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31 ottobre 2018 - Prima - Italia - Il Giornale
Signor premier, non umili i nostri soldati
Caro presidente Giuseppe Conte,
sarà sicuramente preso da questioni più urgenti, ma fra pochi giorni il nostro Paese celebra il 4 novembre. Non è solo la «festa» delle Forze armate, ma anche il giorno dell\\\'unità nazionale e, pochi se lo ricordano, l\\\'anniversario della vittoria nella prima guerra mondiale. Cento anni dopo il grande sacrificio per la Patria il 4 novembre rischia di passare senza il video istituzionale che valorizza le nostre Forze armate. O peggio con lo spot riciclato degli ultimi due anni, «Noi per voi», dei bimbi sorridenti, che suonerebbe francamente stucchevole. 
Solo Lei può ribaltare questa incresciosa situazione, che sfiora la vergogna.
Palazzo Chigi o meglio, il Dipartimento per l\\\'informazione e l\\\'editoria del sottosegretario Vito Crimi, ha bocciato lo spot, che avrebbe dovuto andare in onda sulle tv nazionali per rendere onore ai nostri militari. I 30 secondi ad effetto sono stati giudicati troppo «combat», come se i soldati italiani dovessero venire rappresentanti alla stregua di crocerossine che danno il cinque ai bambini. E bastassero le cerbottane per difendere la Patria o intervenire nei conflitti.
Il 26 ottobre 1918, l\\\'8° Armata italiana, ricevette un ordine di due righe semplice ed efficace, dopo anni di sangue versato: «Avanti, passate il Piave e portate con le nostre bandiere sulle Alpi, i destini d\\\'Italia». Cent\\\'anni dopo non abbiamo il coraggio di mostrare che i soldati italiani, oltre a portare le caramelle ai bambini, sanno combattere e usare le armi?
Il video era stato realizzato dal precedente governo e già censurato dall\\\'ex ministro della Difesa, Roberta Pinotti, che l\\\'aveva abbandonato in un cassetto. Un motivo in più per dimostrare il «cambiamento» di passo, che tanto sottolinea, del suo governo. Soprattutto tenendo conto che il video è stato tirato fuori dalla naftalina, rimontato e fortemente voluto dall\\\'attuale ministro della Difesa, Elisabetta Trenta. 
Alle anime belle forse sembra strano vedere che i militari sparano, combattono e versano il sangue proprio e altrui come il filmato rende magistralmente seguendo le toccanti parole di Soldier, la famosa poesia di un veterano del Vietnam. Strofe senza tempo, che sono adatte a qualsiasi militare degno di questo nome: «Sono andato dove gli altri non volevano andare. Ho portato a termine quello che gli altri non volevano fare. Ho sentito il freddo morso della paura. Ho gioito per un tenero abbraccio d\\\'amore. Ho vissuto quei momenti che gli altri mi dicono sia meglio dimenticare. Ma quando giungerà la mia ora agli altri potrò dire che sono orgoglioso per tutto quello che sono stato: un soldato».
Non possiamo vergognarci delle immagini del basco amaranto della Folgore, dei nostri caduti in guerre non vinte come l\\\'Afghanistan, dei militari in versione operativa, che non hanno niente da invidiare agli eserciti di altri Paesi.
Dalla truppa ai generali questo spot piace a tutti perché una volta tanto non si spacciano i soldati per simpatici boy scout con la mimetica. Il manifesto ufficiale del 4 novembre è già un esempio di questo buonismo ad oltranza con il militare che aiuta la vecchietta o salva un bimbo dal mare, ma guai a far vedere un\\\'arma da qualche parte. I nostri soldati sembrano una specie di protezione civile rafforzata piuttosto che gli uomini delle Forze armate. In realtà è proprio l\\\'addestramento «combat» e le operazioni in prima linea che permettono ai militari di intervenire a casa nostra per garantire sicurezza o nei disastri naturali. Sembra quasi impossibile scrollarsi di dosso lo stereotipo dell\\\'intervento di pace in stile Ong o di poliziotti in mimetica per «Strade sicure», ma vanno bene anche questi aspetti, se non si censura il video «combat» delle Forze armate per il 4 novembre.
