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Esclusivo
21 gennaio 2015 - Prima - Italia - Panorama
Se sul web spunta la Repubblica islamica d’Italia
«Spero con tutto il cuore che Allah accolga nella sua grandissima misericordia i nostri tre fratelli uccisi in Francia». A scrivere sulla sua pagina Facebook l’apologia dei jihadisti parigini è Naima Ahmeti. Di etnia albanese, Naima vive a San Donato Milanese. È il 10 gennaio e i terroristi sono stati appena uccisi. In buon italiano, la musulmana che vive a casa nostra aggiunge un’invocazione: «Che Allah protegga tutti i nostri jihadisti» con tanto di cuoricini fra una parola e l’altra. La foto di copertina della pagina ritrae un combattente della guerra santa, che sembra meditare appoggiandosi al kalashnikov. Quella del profilo mostra una donna con il velo nero integrale, che lascia liberi soltanto gli occhi, accanto a un giovane barbuto che assomiglia al guerrigliero.  Alla voce orientamento politico, Naima aveva scritto «la sharia», cioè la legge del Corano. E aggiunge nel suo epitaffio ai terroristi francesi un messaggio all’Europa: «Con noi musulmani non si scherza. Chi nomina il nome di Allah e del suo Profeta invano merita questo e ben altro». L’ovvio riferimento è alla strage dei vignettisti del giornale satirico Charlie Hebdo. L’agghiacciante messaggio ha ottenuto un «mi piace» da 17 persone. Ma Naima è solo la punta dell’iceberg dei musulmani residenti in Italia, che giustificano o quando va bene non condannano la mattanza di Parigi.  Majid Chahbi, un marocchino di Brescia, rilancia su Twitter: «I due fratelli Kouachi erano degli eroi, pace all’anima loro». Parla così di Said e Cherif, i due francoalgerini che il 7 gennaio hanno attaccato la redazione di Charlie Hebdo, a Parigi, uccidendo 12 persone per vendicare le vignette satiriche su Maometto pubblicate dal settimanale. L’hastag è tremendo: #Je- SuisKouachi in contrapposizione al #JeSuisCharlie dedicato alle vittime. Ha attratto circa 25 mila tweet, il terzo in Francia nelle ore convulse dei blitz contro i terroristi. La solidarietà ai killer sui social media ha trovato adepti pure in Italia. Mentre infuria la discussione sull’attacco del terrore a Parigi, l’8 gennaio Salah Fatih posta sulla pagina «Musulmani d’Italia - organizzazione comunitaria» una mappa del Califfato che si estende alla Spagna e ai Balcani. Salah, che probabilmente risiede in Campania, commenta: «Una volta era così». Sul suo profilo Facebook non mancano immagini inquietanti, come un fucile mitragliatore kalashnikov e la scritta in arabo «Pazienterò nell’ombra della società e quando verrà il mio turno, lo giuro su Allah, non avrò misericordia di nessuno». Sembra l’annuncio di un attacco, con tanto di bandiere dell’Isis e di al Qaeda. Ma dal 9 gennaio il suo profilo è stato cancellato.  Sempre sulla pagina «Musulmani d’Italia », Muslim Mohammed posta l’immagine antica in bianco e nero di ribelli decapitati dai francesi in Marocco. Rispondendo a un utente, scrive: «Mi piace tanto vederlo adesso a casa tua», riferendosi ancora una volta al massacro parigino. Mohammed ora vive a Barcellona, ma scrive in italiano: «Io sono contro Charlie, io amo il mio profeta, io sono musulmano e condanno il terrorismo occidentale». Sulla sua pagina, a ottobre, aveva pubblicato il fotomontaggio delle armate del Califfo che attaccano Gerusalemme. Per chiudere, un’esplosione atomica sul mondo, più l’annuncio dell’imminente conquista di Baghdad con la bandiera dell’Isis, come fosse una partita di calcio. Sulla Francia, Rayen Khan, pachistano di Bolzano, scrive in italiano con qualche errore: «Non centra Isis o al Qaeda, ma dei musulmani che si son sentiti provati dalla (…) blasfemia di questi pazzi che continuano a offendere il Profeta con la scusa del libertà di espressione». Giovanni Giacalone, un esperto di radicalismo islamico nei Balcani che da tempo monitorizza il web, non ha dubbi: «Vedere che ci si rallegra sui social network per gli attentati di Parigi non sorprende. Così come non stupisce che personaggi legati a comunità islamiche abbiano tirato subito in ballo tesi complottistiche. Sono fenomeni già visti in altre occasioni, primo fra tutti l’attacco alle Torri gemelle nel 2001». Prima che Facebook la chiudesse, il 10 gennaio, per i suoi contenuti violenti, la pagina «Musulmani d’Italia» aveva attirato numerosi supporter dei terroristi. Un anonimo italiano, pronto a convertirsi ad Allah, aveva invocato un Duce islamico: «Non solo non condanno l’azione di vendetta parigina, ma vi ripeto: non scherzate con l’Islam perché a differenza vostra c’è chi ha valori seri nella vita». L’anonimo aveva aggiunto che l’unica maniera per «tornare grandi e rispettati (…) si chiama Repubblica Islamica Italica».  Pur condannando il terrorismo, il sito internet «Sì all’Islam» (21 mila seguaci) ricorda che «la libertà di pensiero non significa libertà di calunniare/diffamare una religione per esprimere il proprio concetto». Terzista il convertito Ibrahim Gabriele Lungo: «Né con il terrorismo, né con la blasfemia ». Mentre Sabri Mohammed risponde da Tunisi, in buon italiano: «Ognuno crede in quello che vuole, ma non si tocca il Profeta (…). Rispetto, ma niente compromessi». Su un altro sito intitolato «Islam, la vera religione» l’8 gennaio, proprio durante la caccia all’uomo in Francia, viene ribadito che «non esiste il terrorismo islamico». E l’attentato di Parigi? La risposta: «Gli attacchi ai musulmani, incolpandoli di cose di cui non hanno colpe, non sono altro che dei tentativi di spegnere la luce di Allah».  La discussione in rete si scalda quando l’imam di Lecce, Maaroufi Saifeddine, osa condannare la strage di Parigi. Ali Sarah risponde: «Questo imam che scrive fesserie è ignorante o scemo (…). Oh bello, il Profeta è il nostro onore». Ancor più duro Abidi Kamel, che scrive da Pavia. A sentir lui «la Francia ha avuto tutto il tempo per condannare le vignette e gli insulti contro il Profeta e quindi i musulmani hanno tutto il diritto di difendere il loro credo come e quando vogliono». Sulla sua pagina Facebook, Abidi bolla la manifestazione contro il terrore a Parigi come «la marcia degli ipocriti», con foto e vignette contro i leader mondiali presenti.    Ancora su Facebook A.M.H, un operaio marocchino da anni nella provincia di Rovigo, osserva che «quei 12 (morti, ndr) sono pochi, poi neanche una foto con il sangue, forse muoiono di paura». E aggiunge accusando l’Occidente: «Dove eravate quando Israele ha ammazzato in 25 giorni più di 600 bambini? Siete voi i veri terroristi». Yahya al-Muhajer Ibrahimi, un giovane di Milano con barba e capelli da talebano, posta il video dei killer in azione dopo la strage a Charlie Hebdo commentandola con un inquietante «Allah u-alam». Vale a dire: Dio sa ciò che è meglio.  

