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Articolo
28 ottobre 2017 - Prima - Italia - Il Giornale
Così crescono e dobbiamo fidarci
di Fausto Biloslavo
«P apà sono in terza media. Non osare presentarti a scuola per venire a prendermi» è la dichiarazione di «guerra» di mia figlia Beatrice. Al canonico incontro a cena, quando tutta la famiglia ha un po\\\' di tempo per se stessa, l\\\'obbligo scaturito da un\\\'ordinanza della Cassazione di andare a prendere i figli a scuola fino ai 14 anni ha avuto l\\\'impatto di una «bomba». Beatrice, pochi mesi sotto la soglia, va da sola in classe, ogni mattina, dalla quarta elementare. Gli adolescenti difendono le loro piccole conquiste di autonomia con le unghie e con i denti. In questo caso, poi, sarebbe ingiusto regredirli a livello di bambini, che hanno bisogno di mamma o papà per tornare a casa. Di fronte a se stessi e ai compagni di classe sarebbe una specie di «vergogna». E poi la stessa scuola dovrebbe servire a lanciare gli studenti nella vita staccandosi dal bozzolo dei genitori. A mamma e papà spetta il compito di far assumere ai figli, ogni giorno che passa, sempre più responsabilità con un minimo di sale in zucca. Per questo Beatrice va e torna sola da scuola. Certo viviamo nella tranquilla Trieste, che non nasconde insidie e pericoli più evidenti nelle grandi città. Però c\\\'è sempre l\\\'ansia da Whatsapp per il messaggio mattutino di nostra figlia, che ci avvisa di essere arrivata sana e salva sul banco di scuola. Lungo il tragitto passa vicino al giardinetto frequentato dai drogati e sull\\\'autobus ogni tanto c\\\'è qualche ubriaco o gente fuori di testa. Non solo: anche a Trieste è stato beccato un gruppetto di richiedenti asilo afghani che spacciava droga ai minorenni. Il ministro alla Pubblica istruzione Valeria Fedeli, che ha caldeggiato il rispetto dell\\\'obbligo dei genitori di andare a prendere i figli dopo il suono del campanello, vive sulla Luna. L\\\'aspetto più paradossale è che continueranno ad andare a scuola da soli al mattino. E mi chiedo cosa cambia fra un teenager di 13 anni e uno di 14, che invece può tornare da solo? Per non parlare del caos familiare se entrambi i genitori lavorano e gli orari non coincidono con quello scolastico. La battuta del ministro sui nonni e il grande piacere di andare a prendere i nipotini con l\\\'aggiunta di un «potessi farlo» ha sollevato la furia di tanti genitori, che magari vivono in altre città rispetto al resto della famiglia. Non solo sembra che il ministro viva sulla Luna, ma solo in ritardo si è allineata alla proposta di buon senso della deputata Pd per la scuola, Simona Malpezzi. Basta approvare velocemente una norma in Parlamento che permetta ai genitori di decidere se far tornare i figli da soli a casa o meno, senza alcuna responsabilità per la scuola, come di fatto avveniva fino a oggi.