Non sarà casuale che lo spot bocciato lanciato ieri via twitter dallo Stato Maggiore della Difesa abbia totalizzato in poche ore 50mila visualizzazioni. E mezzo milione di volte è stato cliccato sui social nelle versioni più o meno lunghe. Perché non mandarlo in onda sulle tv nazionali per mostrarlo a tutti? Così saranno gli italiani a decidere se lo spot è bello o brutto, se valorizza le Forze armate oppure no.
La censura del video troppo «combat» è uno schiaffo non solo ai vivi che nelle stellette ci credono, ma pure ai morti, dai caduti del Piave ai ragazzi tornati a casa in una bara avvolta nel tricolore dalle «guerre» di pace degli italiani in Somalia, Iraq, Afghanistan.
Caro Presidente Conte, basta con i tabù. In tempi di disordine mondiale vale ancora di più l\\\'antica citazione latina: «Si vis pacem, para bellum». Se non l\\\'ha già visto, di ritorno dall\\\'India si prenda 30 secondi per lo spot, che avrebbe dovuto ridare l\\\'orgoglio alle nostre Forze armate cento anni dopo la Grande guerra. E lo faccia mandare in onda per tutti i soldati italiani, di ieri e di oggi.
[continua]

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05 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Virus, il fronte che resiste in Friuli-Venezia Giulia
Fausto Biloslavo TRIESTE - “Anche noi abbiamo paura. E’ un momento difficile per tutti, ma dobbiamo fare il nostro dovere con la maggiore dedizione possibile” spiega Demis Pizzolitto, veterano delle ambulanze del 118 nel capoluogo giuliano lanciate nella “guerra” contro il virus maledetto. La battaglia quotidiana inizia con la vestizione: tuta bianca, doppi guanti, visiera e mascherina per difendersi dal contagio. Il veterano è in coppia con Fabio Tripodi, una “recluta” arrivata da poco, ma subito spedita al fronte. Le due tute bianche si lanciano nella mischia armati di barella per i pazienti Covid. “Mi è rimasta impressa una signora anziana, positiva al virus, che abbiamo trasportato di notte - racconta l’infermiere Pizzolitto - In ambulanza mi ha raccontato del marito invalido rimasto a casa. E soffriva all’idea di averlo lasciato solo con la paura che nessuno si sarebbe occupato di lui”. Bardati come due marziani spariscono nell’ospedale Maggiore di Trieste, dove sono ricoverati un centinaio di positivi, per trasferire un infetto che ha bisogno di maggiori cure. Quando tornano caricano dietro la barella e si chiudono dentro l’ambulanza con il paziente semi incosciente. Si vede solo il volto scavato che spunta dalle lenzuola bianche. Poi via a sirene spiegate verso l’ospedale di Cattinara, dove la terapia intensiva è l’ultima trincea per fermare il virus. Il Friuli-Venezia Giulia è il fronte del Nord Est che resiste al virus grazie a restrizioni draconiane, anche se negli ultimi giorni la gente comincia ad uscire troppo di casa. Un decimo della popolazione rispetto alla Lombardia ha aiutato a evitare l’inferno di Bergamo e Brescia. Il 4 aprile i contagiati erano 1986, i decessi 145, le guarigioni 220 e 1103 persone si trovano in isolamento a casa. Anche in Friuli-Venezia Giulia, come in gran parte d’Italia, le protezioni individuali per chi combatte il virus non bastano mai. “Siamo messi molto male. Le stiamo centellinando. Più che con le mascherine abbiamo avuto grandi difficoltà con visiere, occhiali e tute” ammette Antonio Poggiana, direttore generale dell’Azienda sanitaria di Trieste e Gorizia. Negli ultimi giorni sono arrivate nuove forniture, ma l’emergenza riguarda anche le residenze per anziani, flagellate dal virus. “Sono “bombe” virali innescate - spiega Alberto Peratoner responsabile del 118 - Muoiono molti più anziani di quelli certificati, anche 4-5 al giorno, ma non vengono fatti i tamponi”. Nell’ospedale di Cattinara “la terapia intensiva