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Reportage
03 luglio 2018 - Primo piano - Siria - Corriere del Ticino
Le donne della Jihad che nessuno vuole
«Voglio tornare in Italia, anche se andrò in carcere. Così almeno riabbraccio la mamma, che mi manca tanto…» sostiene convinta Meriem Rehaily scoppiando a piangere. La jihadista di 22 anni di origini marocchine partita dall’Italia per arruolarsi nella guerra santa in Siria, è stata condannata il 12 dicembre dal tribunale di Venezia a 4 anni per avere aderito allo Stato islamico. Adesso è prigioniera dei curdi nel campo Roj, una tendopoli in mezzo al nulla circondata dal filo spinato non lontano dal confine con l’Iraq, che non si trova sulla mappa. Nel campo vivono sotto custodia oltre mille jihadiste come Meriem, le mogli del Califfato con i loro figli. Grazie al crollo delle bandiere nere, nel Nordest della Siria sono prigionieri almeno 800 donne e 1.200 bambini in gran parte stranieri (tra di loro – come confermato lo scorso weekend dal Dipartimento federale degli affari esteri – anche tre donne ed un bimbo di cittadinanza svizzera), oltre ai loro mariti sopravvissuti, circa 400 jihadisti, che provengono da tutto il mondo. Intere famiglie che hanno giurato fedeltà ad Abu Bakr al Baghdadi. «Solo Svizzera, Danimarca e Canada sarebbero disposti a riprendersi le donne con i loro figli, ma a patto che non venga reso pubblico», ha svelato Nadim Houry direttore di Human Rights Watch per il terrorismo. Altre nazioni come Inghilterra, Francia, Germania ed Italia e l’intero Nord Africa, da dove proviene la maggioranza dei combattenti stranieri dell’ISIS, non vogliono saperne di riportarseli a casa. CAMP ROJ (Siria) - La baby jihadista italiana Sonia Khediri partita per la Siria ancora minorenne è pure prigioniera dei curdi nell’altro campo di detenzione di Heyn Issa. “Dello Stato islamico immaginavo qualcosa di più grande di quello che era in realtà” ammette senza mai togliersi il velo integrale, che lascia spazio solo agli occhi. Dopo la sconfitta del Califfato sembra aver perso l’illusione: “Ho amato Daesh (lo Stato islamico nda) pensando di fare la scelta giusta ed invece ho perso la mia vita”. Anche lei, sotto inchiesta per terrorismo internazionale, vuole tornare a casa, ma teme di finire dietro le sbarre \\\\\\\"e di non vedere più i miei bambini”. La bella Jenen di quasi tre anni e Abed al Rahman di solo quattro mesi, che non si staccano mai dalla mamma. In una zona super sorvegliata del campo a nord di Raqqa, dove i giornalisti non possono entrare, sono sotto custodia circa mille jihadiste con i loro bambini. Sonia sostiene di essersi banalmente convinta ad aderire alla Stato islamico “perchè nei video che giravano a Raqqa tutte le donne uscivano con il niqab (velo integrale nda). Volevo vivere come loro senza aver paura di qualcuno che ti vieta di vestirti così”. In realtà sul profilo Facebook ha composto il suo nome con i proiettili del kalashnikov. E pubblicato come copertina la foto di una jihadista coperta da un burqa nero, che imbraccia un fucile mitragliatore con alle spalle la bandiera dello Stato islamico. Le due seguaci del Califfo provenienti dall’Italia sono state attratte entrambe via internet da aitanti adescatori, che le hanno convinte a raggiungerli in Turchia in nome di Allah e dell\\\\\\\'amore. Poi le hanno portate a Raqqa attraverso i canali dell’Isis. Sonia conferma che nella storica capitale dello Stato islamico ha conosciuto “diverse donne arrivate dalla Francia, dal Belgio e dalla Germania”. L’italiana divide la tenda con Maryam Ahmed Mohammed, una marocchina pure lei prigioniera, che vuole mandare i saluti agli zii “a Brescia e Napoli. Se Dio vuole ci rivedremo presto”. Nel campo di Heyn Issa c’è anche una tedesca, che ha lanciato un appello facendosi riprendere con un telefonino dalle guardie. “Mi chiamo Elina Fritzel e sono di Amburgo” sono le prime parole pronunciate in tedesco. In braccio ha uno dei figli ed un altro sta giocherellando ai piedi della madre. Si appella disperatamente all’ambasciata tedesca chiedendo di venirla a prendere, ma in patria sembra che nessuno abbia intenzione di farla tornare a casa.  I prigionieri francesi sarebbero almeno una quarantina come Emilie Konig, 33 anni, arrestata dai curdi nel 2017.  