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Scenari Italia
30 agosto 2018 - Interni - Italia - Panorama
Eritrei double face

«Le porte via mare sono chiuse. Dobbiamo trovare il modo, la strategia per aiutare i migranti, farli entrare e far valere i loro diritti» è l’incitamento di Abrham Tesfai in una diretta Facebook dell’11 agosto da Bologna. Da otto anni in Italia, dichiarato oppositore del regime di Asmara, l’attivista eritreo mescola politica e accoglienza a oltranza utilizzando abilmente il motivo umanitario. Lo faceva pure quando lavorava, fino a settembre 2017, come mediatore culturale alla Questura di Bologna, pagato dal Viminale. 

Tesfai è solo la punta dell’iceberg di una «rete» di attivisti eritrei come don Mussie Zerai, Tareke Brhane e Alganesh Fisseha vicini alla sinistra di Laura Boldrini, che vorrebbero abbattere i confini, aprire le porte a tutti e ribaltare il regime di Asmara. Da metà agosto la pagina Facebook di Tesfai è zeppa di appelli e mobilitazioni per «liberare gli ostaggi», in gran parte eritrei, della nave Diciotti. L’attivista online si scaglia contro il governo italiano colpevole di «insultare i neri, i musulmani, gli immigrati e di voler sbattere fuori gli africani». E sostiene in diretta con i suoi fan, che per questo «dobbiamo combattere».

La Questura di Bologna conferma che Tesfai, con il nome comune Abrahalei, ha lavorato come mediatore culturale per un anno nell’ufficio Immigrazione di via Bovi Campeggi. Ufficialmente il rapporto si sarebbe concluso «perchè sono diminuite le richieste degli eritrei». Il sospetto è che fosse imbarazzante per il Viminale pagare un mediatore culturale, che dopo i tumultuosi sgomberi degli africani a Roma dell’agosto 2017 guidava le manifestazioni di protesta con tanto di megafono bollando la Polizia come «inumana». Il 20 agosto 2017 Tesfai condivideva un eloquente post contro gli sgomberi: «Ancora una volta lo Stato mostra il suo volto feroce contro i più deboli… per far contenti gli imbecilli razzisti. Sempre secondo il volere dei Minniti, dei Di Maio, dei Salvini e di tutti gli sciacalli spudorati che sfruttano l’ignoranza degli italiani».

L’11 agosto di quest’anno l’attivista eritreo ha lanciato una delle sue dirette su Facebook in tigrino collegandosi pure con i migranti in Libia, che vogliono sbarcare in Italia. «Le porte del mare sono chiuse» esordisce Tesfai «ma sia noi, che alcuni volontari italiani ci stiamo dando da fare» (per riaprire gli sbarchi). A chi dalla Germania chiede notizie di parenti o amici ancora in Libia spiega che «sono quelli del trafficante Abduselam» oppure che i «poliziotti chiedono molti soldi» per lasciarli andare. E quando l’interlocutore vuole capire cosa può fare o chi deve pagare, Tesfai lo invita a scrivergli «privatamente in modo che ti metto in contatto con quelli che mi hanno informato...».

L’aiuto «umanitario» si mescola alla mobilitazione politica per la manifestazione a Ginevra del 31 agosto, davanti alla sede dell’Onu, «indetta dall’opposizione eritrea (…) per far sì che il dittatore Isaias Afewerki ed i suoi generali siano dichiarati responsabili di crimini contro l’umanità e perseguiti dal Tribunale penale internazionale». Ovviamente alla manifestazione «i partecipanti devono venire con degli slogan contro quello che sta succedendo in Libia e con in mano le foto dei loro parenti», ancora bloccati sull’altra sponda del Mediterraneo. 

Il 24 agosto Tesfai ha postato la faccia di un altro membro della rete di influenza eritrea, Tareke Brhane, che tiene in mano un cartello con un appello in tigrino «a tutti gli eritrei che vivono in Europa e agli attivisti» contro «il governo italiano (che) ha sequestrato 150 persone» a bordo della nave della Guardia costiera che era ormeggiata a Catania. Berhane, diventato cittadino italiano, è presidente del Comitato 3 ottobre in ricordo del naufragio al largo di Lampedusa che causò la morte di 368 migranti, nel 2013. Attivo nelle petizioni su Changeorg con l’hastag #apriamoiporti, dopo il giro di vite del ministro dell’Interno Matteo Salvini. Berhane, così come Tesfai, sono seguaci del prete eritreo Mussie Zerai, soprannominato il «Mosè dei migranti». La procura di Trapani lo ha indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ma lui sostiene di avere solo allertato i soccorsi per salvare i migranti in mare. 

