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10 luglio 2018 - Atttualità - Italia - Il Giornale
La missione Sophia “aiuta” i trafficanti Gli aerei segnalano i barconi alle Ong
Fausto Biloslavo
Chiara Giannini
Sembra un controsenso, ma se da una parte l\'operazione Sophia vede, grazie a un progetto di Europol, l\'incremento dei controlli a bordo delle sue navi per il contrasto al terrorismo e al crimine internazionale, dall\'altro aiuta, inconsapevolmente, i trafficanti di esseri umani. Nei giorni scorsi è stata attivata la Crime Information Cell, una realtà che, in via sperimentale, per i prossimi sei mesi si occuperà, all\'interno della task force di Eunavfor Med operazione Sophia, di facilitare la raccolta e la trasmissione di informazioni sul traffico e la tratta di esseri umani, sull\'attuazione dell\'embargo sancito dall\'Onu sulle armi da e per la Libia, sul traffico illegale di petrolio dalla Libia e su tutte la altre attività criminali che si svolgono nel Mediterraneo. Un lavoro di intelligence, a cui partecipa anche Frontex, che servirà ad acquisire informazioni sul traffico di migranti e sul terrorismo internazionale. A bordo dei barconi, infatti, è possibile si nascondano ex militanti Isis pronti a tornare in Europa. Anche l\'Italia partecipa al progetto e nei giorni scorsi un team di cinque specialisti appartenenti alle Agenzie europee Europol, Frontex ed Eunavfor Med, dal porto di Augusta si è imbarcato sulla nave San Giusto, sede del comando della task force dedicata.
Tutte le informazioni recuperate saranno utili a prevenire rischi per i Paesi che partecipano all\'operazione e serviranno a Frontex per rafforzare il controllo delle frontiere esterne. I dati di Europol saranno a disposizione degli investigatori internazionali per le indagini fondamentali per il contrasto al crimine. Una faccia della medaglia che, però, va a cozzare con un aspetto che finora non era stato preso in considerazione.
La missione Sophia aiuta, infatti, indirettamente le navi delle Ong segnalando i gommoni dei migranti con i suoi assetti aerei. Nei primi quattro mesi di quest\'anno i velivoli europei, compreso un elicottero italiano, hanno individuato una decina di volte i gommoni partiti dalla Libia. Poi i migranti sono stati recuperati dalle navi delle Ong appostate in zona. I dati ufficiali per gli avvistamenti in volo in possesso de il Giornale sono disponibili fino ad aprile. E dall\'inizio dell\'anno fino a giugno compreso la flotta europea ha soccorso direttamente e sbarcato in Italia 2.243 profughi o clandestini (oltre 44mila dal 2015). Solo le Ong hanno fatto meglio anche grazie ai velivoli dell\'operazione Sophia. I sei aerei ed elicotteri hanno segnalato un migliaio di migranti in mare fino ad aprile.
Il pilota segnala le coordinate del gommone al comando dell\'ammiraglio italiano Enrico Credendino a bordo di nave San Giusto. La posizione viene passata al Centro di soccorso della Guardia costiera a Roma (Imrcc), che attiva le navi in zona, quasi sempre delle Ong. Il 18 aprile 223 migranti sono stati recuperati a 12 miglia dalla Libia dalla nave umanitaria Aquarius e poi sbarcati a Trapani. La segnalazione di un «velivolo Eunavfor Med» è avvenuta prima, quasi sicuramente quando i gommoni erano all\'interno delle acque territoriale libiche.
Nell\'incidente con la Guardia costiera di Tripoli dello scorso marzo, la nave Open arms, poi sequestrata per qualche settimana dalla magistratura di Catania, ha raccolto 101 migranti. Solo due, per motivi di salute, sono stati sbarcati a Malta. Tutti gli altri hanno proseguito per Pozzallo. La segnalazione è stata lanciata da un elicottero italiano di operazione Sophia. Episodi simili sono capitati anche in gennaio. Ed il 18 aprile il solito «velivolo Eunavfor Med» ha segnalato un gommone con 154 migranti soccorso dai talebani dell\'accoglienza di Sea Watch 3. «Successivamente i migranti - si legge nel rapporto - vengono trasbordati su nave militare Santa Maria» dell\'operazione Sophia e sbarcati nel porto di Augusta.
[continua]

