Nei centri di accoglienza che ho girato nell’ultimo anno almeno un terzo degli eritrei sono finti. In gran parte si tratta di etiopi del Tigrai, che parlano la stessa lingua e hanno tratti somatici simili ai nostri». A denunciare lo sconcertante imbroglio è un richiedente asilo che viene da Asmara. L’aspirante rifugiato prosegue: «In Africa, grazie alla corruzione, rubano e vendono le nostre identità perchè abbiamo diritto alla protezione internazionale, ma ci meravigliamo che questo venga tollerato in Italia».
Gli eritrei in attesa dell’asilo politico nel nostro Paese adesso sono pochi, 2.651 e gli arrivi in calo (6.386 nel 2017). Però dal 2013, quand’è iniziato il boom dopo il terribile naufragio di Lampedusa (368 morti), sono sbarcati in Italia 109.266 migranti che hanno dichiarato di essere eritrei. In gran parte hanno proseguito verso Svizzera, Germania o paesi del Nord Europa. Oltre un terzo sarebbe in realtà di nazionalità etiope, ovvero migranti per motivi economici che non hanno diritto automatico all’asilo politico.
Già due anni fa l’ambasciatore austriaco in Etiopia, Andreas Melan, aveva denunciato l’inghippo sostenendo che «il 30-40 per cento dei rifugiati eritrei in Europa sono in realtà etiopi». Una precisazione: fra Etiopia ed Eritrea non corre buon sangue, dopo la sanguinosa guerra del 1998, che ancora non ha tracciato un confine definitivo. L’uomo forte di Asmara, il presidente Isaias Afewerki, è accusato di autoritarismo e scarso rispetto dei diritti umani, anche se ultimamente la situazione starebbe migliorando. Ma i giovani continuano a scappare: per non sottoporsi al gravoso servizio militare e per motivi economici, alla ricerca dell’Eldorado occidentale.
Oggi anche l’ambasciatore eritreo a Roma, Pietros Fessahazion, ribadisce: «Il 40 per cento di quelli che ottengono l’asilo sono in realtà etiopi». Panorama ha indagato sulla vicenda, portando alla luce un meccanismo che si basa su furti di identità a partire dai campi profughi dell’Onu in Etiopia e Sudan, su mediatori culturali compiacenti che sorvolano sulla vera nazionalità del migrante e su personaggi, come l’eritreo don Mussie Zerai, capaci di mobilitare i soccorsi in mare per recuperare i barconi al largo della Libia.
Gli stessi richiedenti asilo eritrei doc rivelano i particolari. Chi scrive li ha incontrati e conosce le loro identità, ma nell’articolo sono indicati con nomi di fantasia per evitare che subiscano ritorsioni. «Nel campo profughi in Etiopia di Mai Ani mi hanno rubato l’identità» spiega Fasil, arrivato nel 2016 in Italia con un barcone. «Dopo anni di attesa del ricollocamento dell’Onu nei Paesi disponibili ho scoperto che era già partita un’altra persona con le mie generalità». I Paesi che accolgono gli eritrei attraverso le Nazioni Unite sono Stati Uniti, Canada, Australia, Norvegia, Francia e più recentemente l’Italia. Il giovane eritreo, che oggi ha 27 anni, racconta dell’imbarazzo della funzionaria occidentale dell’Agenzia per i rifugiati (Unhcr), che ha controllato sul computer il suo nome: «È rimasta stupefatta. I miei dati risultavano corretti, ma la foto della persona già partita grazie alle Nazioni Unite non era mia. Mi avevano fregato».
Secondo gli eritrei, in Africa vendere identità o documenti, soprattutto agli etiopi, è un business consolidato. Il prezzo di tutta l’operazione in valuta locale varia da 50 mila birr (1.840 euro) a 150 mila birr (5500 euro circa). Solo la carta d’identità eritrea viene venduta a 900 dollari. Negli ultimi quattro anni sono state 12.916 le richieste di asilo in Italia, ma oltre 100 mila migranti giunti via mare si sono dichiarati eritrei allo sbarco. A luglio il ministro dell’Informazione dell’Asmara, Yemane Gebre Meskel, ha dichiarato alla Bbc che «il numero degli eritrei che lasciano il Paese è esagerato. Fra il 40 e 60 per cento sono dell’Etiopia o di altri paesi del Corno d’Africa». Yosef, il più anziano dei richiedenti asilo incontrati da Panorama, racconta come «i finti eritrei chiedono dettagli sul mio Paese o sull’inno nazionale, per sostenere la bugia sulla nazionalità. Mi è capitato a Roma al centro della Croce rossa di via Ramazzini, ora smantellato, e al Cara di Bari».