Il 4 giugno a Baghdad una sua connazionale, Melina Boughedir, 27 anni e quattro figli, è stata condannata all’ergastolo. Un’altra jihadista tedesca di origini marocchina è stata punita con la pena di morte.  I curdi hanno abolito il patibolo e dallo scorso anno sono state emesse condanne per 899 jihadisti. La pena più dura è l’ergastolo, ma in molti vengono condannati al di sotto dei cinque anni di carcere. Ed almeno 80 terroristi hanno beneficato di una specie di amnistia. Più complesso processare gli stranieri e soprattutto gli europei. Molte donne temono di venire scambiate con gli ostaggi ancora in mano all’Isis nelle ultime sacche della provincia dei Deir ez-Zor. I genitori di Meriem la jihadista arrivata dall’Italia hanno inviato un appello scritto alle autorità curde. “Abbiate misericordia di questa famiglia che vive nell\\\\\\\'inferno di avere perso la figlia. Una famiglia che non ha nessuna colpa se non quella che l\\\\\\\'Isis ha rubato il fiore più bello della loro vita: Meriem” si legge nella toccante lettera del 7 giugno.  Adesso la figlia si dice pentita: “Sono una terrorista per il governo, ma in Italia non ho fatto niente. Dall’Isis ho subito un lavaggio del cervello. Prima vivevo come una normale adolescente che andava a scuola e usciva con gli amici. Poi ho chiuso gli occhi e mi sono ritrovata in Siria”. In realtà sono stati i pesanti raid aerei russi e alleati a farle cambiare idea. Stesso copione per Sonia: “Quando abitavo nella via dei Treni a Raqqa gli americani hanno bombardato molto vicino più o meno alle 11 di notte. Il cielo si è illuminato di rosso e abbiamo sentito una ventina di volte arrivare i missili, uno dietro l’altro, boom, boom, boom. Era tutto distrutto, ma grazie ad Allah siamo sopravissuti”. Abu Hamza al Abidi, il marito di Sonia, non doveva essere l’ultima recluta dell’Isis. Un drone americano lo ha ucciso all’inizio dell’assedio di Raqqa. Le due seguaci del Califfo sono state catturate sei mesi fa mentre cercavano di fuggire in Turchia per poi tornare in Italia. “Ci sono troppi jihadisti giunti in Europa all’insaputa dei governi” dopo il crollo dell’Isis spiega Meriem. E rivela: “Di donne (jihadiste nda) ne conosco tante che sono riuscite a scappare attraverso la Turchia, ma non posso dire i loro nomi”. Fra i prigionieri che nessuno vuole nel nord est della Siria ci sono anche degli orfani. Due bimbi americani senza genitori vivono nel campo Roj. E manca all’appello anche Ismail Dawood  portato via a tre anni dal padre bosniaco partito dall’Italia per aderire allo Stato islamico. In Siria il papà è morto in battaglia con le bandiere nere. Dawood, probabilmente, è stato adottato dalla famiglia di un suo amico jihadista catturata alla caduta di Raqqa. Oggi ha otto anni e sarà diventato un “leoncino” del Califfo addestrato fin da piccolo con il Corano e moschetto. La madre rimasta in Italia sta cercando disperatamente di trovarlo e si rivolge ai curdi: “Vi supplico di farmi riabbracciare mio figlio che mi può ridare la forza per continuare a vivere”.  OPERAZIONE \\\\\\\"ROUNDUP\\\\\\\" L\\\\\\\'ULTIMO SFORZO PER RIPULIRE I VILLAGGI ANCORA IN MANO ALLO STATO ISLAMICO AL HELLU (Siria) - Nel buio pesto della notte l’artiglieria francese vomita una cannonata dietro l’altra sulle postazioni dello Stato islamico nel nord est della Siria vicino al confine con l’Iraq. I lampi biancastri delle granate che esplodono sugli obiettivi illuminano il fronte dell’ultima sacca delle bandiere nere dopo la caduta di Raqqa, la storica capitale del Califfato. Un dedalo di villaggi a chiazza di leopardo nella valle dell’Eufrate circondati dalla Forze democratiche siriane (Sdf) dominate dai combattenti curdi. L’unica via di fuga sul versante iracheno del confine è presidiata dall’esercito di Baghdad, che collabora nell’offensiva con l’Sdf attraverso il comando della Coalizione alleata contro il terrorismo a Baghdad.  I francesi hanno piazzato il campo con la batteria di artiglieria a pochi chilometri dalla prima linea. Ci passiamo accanto, ma è vietato fotografare. I corpi speciali di Parigi e americani, che operano nel Rojava, la fetta autonoma di Siria in mano ai curdi, sono a caccia dei volontari stranieri intrappolati nella grande sacca. Non hanno più via di scampo come Adrien Guihal, il jihadista francese catturato in un’operazione coordinata e segreta il 19 maggio assieme alla moglie. Meglio noto con il nome di guerra Abu Osama al-Fransi era un reclutatole via internet dell’Isis coinvolto negli attacchi del terrore a Parigi e Nizza.  