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04 luglio 2017 - Attualità - Italia - Il Giornale
Ue, Libia e navi: i dubbi del piano Minniti
Fausto Biloslavo
Paesi europei recalcitranti ad accogliere i migranti arrivati da noi e tantomeno a farli sbarcare nei loro porti. Grandi difficoltà a operare in Libia, dove il governo, appoggiato dall\'Onu e dall\'Italia, è debole. Non solo: le motovedette consegnate alla guardia costiera di Tripoli sono disarmate contro i trafficanti ed i confini meridionali di 5mila chilometri difficili da controllare. Oltre alle Ong, che puntano i piedi contro regolamentazione e controllo del loro operato in alto mare.
Il piano dell\'Italia per arginare l\'«invasione» nasce già claudicante, nonostante l\'impegno del ministro dell\'Interno, Marco Minniti. Il primo ostacolo è la solidarietà europea che vale quasi sempre solo a parole. Minniti d i suoi colleghi tedesco e francese avevano appena concluso un vertice sui migranti, che è intervenuto a gamba tesa il presidente Emmanuel Macron. Parigi non ha alcuna intenzione di far attraccare una sola nave nei suoi porti. E lo stesso discorso vale per la Spagna. La disponibilità francese a diminuire il peso degli arrivi sulle nostre spalle si restringe alla minoranza dei profughi, che hanno diritto all\'asilo e non ai migranti economici, stragrande maggioranza. A parole l\'Ue è pronta ad imprimere una svolta ai ricollocamenti nei vari paesi, che per ora è un fallimento totale in termini numerici, ma furbescamente non vuole allargare le nazionalità previste. Di fatto sono stati ricollocati dall\'Italia solo poche migliaia di siriani ed eritrei.
Il buco nero della Libia rischia di far franare qualsiasi piano ben fatto, ma studiato a tavolino. Si punta ad aumentare l\'addestramento e le capacità della Guardia costiera libica. Al momento le quattro motovedette già consegnate non vengono utilizzate perché inadatte ai soccorsi in mare e soprattutto disarmate contro i trafficanti armati fino ai denti. I controlli dei confini meridionali della Libia, porta d\'ingresso dei migranti dal resto dell\'Africa, attraverso i paesi confinanti è un\'altra chimera. Non solo per i 5mila chilometri di frontiera nel deserto, ma per la scarsa affidabilità dei governi e delle forze di sicurezza locali, nonostante l\'aumento dei fondi europei per fermare il flusso di migranti all\'origine.
L\'unico dato certo è che tutti i paesi europei vogliono un codice di «condotta» delle Ong scritto dall\'Italia. Peccato che le associazioni di sinistra come l\'Arci abbiamo già alzato gli scudi per difendere le organizzazioni non governative. Minniti ha buone idee, ma non sarà facile tenere la flottiglia umanitaria lontana dalle acque libiche o vietare l\'ingresso nei nostri porti. Basti pensare che le Ong hanno rifiutato sdegnate la presenza a bordo di agenti italiani per individuare scafisti o trafficanti. Anche la lotta sulla maggiore trasparenza di bilanci e sostenitori sarà dura. La discussa Moas con sede a Malta non ha ancora reso pubblico il bilancio dello scorso anno, nonostante le promesse. Per ora il vero dato reale è che gli arrivi dall\'inizio dell\'anno sono in aumento del 20% (85.183 migranti) rispetto allo stesso periodo del 2016. E difficilmente il piano italiano invertirà la tendenza.
[continua]

