le scrivono sulla schiena il nome e l’orario di ingresso con un pennarello nero. Poi Barbara procede in un’anticamera con una porta a vetri. E quando è completamente isolata allarga le braccia e si apre l’ingresso del campo di battaglia. Ventuno pazienti intubati lottano contro la morte grazie agli angeli in tuta bianca che non li mollano un secondo, giorno e notte. L’anziano con la chioma argento sembra solo addormentato se non fosse per l’infinità di cannule infilate nel corpo, sensori e macchinari che pulsano attorno. Una signora è coperta da un telo blu e come tutti i pazienti critici ripresa dalle telecamere a circuito chiuso. Mara, occhioni neri, visiera e mascherina spunta da dietro la vetrata protettiva con uno sguardo di speranza. All’interfono racconta l’emozione “del primo ragazzo che sono riuscito a svegliare. Quando mi ha visto ha alzato entrambi i pollici in segno di ok”. E se qualcuno non ce la fa Mara spiega “che siamo preparati ad accompagnare le persone verso la morte nella maniera più dignitosa. Io le tengo per mano per non lasciarle sole fino all’ultimo momento”. Erica Venier, la capo turno, vuole ringraziare “con tutto il cuore” i triestini che ogni giorno fanno arrivare dolci, frutta, generi di conforto ai combattenti della terapia intensiva. Graziano Di Gregorio, infermiere del turno mattutino, è un veterano: “Dopo 22 anni di esperienza non avrei mai pensato di trovarmi in una trincea del genere”. Il fiore all’occhiello della rianimazione di Cattinara è di non aver perso un solo paziente, ma Di Gregorio racconta: “Infermieri di altre terapie intensive hanno dovuto dare l’estrema unzione perchè i pazienti sono soli e non si può fare diversamente”. L’azienda sanitaria sta acquistando una trentina di tablet per cercare di mantenere un contatto con i familiari e permettere l’estremo saluto. Prima di venire intubati, l’ultima spiaggia, i contagiati che hanno difficoltà a respirare sono aiutati con maschere o caschi in un altro reparto. Il direttore, Marco Confalonieri, racconta: “Mio nonno era un ragazzo del ’99, che ha combattuto sul Piave durante il primo conflitto mondiale. Ho lanciato nella mischia 13 giovani appena assunti. Sono i ragazzi del ’99 di questa guerra”.

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21 settembre 2012 | La Vita in Diretta | reportage
Islam in Italia e non solo. Preconcetti, paure e pericoli


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20 giugno 2017 | WDR | intervento
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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