[continua]

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11 novembre 2008 | Centenario della Federazione della stampa | reportage
A Trieste una targa per Almerigo Grilz
e tutti i caduti sul fronte dell'informazione

Ci sono voluti 21 anni, epiche battaglie a colpi di articoli, proteste, un libro fotografico ed una mostra, ma alla fine anche la "casta" dei giornalisti triestini ricorda Almerigo Grilz. L'11 novembre, nella sala del Consiglio comunale del capoluogo giuliano, ha preso la parola il presidente dell'Ordine dei giornalisti del Friuli-Venezia Giulia, Pietro Villotta. Con un appassionato discorso ha spiegato la scelta di affiggere all'ingresso del palazzo della stampa a Trieste una grande targa in cristallo con i nomi di tutti i giornalisti italiani caduti in guerra, per mano della mafia o del terrorismo dal 1945 a oggi. In rigoroso ordine alfabetico c'era anche quello di Almerigo Grilz, che per anni è stato volutamente dimenticato dai giornalisti triestini, che ricordavano solo i colleghi del capoluogo giuliano uccisi a Mostar e a Mogadiscio. La targa è stata scoperta in occasione della celebrazione del centenario della Federazione nazionale della stampa italiana. Il sindacato unico ha aderito all'iniziativa senza dimostrare grande entusiasmo e non menzionando mai, negli interventi ufficiali, il nome di Grilz, ma va bene lo stesso. Vale la pena dire: "Meglio tardi che mai". E da adesso speriamo veramente di aver voltato pagina sul "buco nero" che ha avvolto per anni Almerigo Grilz, l'inviato ignoto.

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05 febbraio 2015 | Porta a Porta | reportage
IN RICORDO DELLE FOIBE E L'ESODO LA PUNTATA DI PORTA A PORTA


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10 giugno 2008 | TG3 regionale | reportage
Gli occhi della guerra.... a Bolzano /1
Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, non dimentica i vecchi amici scomparsi. Il 10 giugno ha visitato a Bolzano la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” dedicata ad Almerigo Grilz. La mostra è stata organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti. Gli ho illustrato le immagini forti raccolte in 25 anni di reportage assieme ad Almerigo e Gian Micalessin. La Russa ha ricordato quando "sono andato a prendere Fausto e Almerigo al ritorno da uno dei primi reportage con la mia vecchia 500 in stazione a Milano. Poco dopo li hanno ricoverati tutti e due per qualche malattia". Era il 1983, il primo reportage in Afghanistan e avevamo beccato l'epatite mangiando la misera sbobba dei mujaheddin, che combattevano contro le truppe sovietiche.

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
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Professione Reporter di Guerra


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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.

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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra

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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

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