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24 novembre 2015 | Rai 1 Storie vere | reportage
Terrorismo in Europa
Dopo gli attacchi di Parigi cosa dobbiamo fare per estirpare la minaccia in Siria, Iraq e a casa nostra

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18 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
L'Islam nelle carceri
Sono circa 10mila i detenuti musulmani nelle carceri italiane. Soprattutto marocchini, tunisini algerini, ma non manca qualche afghano o iracheno. Nella stragrande maggioranza delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre. Ma il pericolo del radicalismo islamico è sempre in agguato. Circa 80 detenuti musulmani con reati di terrorismo sono stati concentrati in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano. Queste immagini esclusive mostrano la preghiera verso la Mecca nella sezione di Alta sicurezza 2 del carcere sardo di Macomer. Dove sono isolati personaggi come il convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari nel 2008 e Adel Ben Mabrouk uno dei tre tunisini catturati in Afghanistan, internati a Guantanamo e mandati in Italia dalla Casa Bianca. “Ci insultano per provocare lo scontro dandoci dei fascisti, razzisti, servi degli americani. Una volta hanno esultato urlando Allah o Akbar, quando dei soldati italiani sono morti in un attentato in Afghanistan” denunciano gli agenti della polizia penitenziaria. Nel carcere penale di Padova sono un centinaio i detenuti comuni musulmani che seguono le regole islamiche guidati dall’Imam fai da te Enhaji Abderrahman Fra i detenuti comuni non mancano storie drammatiche di guerra come quella di un giovane iracheno raccontata dall’educatrice del carcere Cinzia Sattin, che ha l’incubo di saltare in aria come la sua famiglia a causa di un attacco suicida. L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione degli spazi per la preghiera e fornisce il vitto halal, secondo le regole musulmane. La fede nell’Islam serve a sopportare la detenzione. Molti condannano il terrorismo, ma c’è anche dell’altro....