Lo scorso febbraio sono finiti nella mani dei curdi i due ultimi latitanti della famigerata banda dei “Beatles” i quattro tagliagole inglesi guidati dal famoso Jihadi John specializzato nelle decapitazioni di ostaggi occidentali davanti ad una telecamera. Il capo degli assassini in nome della guerra santa era stato incenerito da un drone, ma gli altri sembravano spariti nel nulla. Tutti originari dello stesso quartiere di Londra sono finiti male. Aine Davis è stato arrestato in Turchia dopo essere fuggito dalla Siria. Alexanda Kotey ed El Shafee Elsheikh sono prigionieri dei curdi. L’Inghilterra ha strappato la loro cittadinanza ed il governo di Sua Maestà non vuole saperne di riprenderseli per processarli e sbatterli in galera.  In gennaio durante i combattimenti che hanno spinto i resti delle forze jihadiste nella sacca è morto un altro famoso foreign fighter giunto dall’Europa, Denis Cuspert noto come Deso Dogg. Ex rapper di successo in Germania si è convertito all’Islam unendosi al Califfato in Siria. Dall’inizio di maggio i curdi con l’appoggio alleato hanno lanciato l’operazione Roundup per ripulire i villaggi ancora in mano allo Stato islamico. Spesso si tratta di un pugno di case in paglia e terra, dove viene issata la bandiera bianca quando cominciano a scarseggiare viveri e acqua. Le donne inneggiano alla libertà davanti ai pochi giornalisti che si avventurano da queste parti. E non manca qualche giovane barbuto, che fino al giorno prima imbracciava il kalashnikov per le bandiere nere e adesso fa finta di accogliere i curdi come liberatori. I bombardamenti alleati, anche una decina al giorno, aprono la strada alle Forze democratiche siriane.  I curdi hanno conquistato anche la raffineria ed i pozzi che venivano sfruttati dal Califfato per il contrabbando clandestino del petrolio in Turchia. La zona strategica è contesa dai governativi siriani attestati sulla sponda meridionale dell’Eufrate, che godono dell’appoggio di russi. Negli ultimi capisaldi lo Stato islamico utilizza circa 800 ostaggi portati via da Raqqa e Deir ez-Zor come scudi umani. Nelle cittadine di Hajin and Sha’fah, i villaggi più grandi completamente circondati, l’intelligence sospetta che si nascondano 65 combattenti stranieri della guerra santa di alto profilo compresi europei. In pratica quello che resta del vertice jihadista dello Stato islamico in Siria. Un combattente curdo ci mostra la visione satellitare in tempo reale di Sha’fah su un tablet fornito dagli americani, che serve a indirizzare gli attacchi aerei e l’artiglieria. Nella stessa zona era stato segnalato, per l’ultima volta dopo la fuga da Raqqa, l’imprendibile Califfo Abu Bakr Al Baghdadi scomparso come un fantasma. Fausto Biloslavo \"TUTTI I PAESI D\'ORIGINE RIFIUTANO DI OCCUPARSEN\" Fausto Biloslavo HEYN ISSA (Siria) - Nel caldo soffocante del quartier generale delle Forze democratiche siriane ad Heyn Issa, sulla strada per Raqqa, Mustafà Bali si presenta sempre in mimetica, come nei mesi dell’assedio alla defunta capitale dello Stato islamico. Collo taurino e occhi chiari gira per la base con un rasoio elettrico per farsi la barba prima delle interviste. Ufficiale dei curdi, che controllano il nord est della Siria con l’appoggio americano, è lui che media con l’intelligence per autorizzare i giornalisti ad incontrare i prigionieri jihadisti. Gli stranieri catturati dalle Forze democratiche siriane, comprese le famiglie ed i terroristi dello Stato islamico, sono circa tremila. Ed i loro paesi di origine non ne vogliono sapere di riportarseli a casa per processarli o sbatterli in carcere.  