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30 aprile 2020 | Tg5 | reportage
L'anticamera dell'inferno
Fausto Biloslavo TRIESTE - “Per noi in prima linea c’è il timore che il ritorno alla vita normale auspicata da tutti possa portare a un aumento di contagi e dei ricoveri di persone in condizioni critiche” ammette Gianfranco, veterano degli infermieri bardato come un marziano per proteggersi dal virus. Dopo anni in pronto soccorso e terapia intensiva lavorava come ricercatore universitario, ma si è offerto volontario per combattere la pandemia. Lunedì si riapre, ma non dimentichiamo che registriamo ancora oltre 250 morti al giorno e quasi duemila nuovi positivi. I guariti aumentano e il contagio diminuisce, però 17.569 pazienti erano ricoverati con sintomi fino al primo maggio e 1578 in rianimazione. Per entrare nel reparto di pneumologia semi intensiva respiratoria dell’ospedale di Cattinara a Trieste bisogna seguire una minuziosa procedura di vestizione. Mascherina di massima protezione, tuta bianca, copri scarpe, doppi guanti e visiera per evitare il contagio. Andrea Valenti, responsabile infermieristico, è la guida nel reparto dove si continua a combattere, giorno e notte, per strappare i contagiati alla morte. Un grande open space con i pazienti più gravi collegati a scafandri o maschere che li aiutano a respirare e un nugolo di tute bianche che si spostano da un letto all’altro per monitorare o somministrare le terapie e dare conforto. Un contagiato con i capelli grigi tagliati a spazzola sembra quasi addormentato sotto il casco da marziano che pompa ossigeno. Davanti alla finestra sigillata un altro paziente che non riesce a parlare gesticola per indicare agli infermieri dove sente una fitta di dolore. Un signore cosciente, ma sfinito, con i tubi dell’ossigeno nel naso è collegato, come gli altri, a un monitor che segnala di continuo i parametri vitali. “Mi ha colpito un paziente che descriveva la sensazione terribile, più brutta del dolore, di non riuscire a respirare. Diceva che “è come se mi venisse incontro la morte”” racconta Marco Confalonieri direttore della struttura complessa di pneumologia e terapia intensiva respiratoria al dodicesimo piano della torre medica di Cattinara. La ventilazione non invasiva lascia cosciente il paziente che a Confalonieri ha raccontato come “bisogna diventare amico con la macchina, mettersi d’accordo con il ventilatore per uscire dal tunnel” e tornare alla vita. Una “resuscitata” è Vasilica, 67 anni, operatrice di origine romena di una casa di risposo di Trieste dove ha contratto il virus. “Ho passato un inferno collegata a questi tubi, sotto il casco, ma la voglia di vivere e di rivedere i miei nipoti, compreso l’ultimo che sta per nascere, ti fa sopportare tutto” spiega la donna occhialuta con una coperta sulle spalle, mascherina e tubo per l’ossigeno. La sopravvissuta ancora ansima quando parla del personale: “Sono angeli. Senza questi infermieri, medici, operatori sanitari sarei morta. Lottano ogni momento al nostro fianco”. Il rumore di fondo del reparto è il ronzio continuo delle macchine per l’ossigeno. L’ambiente è a pressione negativa per aspirare il virus e diminuire il pericolo, ma la ventilazione ai pazienti aumenta la dispersione di particelle infette. In 6 fra infermieri ed un medico sono stati contagiati. “Mi ha colpito la telefonata di Alessandra che piangendo ripeteva “non è colpa mia, non è colpa mia” - racconta Confalonieri con il volto coperto da occhialoni e maschera di protezione - Non aveva nessuna colpa, neppure sapeva come si è contagiata, ma si struggeva per dover lasciare soli i colleghi a fronteggiare il virus”. Nicol Vusio, operatrice sanitaria triestina di 29 anni, ha spiegato a suo figlio che “la mamma è in “guerra” per combattere un nemico invisibile e bisogna vincere”. Da dietro la visiera ammette: “Me l’aspettavo fin dalla prime notizie dalla Cina. Secondo me avremmo dovuto reagire molto prima”. Nicol racconta come bagna le labbra dei pazienti “che con gli occhi ti ringraziano”. I contagiati più gravi non riescono a parlare, ma gli operatori trovano il modo di comunicare. “Uno sguardo, la rotazione del capo, il movimento di una mano ti fa capire se il paziente vuole essere sollevato oppure girato su un fianco o se respira male” spiega Gianfranco, infermiere da 30 anni. Il direttore sottolinea che “il covid “cuoce” tutti gli organi, non solo il polmone e li fa collassare”, ma il reparto applica un protocollo basato sul cortisone che ha salvato una novantina di contagiati. Annamaria è una delle sopravvissute, ancora debole. Finalmente mangia da sola un piattino di pasta in bianco e con un mezzo sorriso annuncia la vittoria: “Il 7 maggio compio 79 anni”.

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29 dicembre 2010 | | reportage
Gli occhi della guerra a Trieste
Dopo aver portato la mostra su 25 anni di reportage di guerra in tutta Italia, finalmente il 29 dicembre è stata inaugurata a Trieste, presso la sala espositiva della Parrocchia di Santa Maria Maggiore, via del Collegio 6. Gli occhi della guerra sono dedicati ad Almerigo Grilz e a tutti i giornalisti caduti sul fronte dell'informazione. La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 10 al 20 gennaio. L'evento è stato organizzato dal Circolo universitario Hobbit con la sponsorizzazione della Regione.

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05 febbraio 2015 | Porta a Porta | reportage
IN RICORDO DELLE FOIBE E L'ESODO LA PUNTATA DI PORTA A PORTA


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20 giugno 2017 | WDR | intervento
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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