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Reportage
23 agosto 2018 - Esteri - Indonesia - Panorama
Le Olimpiadi dell’altro mondo

“Superman? Noi ne abbiamo uno vero». È l’unica frase strappata a un distinto, ma sospettoso funzionario della Corea del Nord, dopo l’ennesima medaglia d’oro conquistata da Om Yum Chol nel sollevamento pesi alle Olimpiadi asiatiche ospitate dall’Indonesia. Sulla pedana è un tappetto, alto appena 1 metro e mezzo, ma riesce ad alzare tre volte il peso del suo corpo. «Armato di un forte spirito e dell’ideologia puoi rompere una roccia con un uovo, come il nostro compagno Kim Jong-un (il dittatore nordcoreano, ndr) ci ha insegnato. Questo è il mio segreto», aveva spiegato Yum Chol dopo la conquista del record mondiale nel 2015.  

Il 18 agosto si sono aperti nella capitale indonesiana i Giochi dell’Asia. Ben 45 nazioni, che rappresentano due terzi dell’umanità, si sfidano in 40 sport fino al 2 settembre. Le grandi potenze regionali danno battaglia esattamente come accade nello scenario geopolitico. La Cina si è presentata con un esercito di 845 atleti, il Giappone vuole conquistare 60 medaglie d’oro, le due Coree gareggiano unite in tre competizioni. E alcune discipline dai nomi complicati come wushu, sepak takraw e kabaddi sono sconosciute in Europa, ma molto popolari in Asia. Panorama è andato a vedere il secondo evento sportivo al mondo dopo le Olimpiadi.

La sera del 18 agosto nel caldo umido di Jakarta, è l’Afghanistan, rigorosamente in ordine alfabetico, il primo Paese a sfilare nello stadio Gelora Bung Karno per l’inaugurazione dei Giochi. Una nazione in guerra da quasi 40 anni, ma anche la Siria e lo Yemen partecipano sperando per un attimo di far dimenticare i loro sanguinosi conflitti. 

Taiwan, come sempre, deve sfilare come Taipei cinese, il nome accettato da Pechino, che considera l’isola parte integrante della madrepatria. E per questo Pechino ha piani di invasioni lampo per annettersi, prima o dopo, la nazione dei cugini ribelli, che dai tempi di Chiang Kai-shek non si sono assoggettati a Mao. 

La spettacolare inaugurazione costata 55 milioni di dollari schiera un’armata di 2 mila danzatrici che si muovono come un corpo solo con strabilianti effetti da onda umana. All’arrivo della bandiera palestinese scatta l’ovazione del pubblico. L’Indonesia, che è il più grande Paese musulmano al mondo con 263 milioni di abitanti, non ha relazioni diplomatiche con Israele. Eppure, a parte qualche cellula legata all’Isis, un paio di movimenti fondamentalisti e la zona di Aceh, dove vige la sharia, a Jakarta neppure ci si accorge di vivere in una nazione islamica.

Diversi Paesi musulmani che hanno problemi con i diritti delle donne scelgono per i Giochi asiatici portabandiere del gentil sesso. Quasi tutte hanno un velo leggero, come la campionessa di tiro con la carabina, Elaheh Ahmadi, alfiere dell’Iran degli ayatollah. Solo gli Emirati arabi si distinguono con la porta bandiera coperta dalla testa ai piedi dal niqab, la tunica nera integrale.

Le due Coree sfilano assieme sotto un unico vessillo bianco con al centro la penisola unita in blu. Ovviamente la bandiera è portata rigorosamente da due atleti, uno del Nord e l’altra del Sud. Per la prima volta le due nazioni formalmente ancora in guerra partecipano con squadre miste in tre sport: basket femminile, canottaggio e canoa. Le capitane della pallacanestro sono rigorosamente due, giovani e carine. Le barche affusolate per il canottaggio hanno il nome dei fiumi più importanti, da una parte e dall’altra del confine: il nord coreano Taedong per la squadra maschile e l’Hang del sud per quella femminile. Pure un centinaio di organizzati e scatenati tifosi sono uniti, almeno in apparenza. Alla partita di pallacanestro femminile contro l’India stracciata dalle coreane, Jeong Jinu è una giovane fan del Sud che indossa come tutti i tifosi una maglietta bianca con lo slogan «Un sogno, una Corea». Emozionata spiega che «questo è il primo passo per unire il Paese. Siamo un solo popolo». Poi ammette che in realtà non ci sono contatti con i tifosi del Nord, che sono seduti vicini, ma separati dalla scala della tribuna.