Indiscrezioni di stampa preannunciano che le inchieste sulle Ong, sia a Trapani sia a Catania, saranno presto archiviate. Panorama, però, ha scoperto che don Mussie ha già avuto guai con la giustizia italiana quando era giovane e appena arrivato dall’Eritrea. Prima di farsi prete è finito in carcere a Roma nel 1994 e «condannato a due anni di reclusione», con rito abbreviato, per concorso in detenzione ai fini di spaccio di 2,2 chilogrammi di hasish. La faccenda della droga non è mai stata citata nelle biografie di Zerai, che pure avrebbe potuto giocare la carta della redenzione con l’abito talare.

E il 19 agosto don Mussie mirava alto sul caso Diciotti: «Lo stato di diritto in ostaggio, le persone tratte in salvo ora “prigioniere” sulla nave, nessun magistrato interviene?». E accusava il Viminale di «politica da pirati e bullismo sulla pelle dei profughi». Chissà come avrà esultato una settimana dopo quando Salvini è stato iscritto nel registro degli indagati per sequestro di persona? n

 

PER LORO IN ITALIA C’È DIRITTO D’ASILO, MA IN EUROPA ALTRI PAESI LO NEGANO

In Italia gli eritrei hanno diritto all’asilo e lo scorso anno sono sbarcati in 19.526, anche se il 30 per cento sarebbe in realtà   

di nazionalità etiope.  La Svizzera ha inviato in febbraio in Eritrea  una delegazione parlamentare e ha iniziato a limitare la possibilità dell’asilo. Inghilterra e Danimarca, già da un paio d’anni, stanno rifiutando gran parte delle richieste. Israele pochi mesi fa voleva espellere tutti gli eritrei considerandoli migranti economici.  La comunità di chi vive in Italia, ma è vicina al governo di Asmara ovviamente, sostiene che i connazionali sui barconi, che vengono «attirati  da una rete travestita  da buoni samaritani  e umanitari» non dovrebbero ottenere  la «protezione internazionale». Il governo di Asmara  ha ancora diversi passi  da compiere nel rispetto delle libertà e dei diritti fondamentali, ma fa ben sperare la pace siglata  in luglio fra il presidente eritreo Isaias Afewerki  e il nuovo primo ministro etiope Abiy Ahmed,  che dovrebbe chiudere  almeno la lunghissima guerra fratricida  tra i due Paesi. (F.B.)

[continua]

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11 novembre 2008 | Centenario della Federazione della stampa | reportage
A Trieste una targa per Almerigo Grilz
e tutti i caduti sul fronte dell'informazione

Ci sono voluti 21 anni, epiche battaglie a colpi di articoli, proteste, un libro fotografico ed una mostra, ma alla fine anche la "casta" dei giornalisti triestini ricorda Almerigo Grilz. L'11 novembre, nella sala del Consiglio comunale del capoluogo giuliano, ha preso la parola il presidente dell'Ordine dei giornalisti del Friuli-Venezia Giulia, Pietro Villotta. Con un appassionato discorso ha spiegato la scelta di affiggere all'ingresso del palazzo della stampa a Trieste una grande targa in cristallo con i nomi di tutti i giornalisti italiani caduti in guerra, per mano della mafia o del terrorismo dal 1945 a oggi. In rigoroso ordine alfabetico c'era anche quello di Almerigo Grilz, che per anni è stato volutamente dimenticato dai giornalisti triestini, che ricordavano solo i colleghi del capoluogo giuliano uccisi a Mostar e a Mogadiscio. La targa è stata scoperta in occasione della celebrazione del centenario della Federazione nazionale della stampa italiana. Il sindacato unico ha aderito all'iniziativa senza dimostrare grande entusiasmo e non menzionando mai, negli interventi ufficiali, il nome di Grilz, ma va bene lo stesso. Vale la pena dire: "Meglio tardi che mai". E da adesso speriamo veramente di aver voltato pagina sul "buco nero" che ha avvolto per anni Almerigo Grilz, l'inviato ignoto.

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23 aprile 2012 | Premio Lago | reportage
Il premio Giorgio Lago: Arte, impresa, giornalismo, volontariato del Nord Est
Motivazione della Giuria: Giornalista di razza. Sempre sulla notizia, esposto in prima persona nei vari teatri di guerra del mondo. Penna sottile, attenta, con un grande amore per la verità raccontata a narrare le diverse vicende dell’uomo.