A cominciare dalle nazioni europee come Inghilterra, Francia, Germania ed Italia che preferiscono lasciare la grana nella mani dei curdi. In questa intervista Mustafà Bali denuncia, senza peli sulla lingua, il silenzio pilatesco dell’Europa sui prigionieri jihadisti dimenticati. E la mancanza di strutture adeguate per tenere in custodia i seguaci del Califfo e processarli per le loro colpe. Come state affrontando il problema dell’alto numero di prigionieri catturati dopo il crollo dello Stato islamico? “Gran parte degli arresti sono avvenuti mentre i terroristi cercavano di passare il confine per entrare in Turchia. E poi il loro obiettivo era di proseguire verso l’Europa. Questo significa che se è un problema per noi è anche un problema per voi europei. Sul territorio abbiamo poche infrastrutture adatte alla custodia. Non siamo in grado di sostenere a lungo questo peso. La nostra richiesta ai paesi coinvolti è chiara: Per favore venite a prendere i vostri jihadisti per giudicarli e punirli per i loro crimini”.  E qual è stata la risposta? “Silenzio totale. Non solo i paesi europei, ma pure le nazioni nord africane hanno fatto orecchie da mercante sui propri jihadisti. Addirittura una Ong marocchina ci ha accusato di riconsegnare le famiglie del Califfo allo Stato islamico. Non è vero, ma per tagliare la testa al toro che vengano a prendersi i propri cittadini. Gli europei non ci hanno neppure mandato uno straccio di aiuti per  sostenere i prigionieri che hanno il loro passaporto. Semplicemente se ne fregano lasciando a noi la patata bollente”. Nessuno si è fatto carico dei propri jihadisti? “Solo l’Indonesia e la Russia hanno lanciato un programma cominciando a riportarseli a casa. Gli altri paesi neppure rispondono alle nostre sollecitazioni”. Quanti sono gli stranieri dello Stato islamico che avete catturato durante e dopo la battaglia per la liberazione di Raqqa dello scorso anno? “Le donne ed i bambini del Califfato che abbiamo in custodia sono migliaia. Nel campo di Roy sono rinchiuse circa 450 famiglie (circa 1350 persone nda). Un numero equivalente è sotto sorveglianza nel campo di Heyn Issa. Per quanto riguarda i combattenti stranieri veri e propri  dello Stato islamico ne abbiamo catturati centinaia”. Quali sono le  nazionalità dei prigionieri attirati dalle sirene del Califfato? “Il numero più alto è quello dei maghrebini proveniente dai paesi del Nord Africa soprattutto tunisini e marocchini. Ci sono anche gli europei in particolare dalla Francia e dalla Gran Bretagna. Ma pure donne tedesche. Il 19 maggio le Forze democratiche siriane hanno catturato in un’operazione speciale il terrorista Abu Osama al Fransi coinvolto negli attacchi di Parigi e di Nizza”. Però ci sono anche tanti bambini fatti prigionieri con i genitori…. “E’ un grosso problema perchè hanno subito il lavaggio del cervello da parte dello Stato islamico. Stiamo cercando di avviare un programma di deradicalizzazione e riabilitazione delle loro menti, ma abbiamo pochi mezzi. Immaginate una ragazzina di dieci anni coperta dalla testa ai piedi con il velo integrale, che non ha visto altro nella sua giovane vita. Convincerla a cambiare idea è un’impresa estremamente difficile”. Cosa vorrebbero fare le mogli dei mujaheddin che avete catturato? “Molte sperano semplicemente di tornare a casa, anche se rischiano il carcere. Riceviamo di continuo appelli di donne europee, come una tedesca di Amburgo di pochi giorni fa, rivolti ai loro governi. Sono pronte a consegnarsi, ma le ambasciate non ne vogliono sentire parlare”.   Le organizzazioni internazionali come la Croce rossa stanno facendo qualcosa per affrontare la situazione? “Da quanto mi risulta nè la Croce rossa, nè l’Onu se ne sta occupando”. Cosa farete se non riuscite a rimandare i prigionieri jihadisti a casa loro? “Non esiste ancora un progetto chiaro su cosa fare di questa gente, ma abbiamo i nostri tribunali. L’unica certezza è che vanno giudicati e puniti”. Dopo la liberazione di Raqqa, storica “capitale” del Califfato, le bandiere nere continuano a resistere al confine con l’Iraq? “L’ultima fase di ogni conflitto è la più difficile. Abbiamo lanciato l’operazione Roundup per conquistare le ultime sacche dell’Isis, ma ci sono civili e anche ostaggi usati come scudi umani. Lo Stato islamico controlla diversi villaggi a chiazza di leopardo su un’area di diecimila chilometri quadrati grande come il Libano a ridosso del confine iracheno. Dall’altra parte della frontiera opera in collaborazione con noi l’esercito di Baghdad per chiudere qualsiasi via di fuga. Ci vorrà tempo per liberare i villaggi uno ad uno. Per questo l’operazione potrebbe durare ancora mesi e concludersi verso la fine dell’anno”.

