Container inutilizzati nel porto di Tripoli, pochi clandestini rimandati a casa, milizie e trafficanti che selezionano chi va in Italia e chi viene rimpatriato, tutto questo finanziato con decine di milioni di euro dall’Unione europea. L’operazione in Libia dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), finanziata anche dal Viminale, è un fallimento, che non riduce il flusso di barconi verso il nostro Paese.
«Oim, l’agenzia internazionale che si occupa dei rimpatri, riceve ingentissime risorse dalla Ue. Basta vedere come gestisce il progetto di rilancio del porto di Tripoli per capire che qualcosa non funziona» spiega una fonte italiana di Panorama che opera in Libia. Il porto della capitale è controllato dalla brigata Isnad Bahri di Suq al Gum’a, una milizia vicina al Gran Mufti di Tripoli, Sadiq Al-Ghariani, ultraconservatore wahabita, spina nel fianco del governo del premier Fayez al-Sarraj, riconosciuto dall’Onu e fortemente appoggiato dall’Italia.
«L’agenzia internazionale per le migrazioni avrebbe dovuto riorganizzare la guardia costiera e riattivare i servizi del porto. Invece ha piazzato un paio di container, i cartelli, ma non ci sono barche, né pattugliamenti anti-trafficanti. In compenso continua a mediare con il comandante dei miliziani al-Misrati e incassare soldi, grazie a qualche fotografia...» prosegue la fonte di Panorama. «Un andazzo che andrà avanti fino a quando la brigata non si stancherà e li caccerà o, peggio ancora, si farà dare i fondi direttamente da europei e inglesi».
Per appena 16 mesi, fra il 2016 e 2017 l’Oim ha presentato un conto per le operazioni in Libia di ben 57.634.680 di euro. Una parte del vorticoso giro di denaro, che dovrebbe servire ad arginare l’ondata di migranti in Italia. Lo scorso dicembre, l’Unione europea ha garantito un centinaio di milioni di euro per fermare le partenze direttamente in paesi come Burkina Faso, Camerun, Senegal, Nigeria e la stessa Libia. La Germania ha pagato 48 milioni di euro e l’Italia altri 22. Ma i risultati, almeno in Libia, sono a dir poco deludenti. L’Oim afferma di aver identificato lo scorso anno 276.957 migranti in Libia, ma nel Paese ce ne sarebbero un milione, provenienti in gran parte da Paesi non in guerra come Egitto, Sudan e Bangladesh. Lo scorso anno l’agenzia internazionale, che è collegata all’Onu, ha rimpatriato dall’ex possedimento di Mu’ammar Gheddafi la bellezza di 1589 migranti... Dal 2014 sono tornati a casa, grazie agli incentivi che ha fornito, in 3045, una goccia nell’ondata di arrivi in Italia che solo nel 2016 sono stati 181 mila.
Secondo Agenfor international, organizzazione non governativa italiana con sede a Tripoli specializzata in sicurezza, i migranti fermati in Libia sono trattenuti in due tipi di strutture diverse. La prima è controllata dal locale ministero della Giustizia, con 32 prigioni che ospitano cinquemila persone. «Sono gli immigrati che hanno commesso crimini specifici e che al termine della detenzione non vengono rimpatriati» spiega Sergio Bianchi, direttore di Agenfor. «Spesso si tratta dei più pericolosi, che vengono poi spediti in Italia ed entrano a far parte della criminalità di casa nostra».
La seconda struttura, che conta 28 centri fra Tripoli e Bengasi, è gestita dal ministero dell’Interno libico e trattiene circa 3500 migranti. Invece nel sud del Paese, vera porta d’ingresso da molti Stati africani, i centri sono chiusi. Attorno a Sebha stanno combattendo da settimane le forze del generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, e quelle della milizia di Misurata alleata del governo di Tripoli. Sebha è il capoluogo della regione desertica del Fezzan, da dove si snoda la principale direttrice nel traffico di essere umani verso l’Italia. «È il cuore della rotta che collega il Sahel e l’Africa Occidentale alla costa» prosegue Bianchi. «La città è suddivisa fra 17 milizie tribali, che controllano ognuna un pezzo del traffico di migranti e si combattono e si alleano con le mafie del Chad e, soprattutto della Nigeria, per conquistare quote di mercato».
Nella vana speranza di stabilizzare Sebha, il ministro dell’Interno italiano Mar
co Minniti ha chiuso un accordo a Roma con i rappresentanti delle tribù del Sud: in particolare fra Abna Suleyman e Tebu, con il supporto dei Tuareg. E il 20 aprile il premier Paolo Gentiloni ha incontrato a Washington il presidente Donald Trump per chiedere maggiore coinvolgimento Usa in Libia. Il tema del flusso di barconi in arrivo dalle coste libiche sarà poi sul tavolo del prossimo G7 a Taormina, il 26 e 27 maggio.
Al momento sarebbero 150 mila i migranti pronti a partire dalla Libia per l’Italia. E anche quelli fermati «sono integralmente gestiti da varie milizie, che decidono chi far venire in Italia o chi far tornare a casa attraverso il rimpatrio volontario» spiega la fonte di Panorama che opera in Libia. E chi gestisce questi rimpatri volontari? Proprio l’Oim, che viene sfruttata come «un’agenzia di viaggio». Secondo la nostra fonte, «le milizie si fanno pagare per assegnare i migranti. Quindi un paio di pseudo funzionari consolari effettuano i riconoscimenti basati su un’intervista approssimativa». Non a caso, i rimpatri sono poche migliaia. Spiega la fonte: «Il ritorno a casa lo paga la Ue insomma con i soldi versati all’Oim. Peccato che quegli stessi migranti possano poi rientrare in Libia con altro nome e falsi documenti ottenuti con due soldi». (Fausto Biloslavo)