è la prima linea di risposta contro il virus, il nemico invisibile che stiamo combattendo ogni giorno” spiega Umberto Lucangelo, direttore del dipartimento di emergenza. Borse sotto gli occhi vive in ospedale e da separato in casa con la moglie per evitare qualsiasi rischio. Nella trincea sanitaria l’emergenza si tocca con mano. Barbara si prepara con la tuta anti contagio che la copre dalla testa ai piedi. Un’altra infermiera chiude tutti i possibili spiragli delle cerniere con larghe strisce di cerotto, come nei film. Simile ad un “palombaro” le scrivono sulla schiena il nome e l’orario di ingresso con un pennarello nero. Poi Barbara procede in un’anticamera con una porta a vetri. E quando è completamente isolata allarga le braccia e si apre l’ingresso del campo di battaglia. Ventuno pazienti intubati lottano contro la morte grazie agli angeli in tuta bianca che non li mollano un secondo, giorno e notte. L’anziano con la chioma argento sembra solo addormentato se non fosse per l’infinità di cannule infilate nel corpo, sensori e macchinari che pulsano attorno. Una signora è coperta da un telo blu e come tutti i pazienti critici ripresa dalle telecamere a circuito chiuso. Mara, occhioni neri, visiera e mascherina spunta da dietro la vetrata protettiva con uno sguardo di speranza. All’interfono racconta l’emozione “del primo ragazzo che sono riuscito a svegliare. Quando mi ha visto ha alzato entrambi i pollici in segno di ok”. E se qualcuno non ce la fa Mara spiega “che siamo preparati ad accompagnare le persone verso la morte nella maniera più dignitosa. Io le tengo per mano per non lasciarle sole fino all’ultimo momento”. Erica Venier, la capo turno, vuole ringraziare “con tutto il cuore” i triestini che ogni giorno fanno arrivare dolci, frutta, generi di conforto ai combattenti della terapia intensiva. Graziano Di Gregorio, infermiere del turno mattutino, è un veterano: “Dopo 22 anni di esperienza non avrei mai pensato di trovarmi in una trincea del genere”. Il fiore all’occhiello della rianimazione di Cattinara è di non aver perso un solo paziente, ma Di Gregorio racconta: “Infermieri di altre terapie intensive hanno dovuto dare l’estrema unzione perchè i pazienti sono soli e non si può fare diversamente”. L’azienda sanitaria sta acquistando una trentina di tablet per cercare di mantenere un contatto con i familiari e permettere l’estremo saluto. Prima di venire intubati, l’ultima spiaggia, i contagiati che hanno difficoltà a respirare sono aiutati con maschere o caschi in un altro reparto. Il direttore, Marco Confalonieri, racconta: “Mio nonno era un ragazzo del ’99, che ha combattuto sul Piave durante il primo conflitto mondiale. Ho lanciato nella mischia 13 giovani appena assunti. Sono i ragazzi del ’99 di questa guerra”.

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05 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
Islam, matrimoni forzati e padri assassini
Nosheen, la ragazza pachi­stana, in coma dopo le spranga­te del fratello, non voleva spo­sarsi con un cugino in Pakistan. Il matrimonio forzato era stato imposto dal padre, che ha ucci­so a colpi di mattone la madre della giovane di 20 anni schiera­ta a fianco della figlia. Se Noshe­e­n avesse chinato la testa il mari­to, scelto nella cerchia familia­re, avrebbe ottenuto il via libera per emigrare legalmente in Ita­lia. La piaga dei matrimoni com­binati nasconde anche questo. E altro: tranelli per rimandare nella patria d’origine le adole­scenti dove le nozze sono già pronte a loro insaputa; e il busi­ness della dote con spose che vengono quantificate in oro o migliaia di euro. Non capita solo nelle comuni­tà musulmane come quelle pa­chistana, marocchina o egizia­na, ma pure per gli indiani e i rom, che sono un mondo a par­te.