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25 gennaio 2016 | Tg5 | reportage
In Siria con i russi
La guerra dei russi in Siria dura da 4 mesi. I piloti di Mosca hanno già compiuto 5700 missioni bombardando diecimila obiettivi. In queste immagini si vedono le bombe da 500 o 1000 chili sganciate sui bersagli che colpiscono l’obiettivo. Un carro armato della bandiere nere cerca di dileguarsi, ma viene centrato in pieno e prende fuoco. In Siria sono impegnati circa 4mila militari russi. La base aerea a 30 chilometri dalla città siriana di Latakia è sorvolata dagli elicotteri per evitare sorprese. Le bombe vengono agganciate sotto le ali a ritmo continuo. I piloti non parlano con i giornalisti, ma si fanno filmare con la visiera del casco abbassato per evitare rappresaglie dei terroristi. Il generale Igor Konashenkov parla chiaro: “Abbiamo strappato i denti ai terroristi infliggendo pesanti perdite - sostiene - Adesso dobbiamo compiere il prossimo passo: spezzare le reni alla bestia”. Per la guerra in Siria i russi hanno mobilitato una dozzina di navi come il cacciatorpediniere “Vice ammiraglio Kulakov”. Una dimostrazione di forza in appoggio all’offensiva aerea, che serve a scoraggiare potenziali interferenze occidentali. La nave da guerra garantisce la sicurezza del porto di Tartus, base di appoggio fin dai tempi dell’Urss. I soldati russi ci scortano nell’entroterra dilaniato dai combattimenti. Negli ultimi tre anni la cittadina era una roccaforte del Fronte al Nusra, la costola siriana di Al Qaida. Le bombe russe hanno permesso ai governativi, che stavano perdendo, di riguadagnare terreno. Sul fronte siriano i militari di Mosca usano il blindato italiano Lince. Lo stesso dei nostri soldati in missione in Afghanistan.

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12 settembre 2013 | Tg5 | reportage
Diario di guerra ia Damasco
Tadamon la prima linea a 500 metri dai vicoli dove i bambini giocano a pallone.

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12 settembre 2013 | Tg5 | reportage
Maaalula: i tank governativi che martellano i ribelli
Il nostro inviato in Siria, Fausto Biloslavo, torna nel mezzo dei combattimenti fra le cannonate dei carri armati

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02 luglio 2015 | Radio24 | intervento
Siria
La famiglia jihadista
"Cosa gradita per i fedeli!!! Dio è grande! Due dei mujaheddin hanno assassinato i fumettisti, quelli che hanno offeso il Profeta dell'Islam, in Francia. Preghiamo Dio di salvarli”. E’ uno dei messaggi intercettati sulla strage di Charlie Hebdo scritto da Maria Giulia Sergio arruolata in Siria nel Califfato. Da ieri, la prima Lady Jihad italiana, è ricercata per il reato di associazione con finalità di terrorismo internazionale. La procura di Milano ha richiesto dieci mandati di cattura per sgominare una cellula “familiare” dello Stato islamico sotto indagine da ottobre, come ha scritto ieri il Giornale, quando Maria Giulia è arrivata in Siria. Il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli ha spiegato, che si tratta della “prima indagine sullo Stato Islamico in Italia, tra le prime in Europa”.

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02 dicembre 2015 | Radio uno Tra poco in edicola | intervento
Siria
Tensione fra Turchia e Russia
In collegamento con Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa. In studio conduce Stefano Mensurati.

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23 gennaio 2014 | Radio Città Futura | intervento
Siria
La guerra continua


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