Più spigliata An Chong Mi, studentessa universitaria della Corea del Nord. «Il nostro desiderio è l’unificazione e chiudere per sempre il capitolo della guerra» sostiene in ottimo inglese. E poi riferendosi al dittatore armato di bombe nucleari sottolinea che  «il nostro leader Kim Jong-un è giovane e illuminato. Sta arrivando il momento di aprirci al mondo».

Sulla tribuna d’onore si scambiano sorrisi compiaciuti il primo ministro di Seul, Lee Nak-Yon e il vice premier del Nord, Ri Ryong-nam. I membri della delegazione sportiva del regime di Pyongyang sono a loro agio a Jakarta, come il funzionario con la giacca bianca panna, che si distingue nel ricevimento per le Olimpiadi in un albergo super lussuoso della capitale. Sul bavero della giacca porta orgogliosamente una bandierina rossa con il faccione rotondo di Kim Jong-un e del nonno, Kim Il-sung, il Supremo leader fondatore della dinastia.

Fra gli sport mai visti in Europa, ma tradizionali dell’Asia, spicca il kabaddi inventato in India. Due squadre con sette membri si sfidano lanciando nel campo avversario un incursore che deve toccare con le mani o con i piedi gli avversari senza essere a sua volta toccato. Spesso, però, l’incursore finisce male e viene eliminato. Gli avversari lo circondano e placcano brutalmente come è capitato ripetutamente ai giocatori del Bangladesh massacrati dagli indiani. Dopo la vittoria la squadra di Delhi si è riunita in circolo pregando e urlando il motto della squadra: «Potenza suprema». Il filosofico allenatore, Balloam Singh, spiega che «l’India è forte in tutto. Lunga vita al kabaddi». Oltre un miliardo di persone, super economia emergente, il vasto Paese asiatico è dotato di un arsenale nucleare. E la scorsa estate non ha avuto timore di mostrare militarmente i muscoli con il dragone cinese per una storica disputa sull’altopiano dell’Himalaya. 

«Pure i Giochi aiutano a diminuire le tensioni geopolitiche dell’Asia. Nel nostro piccolo, fra atleti, cerchiano sempre di conoscerci meglio o di scambiare un sorriso per aprire le menti» sottolinea Arki Dikania Wisnu. Il capitano della squadra di pallacanestro indonesiana è cresciuto a New York, ma ama l’Italia dopo la luna di miele fra Roma, Milano e Venezia.

Un altro sport solo asiatico è l’acrobatico sepak takraw, la pallavolo con i piedi, ma si possono usare anche la testa o le spalle, non le mani. La rete è più bassa e i giocatori fanno balzi spettacolari per colpire la palla a calci. Le arti marziali sono uno dei fiori all’occhiello dei Giochi dell’Asia. Nel wushu, il kung fu cinese, gli atleti se le danno di santa ragione alla Bruce Lee, ma sono previste anche esibizioni singole con spada orientale e senza. I campioni si muovono con grazia in una sorta di danza marziale e acrobatica avvolti in kimono sgargianti con ricami di dragoni, fiori o volatili fantastici.