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30 aprile 2020 | Tg5 | reportage
L'anticamera dell'inferno
Fausto Biloslavo TRIESTE - “Per noi in prima linea c’è il timore che il ritorno alla vita normale auspicata da tutti possa portare a un aumento di contagi e dei ricoveri di persone in condizioni critiche” ammette Gianfranco, veterano degli infermieri bardato come un marziano per proteggersi dal virus. Dopo anni in pronto soccorso e terapia intensiva lavorava come ricercatore universitario, ma si è offerto volontario per combattere la pandemia. Lunedì si riapre, ma non dimentichiamo che registriamo ancora oltre 250 morti al giorno e quasi duemila nuovi positivi. I guariti aumentano e il contagio diminuisce, però 17.569 pazienti erano ricoverati con sintomi fino al primo maggio e 1578 in rianimazione. Per entrare nel reparto di pneumologia semi intensiva respiratoria dell’ospedale di Cattinara a Trieste bisogna seguire una minuziosa procedura di vestizione. Mascherina di massima protezione, tuta bianca, copri scarpe, doppi guanti e visiera per evitare il contagio. Andrea Valenti, responsabile infermieristico, è la guida nel reparto dove si continua a combattere, giorno e notte, per strappare i contagiati alla morte. Un grande open space con i pazienti più gravi collegati a scafandri o maschere che li aiutano a respirare e un nugolo di tute bianche che si spostano da un letto all’altro per monitorare o somministrare le terapie e dare conforto. Un contagiato con i capelli grigi tagliati a spazzola sembra quasi addormentato sotto il casco da marziano che pompa ossigeno. Davanti alla finestra sigillata un altro paziente che non riesce a parlare gesticola per indicare agli infermieri dove sente una fitta di dolore. Un signore cosciente, ma sfinito, con i tubi dell’ossigeno nel naso è collegato, come gli altri, a un monitor che segnala di continuo i parametri vitali. “Mi ha colpito un paziente che descriveva la sensazione terribile, più brutta del dolore, di non riuscire a respirare. Diceva che “è come se mi venisse incontro la morte”” racconta Marco Confalonieri direttore della struttura complessa di pneumologia e terapia intensiva respiratoria al dodicesimo piano della torre medica di Cattinara. La ventilazione non invasiva lascia cosciente il paziente che a Confalonieri ha raccontato come “bisogna diventare amico con la macchina, mettersi d’accordo con il ventilatore per uscire dal tunnel” e tornare alla vita. Una “resuscitata” è Vasilica, 67 anni, operatrice di origine romena di una casa di risposo di Trieste dove ha contratto il virus. “Ho passato un inferno collegata a questi tubi, sotto il casco, ma la voglia di vivere e di rivedere i miei nipoti, compreso l’ultimo che sta per nascere, ti fa sopportare tutto” spiega la donna occhialuta con una coperta sulle spalle, mascherina e tubo per l’ossigeno. La sopravvissuta ancora ansima quando parla del personale: “Sono angeli. Senza questi infermieri, medici, operatori sanitari sarei morta. Lottano ogni momento al nostro fianco”. Il rumore di fondo del reparto è il ronzio continuo delle macchine per l’ossigeno. L’ambiente è a pressione negativa per aspirare il virus e diminuire il pericolo, ma la ventilazione ai pazienti aumenta la dispersione di particelle infette. In 6 fra infermieri ed un medico sono stati contagiati. “Mi ha colpito la telefonata di Alessandra che piangendo ripeteva “non è colpa mia, non è colpa mia” - racconta Confalonieri con il volto coperto da occhialoni e maschera di protezione - Non aveva nessuna colpa, neppure sapeva come si è contagiata, ma si struggeva per dover lasciare soli i colleghi a fronteggiare il virus”. Nicol Vusio, operatrice sanitaria triestina di 29 anni, ha spiegato a suo figlio che “la mamma è in “guerra” per combattere un nemico invisibile e bisogna vincere”. Da dietro la visiera ammette: “Me l’aspettavo fin dalla prime notizie dalla Cina. Secondo me avremmo dovuto reagire molto prima”. Nicol racconta come bagna le labbra dei pazienti “che con gli occhi ti ringraziano”. I contagiati più gravi non riescono a parlare, ma gli operatori trovano il modo di comunicare. “Uno sguardo, la rotazione del capo, il movimento di una mano ti fa capire se il paziente vuole essere sollevato oppure girato su un fianco o se respira male” spiega Gianfranco, infermiere da 30 anni. Il direttore sottolinea che “il covid “cuoce” tutti gli organi, non solo il polmone e li fa collassare”, ma il reparto applica un protocollo basato sul cortisone che ha salvato una novantina di contagiati. Annamaria è una delle sopravvissute, ancora debole. Finalmente mangia da sola un piattino di pasta in bianco e con un mezzo sorriso annuncia la vittoria: “Il 7 maggio compio 79 anni”.

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24 novembre 2015 | Rai 1 Storie vere | reportage
Terrorismo in Europa
Dopo gli attacchi di Parigi cosa dobbiamo fare per estirpare la minaccia in Siria, Iraq e a casa nostra

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21 settembre 2012 | La Vita in Diretta | reportage
Islam in Italia e non solo. Preconcetti, paure e pericoli


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20 giugno 2017 | WDR | intervento
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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