Munir e Futsum, fisici segaligni, arrivati a novembre, confermano: «Nel centro di accoglienza della capitale, dove viviamo, un finto eritreo ci ha chiesto quanti colori ha la nostra bandiera. Era un etiope che doveva fare l’intervista per la richiesta d’asilo». Diversi mediatori culturali e interpreti chiudono un occhio o addirittura favoriscono la «truffa» dei profughi eritrei. «Per 15 anni ho fatto da interprete nelle Commissioni per il riconoscimento dell’asilo» racconta un’italo-eritrea. «Tanti tigrini dell’Etiopia hanno ottenuto protezione, dicendo che scappavano da Asmara. Non ho segnalato nessuno all’ambasciata, ma ci accusavano di essere spie del governo eritreo: così hanno assunto interpreti etiopi».
Don Mussie Zerai, il «Mosè dei migranti» com’è osannato da un libro, è da anni un punto di riferimento, soprattutto per gli eritrei che arrivano sui barconi. Dall’agosto scorso è indagato dalla procura di Trapani nell’inchiesta sulle ong per «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina». Zerai fa parte di una rete di attivisti eritrei in Europa che sogna il cambio di regime ad Asmara. «Già in Eritrea ho sentito che Zerai poteva aiutarci ad arrivare in Italia» spiega a Panorama un richiedente asilo, dal 2016 a Roma. E un altro aggiunge: «Prima dell’imbarco in Libia si parlava di questo prete che avrebbe mandato i soccorsi». Una fonte della Guardia costiera sottolinea che «le richieste di intervento di Zerai sono risultate ben presto un’anomalia ripetuta nel tempo. Le segnalazioni di soccorso dei barconi partiti dalla Libia arrivavano quasi sempre da lui. Il fondato sospetto è che faccia parte di un sistema, di una rete ben collaudata».
Il sacerdote respinge le accuse, sostenendo di avere sempre «agito nella legalità per motivi umanitari». E si è garantito non poche coperture politiche. A iniziare dalla presidente Laura Boldrini, che l’ha accolto alla Camera. Il 3 ottobre, poi, durante la commemorazione del naufragio di Lampedusa del 2013, ha tenuto, da indagato, la celebrazione davanti al presidente del Senato Piero Grasso (oggi anche leader di Liberi e uguali) e al ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli.
Lucio Montanino, Pietro Gallo e Cristian Ricci, imbarcati sulla Vos Hestia di Save the children come addetti alla sicurezza, hanno dato il via all’inchiesta sulle ong di Trapani, parlando pure delle segnalazioni di un prete eritreo. «Il 10 ottobre 2016 una responsabile di Save the children mostrò al comandante sul telefonino le coordinate precise di un barcone partito dalla Libia, che non si trovava» dice Montanino. Negli atti della procura una telefonata fra Gallo e Ricci spiega l’episodio: «Poi gli ho detto (agli investigatori, ndr) questa storia di quegli eritrei, che dicevano che un prete aveva mandato il messaggio». E Gallo: «Gli è arrivato il messaggio dal prete eritreo e noi ci siamo recati là e abbiamo trovato il barcone di legno (…) e a bordo c’avevamo il mediatore eritreo».
Zerai (proposto per il Nobel per la pace) ha ammesso che avvisava diverse ong, come Medici senza frontiere, WatchTheMed e Sea Watch. A Panorama Gallo conferma: «Il personale di Save the children disse che le coordinate erano arrivate da un prete eritreo in Svizzera». Già, perché don Zerai era stato trasferito da Roma a Friburgo, dove vive una forte comunità eritrea. Prosegue Gallo: «L’impressione era che il barcone fosse stato rimorchiato dai trafficanti in mezzo al mare, che poi hanno inviato la posizione per far arrivare i soccorsi». Investigatori dell’inchiesta di Trapani fanno sapere che «dopo le feste ci saranno novità» sul ruolo ambiguo delle navi umanitarie. Anche una fonte italiana a Tripoli, in prima linea contro il traffico di uomini, conferma: «Pure in Libia è noto che molti migranti eritrei diretti in Italia sono in realtà etiopi. Si spacciano per eritrei sapendo che è facile ottenere l’asilo politico».