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07 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Parla il sopravvissuto al virus
Fausto Biloslavo TRIESTE - Il sopravvissuto sta sbucciando un’arancia seduto sul letto di ospedale, come se non fosse rispuntato da poco dall’anticamera dell’inferno. Maglietta grigia, speranza dipinta negli occhi, Giovanni Ziliani è stato dimesso mercoledì, per tornare a casa. Quarantadue anni, atleta e istruttore di arti marziali ai bambini, il 10 marzo ha iniziato a stare male nella sua città, Cremona. Cinque giorni dopo è finito in terapia intensiva. Dalla Lombardia l’hanno trasferito a Trieste, dove un tubo in gola gli pompava aria nei polmoni devastati dall’infezione. Dopo 17 giorni di calvario è tornato a vivere, non più contagioso. Cosa ricorda di questa discesa all’inferno? “Non volevo dormire perchè avevo paura di smettere di respirare. Ricordo il tubo in gola, come dovevo convivere con il dolore, gli sforzi di vomito ogni volta che cercavo di deglutire. E gli occhi arrossati che bruciavano. Quando mi sono svegliato, ancora intubato, ero spaventato, disorientato. La sensazione è di impotenza sul proprio corpo. Ti rendi conto che dipendi da fili, tubi, macchine. E che la cosa più naturale del mondo, respirare, non lo è più”. Dove ha trovato la forza? “Mi sono aggrappato alla famiglia, ai valori veri. Al ricordo di mia moglie, in cinta da otto mesi e di nostra figlia di 7 anni. Ti aggrappi a quello che conta nella vita. E poi c’erano gli angeli in tuta bianca che mi hanno fatto rinascere”. Gli operatori sanitari dell’ospedale? “Sì, medici ed infermieri che ti aiutano e confortano in ogni modo. Volevo comunicare, ma non ci riuscivo perchè avevo un tubo in gola. Hanno provato a farmi scrivere, ma ero talmente debole che non ero in grado. Allora mi hanno portato un foglio plastificato con l’alfabeto e digitavo le lettere per comporre le parole”. Il momento che non dimenticherà mai? “Quando mi hanno estubato. E’ stata una festa. E quando ero in grado di parlare la prima cosa che hanno fatto è una chiamata in viva voce con mia moglie. Dopo tanti giorni fra la vita e la morte è stato un momento bellissimo”. Come ha recuperato le forze? “Sono stato svezzato come si fa con i vitellini. Dopo tanto tempo con il sondino per l’alimentazione mi hanno somministrato in bocca del tè caldo con una piccola siringa. Non ero solo un paziente che dovevano curare. Mi sono sentito accudito”. Come è stato infettato? “Abbiamo preso il virus da papà, che purtroppo non ce l’ha fatta. Mio fratello è intubato a Varese non ancora fuori pericolo”. E la sua famiglia? “Moglie e figlia di 7 anni per fortuna sono negative. La mia signora è in attesa di Gabriele che nascerà fra un mese. Ed io sono rinato a Trieste”. Ha pensato di non farcela? “Ero stanco di stare male con la febbre sempre a 39,6. Speravo di addormentarmi in terapia intensiva e di risvegliarmi guarito. Non è andata proprio in questo modo, ma è finita così: una vittoria per tutti”.

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15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento
Italia
Missioni militari e interesse nazionale
https://www.radioradicale.it/scheda/535875/missioni-militari-e-interesse-nazionale Convegno "Missioni militari e interesse nazionale", registrato a Roma giovedì 15 marzo 2018 alle 09:23. L'evento è stato organizzato da Center for Near Abroad Strategic Studies. Sono intervenuti: Paolo Quercia (Direttore del CeNASS, Center for Near Abroad Strategic Studies), Massimo Artini (vicepresidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, Misto - Alternativa Libera (gruppo parlamentare Camera)), Fausto Biloslavo (giornalista, inviato di guerra), Francesco Semprini (corrispondente de "La Stampa" da New York), Arije Antinori (dottore di Ricerca in Criminologia ed alla Sicurezza alla Sapienza Università di Roma), Leonardo di marco (generale di Corpo d'Armata dell'Esercito), Fabrizio Cicchitto (presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa). Tra gli argomenti discussi: Difesa, Esercito, Esteri, Forze Armate, Governo, Guerra, Informazione, Italia, Ministeri, Peace Keeping, Sicurezza. La registrazione video di questo convegno ha una durata di 2 ore e 46 minuti. Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio

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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra

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