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31 ottobre 2021 | Quarta repubblica | reportage
No vax scontri al porto
I primi lacrimogeni rimbalzano sull'asfalto e arditi No Pass cercano di ributtarli verso il cordone dei carabinieri che sta avanzando per sgomberare il varco numero 4 del porto di Trieste. I manifestanti urlano di tutto «merde, vergogna» cercando pietre e bottiglie da lanciare contro le forze dell'ordine. Un attivista ingaggia lo scontro impossibile e viene travolto dalle manganellate. Una volta crollato a terra lo trascinano via oltre il loro cordone. Scene da battaglia urbana, il capoluogo giuliano non le vedeva da decenni. Portuali e No Pass presidiavano da venerdì l'ingresso più importante dello scalo per protestare contro l'introduzione obbligatoria del lasciapassare verde. In realtà i portuali, dopo varie spaccature, sono solo una trentina. Gli altri, che arriveranno fino a 1.500, sono antagonisti e anarchici, che vogliono la linea dura, molta gente venuta da fuori, più estremisti di destra. Alle 9 arrivano in massa le forze dell'ordine con camion-idranti e schiere di agenti in tenuta antisommossa. Una colonna blu che arriva da dentro il porto fino alla sbarra dell'ingresso. «Lo scalo è porto franco. Non potevano farlo. È una violazione del trattato pace (dello scorso secolo, nda)» tuona Stefano Puzzer detto Ciccio, il capopopolo dei portuali. Armati di pettorina gialla sono loro che si schierano in prima linea seduti a terra davanti ai cordoni di polizia. La resistenza è passiva e gli agenti usano gli idranti per cercare di far sloggiare la fila di portuali. Uno di loro viene preso in pieno da un getto d'acqua e cade a terra battendo la testa. Gli altri lo portano via a braccia. Un gruppo probabilmente buddista prega per evitare lo sgombero. Una signora si avvicina a mani giunte ai poliziotti implorando di retrocedere, ma altri sono più aggressivi e partono valanghe di insulti. Gli agenti avanzano al passo, metro dopo metro. I portuali fanno da cuscinetto per tentare di evitare incidenti più gravi convincendo la massa dei No Pass, che nulla hanno a che fare con lo scalo giuliano, di indietreggiare con calma. Una donna alza le mani cercando di fermare i poliziotti, altri fanno muro e la tensione sale alimentata dal getto degli idranti. «Guardateci siamo fascisti?» urla un militante ai poliziotti. Il nocciolo duro dell'estrema sinistra seguito da gran parte della piazza non vuole andarsene dal porto. Quando la trattativa con il capo della Digos fallisce la situazione degenera in scontro aperto. Diego, un cuoco No Pass, denuncia: «Hanno preso un mio amico, Vittorio, per i capelli, assestandogli una manganellata in faccia». Le forze dell'ordine sgomberano il valico, ma sul grande viale a ridosso scoppia la guerriglia. «Era gente pacifica che non ha alzato un dito - sbotta Puzzer - È un attacco squadrista». I più giovani sono scatenati e spostano i cassonetti dell'immondizia per bloccare la strada scatenando altre cariche degli agenti. Donne per nulla intimorite urlano «vergognatevi» ai carabinieri, che rimangono impassibili. In rete cominciano a venire pubblicati post terribili rivolti agli agenti: «Avete i giorni contati. Se sai dove vivono questi poliziotti vai a ucciderli».Non a caso interviene anche il presidente Sergio Mattarella: «Sorprende e addolora che proprio adesso, in cui vediamo una ripresa incoraggiante esplodano fenomeni di aggressiva contestazione». Uno dei portuali ammette: "Avevamo detto ai No Pass di indietreggiare quando le forze dell'ordine avanzavano ma non ci hanno ascoltati. Così la manifestazione pacifica è stata rovinata». Puzzer raduna le «truppe» e i rinforzi, 3mila persone, in piazza Unità d'Italia. E prende le distanze dagli oltranzisti: «Ci sono gruppi che non c'entrano con noi al porto che si stanno scontrando con le forze dell'ordine». Non è finita, oltre 100 irriducibili si scatenano nel quartiere di San Vito. E riescono a bloccare decine di camion diretti allo scalo con cassonetti dati alle fiamme in mezzo alla strada. Molti sono vestiti di nero con il volto coperto simili ai black bloc. La battaglia sul fronte del porto continua fino a sera.

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15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento
Italia
Missioni militari e interesse nazionale
https://www.radioradicale.it/scheda/535875/missioni-militari-e-interesse-nazionale Convegno "Missioni militari e interesse nazionale", registrato a Roma giovedì 15 marzo 2018 alle 09:23. L'evento è stato organizzato da Center for Near Abroad Strategic Studies. Sono intervenuti: Paolo Quercia (Direttore del CeNASS, Center for Near Abroad Strategic Studies), Massimo Artini (vicepresidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, Misto - Alternativa Libera (gruppo parlamentare Camera)), Fausto Biloslavo (giornalista, inviato di guerra), Francesco Semprini (corrispondente de "La Stampa" da New York), Arije Antinori (dottore di Ricerca in Criminologia ed alla Sicurezza alla Sapienza Università di Roma), Leonardo di marco (generale di Corpo d'Armata dell'Esercito), Fabrizio Cicchitto (presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa). Tra gli argomenti discussi: Difesa, Esercito, Esteri, Forze Armate, Governo, Guerra, Informazione, Italia, Ministeri, Peace Keeping, Sicurezza. La registrazione video di questo convegno ha una durata di 2 ore e 46 minuti. Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio

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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra

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