La vera guerra sportiva si combatte fra Cina e Giappone. Lo squadrone di Pechino fa sempre man bassa del medagliere, ma gli atleti di Tokyo seguono in seconda posizione. Nelle prime 48 ore dei Giochi i cinesi hanno già conquistato 15 medaglie d’oro e i giapponesi 8. La battaglia più aspra è quella del nuoto. Nella piscina olimpionica dello stadio Gelora non c’è partita quando si immerge lo squalo cinese Sun Yang. Un fenomeno alto due metri, che con le sue bracciate distacca qualsiasi avversario. Sulle tribune centinaia di fan, che fanno il tifo in stile maoista, hanno appeso uno striscione in inglese: «Il Re dello stile libero». Quando una bandiera del Sol levante osa sventolare, un bandierone rosso di Pechino si alza subito alle spalle dei giapponesi. Stessa storia con il nuoto femminile. La medaglia d’oro sui 1500 metri stile libero, Jianjiahe Wang, ha solo 16 anni, ma le spalle di un omaccione. 

Dallo sport alla geopolitica, Cina e Giappone sono potenti rivali economici e militari con Tokyo spalleggiata dagli Stati Uniti. Il Pentagono stima che i cinesi spendano 190 miliardi di dollari l’anno per modernizzare le forze armate. Non solo contestano il controllo giapponese su alcuni isolotti, ma ne costruiscono degli altri artificialmente per impiantare basi militari nel Mar Cinese meridionale. 

«La vera guerra oggi è commerciale, come dimostra lo scontro sui dazi fra Cina e Usa. L’Indonesia, il Paese più ricco di petrolio e gas del Sud-est asiatico, rimane neutrale aprendo agli investimenti nel settore energetico sia dei cinesi che degli americani» osservano gli esperti. 

Alle Olimpiadi asiatiche l’atleta più anziano è il malese Lee Hung Fong, che gareggia nel bridge. Il più giovane, pure lui dalla Malesia, ha solo 11 anni. Si chiama Ian Nuriman Amri ed è già un asso sullo skate. Per la prima volta saranno presentati gli e-sport, ovvero i video giochi che entreranno a far parte ufficialmente dei Giochi fra quattro anni in Cina. Gli atleti vecchio stile chiuderanno le Olimpiadi con la maratona, ma quelli del futuro si sfidano al computer con League of Legends, Clash Royale e StarCraft 2.

I tradizionalisti storcono il naso, ma anche gli e sport fanno parte dell’«energia dell’Asia», slogan dei Giochi di Jakarta simbolizzato alla cerimonia di apertura dalla grande fiamma accesa nella bocca di un finto vulcano dalla torcia olimpica. n

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DIVENTERÀ UNA SVIZZERA ASIATICA

«Il prossimo passo dell’Indonesia? Le Olimpiadi nel 2032» parola di Erick Thohir (foto), magnate dei media, ancora tifoso appassionato e presidente dell’Inter con il 31 per cento delle azioni. L’ultima impresa è aver messo in piedi in tempo record i Giochi asiatici in Indonesia. Gioviale e alla mano parla con Panorama dei sogni nel cassetto e sul ruolo anche geopolitico dello sport.

Ha già in mente il prossimo passo dopo i Giochi?

Se avremo successo l’Indonesia si candiderà a ospitare le Olimpiadi. Il presidente, Joko Widodo, ha già avuto degli incontri per dimostrare il nostro interesse ai Giochi del 2032, quando dovranno tornare in Asia dopo Tokyo, Parigi e gli Stati Uniti. Vogliamo provarci perchè eventi come questi non sono solo sport, ma promozione del Paese, della sua cultura, un volano economico e la possibilità di far conoscere ancor più e lanciare l’Indonesia a livello internazionale.

Qual è il significato geopolitico dei Giochi asiatici?

Le due Coree unite, rappresentanti di Paesi che non vanno d’accordo come Arabia Saudita e Qatar al mio fianco all’inaugurazione dei Giochi sono solo due esempi. L’Indonesia è parte della grande energia dell’Asia, dove vogliamo essere uno dei maggiori attori geopolitici, ma non aspiriamo a diventare una super potenza. Anche attraverso i Giochi ci candidiamo al ruolo di pacificatori.

Cosa intende?

Vogliamo diventare una specie di Svizzera dell’Asia pronti a mediare fra i nostri vicini e ad abbassare le tensioni geopolitiche. E lo facciamo pure attraverso i Giochi e lo sport. (F.B.)