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05 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Virus, il fronte che resiste in Friuli-Venezia Giulia
Fausto Biloslavo TRIESTE - “Anche noi abbiamo paura. E’ un momento difficile per tutti, ma dobbiamo fare il nostro dovere con la maggiore dedizione possibile” spiega Demis Pizzolitto, veterano delle ambulanze del 118 nel capoluogo giuliano lanciate nella “guerra” contro il virus maledetto. La battaglia quotidiana inizia con la vestizione: tuta bianca, doppi guanti, visiera e mascherina per difendersi dal contagio. Il veterano è in coppia con Fabio Tripodi, una “recluta” arrivata da poco, ma subito spedita al fronte. Le due tute bianche si lanciano nella mischia armati di barella per i pazienti Covid. “Mi è rimasta impressa una signora anziana, positiva al virus, che abbiamo trasportato di notte - racconta l’infermiere Pizzolitto - In ambulanza mi ha raccontato del marito invalido rimasto a casa. E soffriva all’idea di averlo lasciato solo con la paura che nessuno si sarebbe occupato di lui”. Bardati come due marziani spariscono nell’ospedale Maggiore di Trieste, dove sono ricoverati un centinaio di positivi, per trasferire un infetto che ha bisogno di maggiori cure. Quando tornano caricano dietro la barella e si chiudono dentro l’ambulanza con il paziente semi incosciente. Si vede solo il volto scavato che spunta dalle lenzuola bianche. Poi via a sirene spiegate verso l’ospedale di Cattinara, dove la terapia intensiva è l’ultima trincea per fermare il virus. Il Friuli-Venezia Giulia è il fronte del Nord Est che resiste al virus grazie a restrizioni draconiane, anche se negli ultimi giorni la gente comincia ad uscire troppo di casa. Un decimo della popolazione rispetto alla Lombardia ha aiutato a evitare l’inferno di Bergamo e Brescia. Il 4 aprile i contagiati erano 1986, i decessi 145, le guarigioni 220 e 1103 persone si trovano in isolamento a casa. Anche in Friuli-Venezia Giulia, come in gran parte d’Italia, le protezioni individuali per chi combatte il virus non bastano mai. “Siamo messi molto male. Le stiamo centellinando. Più che con le mascherine abbiamo avuto grandi difficoltà con visiere, occhiali e tute” ammette Antonio Poggiana, direttore generale dell’Azienda sanitaria di Trieste e Gorizia. Negli ultimi giorni sono arrivate nuove forniture, ma l’emergenza riguarda anche le residenze per anziani, flagellate dal virus. “Sono “bombe” virali innescate - spiega Alberto Peratoner responsabile del 118 - Muoiono molti più anziani di quelli certificati, anche 4-5 al giorno, ma non vengono fatti i tamponi”. Nell’ospedale di Cattinara “la terapia intensiva è la prima linea di risposta contro il virus, il nemico invisibile che stiamo combattendo ogni giorno” spiega Umberto Lucangelo, direttore del dipartimento di emergenza. Borse sotto gli occhi vive in ospedale e da separato in casa con la moglie per evitare qualsiasi rischio. Nella trincea sanitaria l’emergenza si tocca con mano. Barbara si prepara con la tuta anti contagio che la copre dalla testa ai piedi. Un’altra infermiera chiude tutti i possibili spiragli delle cerniere con larghe strisce di cerotto, come nei film. Simile ad un “palombaro” le scrivono sulla schiena il nome e l’orario di ingresso con un pennarello nero. Poi Barbara procede in un’anticamera con una porta a vetri. E quando è completamente isolata allarga le braccia e si apre l’ingresso del campo di battaglia. Ventuno pazienti intubati lottano contro la morte grazie agli angeli in tuta bianca che non li mollano un secondo, giorno e notte. L’anziano con la chioma argento sembra solo addormentato se non fosse per l’infinità di cannule infilate nel corpo, sensori e macchinari che pulsano attorno. Una signora è coperta da un telo blu e come tutti i pazienti critici ripresa dalle telecamere a circuito chiuso. Mara, occhioni neri, visiera e mascherina spunta da dietro la vetrata protettiva con uno sguardo di speranza. All’interfono racconta l’emozione “del primo ragazzo che sono riuscito a svegliare. Quando mi ha visto ha alzato entrambi i pollici in segno di ok”. E se qualcuno non ce la fa Mara spiega “che siamo preparati ad accompagnare le persone verso la morte nella maniera più dignitosa. Io le tengo per mano per non lasciarle sole fino all’ultimo momento”. Erica Venier, la capo turno, vuole ringraziare “con tutto il cuore” i triestini che ogni giorno fanno arrivare dolci, frutta, generi di conforto ai combattenti della terapia intensiva. Graziano Di Gregorio, infermiere del turno mattutino, è un veterano: “Dopo 22 anni di esperienza non avrei mai pensato di trovarmi in una trincea del genere”. Il fiore all’occhiello della rianimazione di Cattinara è di non aver perso un solo paziente, ma Di Gregorio racconta: “Infermieri di altre terapie intensive hanno dovuto dare l’estrema unzione perchè i pazienti sono soli e non si può fare diversamente”. L’azienda sanitaria sta acquistando una trentina di tablet per cercare di mantenere un contatto con i familiari e permettere l’estremo saluto. Prima di venire intubati, l’ultima spiaggia, i contagiati che hanno difficoltà a respirare sono aiutati con maschere o caschi in un altro reparto. Il direttore, Marco Confalonieri, racconta: “Mio nonno era un ragazzo del ’99, che ha combattuto sul Piave durante il primo conflitto mondiale. Ho lanciato nella mischia 13 giovani appena assunti. Sono i ragazzi del ’99 di questa guerra”.

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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento
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Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra

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15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento
Italia
Missioni militari e interesse nazionale
https://www.radioradicale.it/scheda/535875/missioni-militari-e-interesse-nazionale Convegno "Missioni militari e interesse nazionale", registrato a Roma giovedì 15 marzo 2018 alle 09:23. L'evento è stato organizzato da Center for Near Abroad Strategic Studies. Sono intervenuti: Paolo Quercia (Direttore del CeNASS, Center for Near Abroad Strategic Studies), Massimo Artini (vicepresidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, Misto - Alternativa Libera (gruppo parlamentare Camera)), Fausto Biloslavo (giornalista, inviato di guerra), Francesco Semprini (corrispondente de "La Stampa" da New York), Arije Antinori (dottore di Ricerca in Criminologia ed alla Sicurezza alla Sapienza Università di Roma), Leonardo di marco (generale di Corpo d'Armata dell'Esercito), Fabrizio Cicchitto (presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa). Tra gli argomenti discussi: Difesa, Esercito, Esteri, Forze Armate, Governo, Guerra, Informazione, Italia, Ministeri, Peace Keeping, Sicurezza. La registrazione video di questo convegno ha una durata di 2 ore e 46 minuti. Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio

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