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Mondo
28 novembre 2018 - Esteri - Cina - Panorama
Via della seta in mezzo ai ghiacci

La “via della seta polare” da Dalian a Rotterdam non è fantastrategia, ma il piano della Cina per la conquista dell’Artico. I mandarini comunisti vogliono aprire una nuova rotta dal pianeta giallo per arrivare in Europa passando dal Polo. Non si tratta solo di un ambizioso piano commerciale che taglierebbe del 20-30% costi e tempi di navigazione attirando le navi mercantili che adesso passano per il canale di Suez. Pechino vuole partecipare alla “guerra” dei ghiacci per il controllo e lo sfruttamento dell’Artico, un forziere con 35 trilioni di dollari di petrolio e gas.

E pure l’Italia ha una strategia “mirata a contribuire alla ricerca scientifica e ad uno sfruttamento delle risorse in maniera sostenibile”. Il nostro paese fa parte come osservatore del Consiglio dell’Artico, il forum internazionale più importante per la strategica area del Polo Nord. “L’Artico è la zona dove sono concentrati i maggiori interessi geostrategici mondiali. Per questo la Cina ha lanciato la via della seta polare” spiega a Panorama il Controammiraglio Luigi Sinapi, direttore dell’Istituto idrografico. La Marina militare ha lanciato fino al 2019 un programma di ricerca nell’Artico.

Al Polo nord si fronteggiano i sottomarini nucleari americani e i bombardieri strategici russi. Mosca ha riesumato vecchie basi artiche del periodo sovietico e gli Usa stanno mettendo in cantiere 6 rompighiaccio che potranno trasportare anche armi sofisticate. Il controllo dei ghiacci è l’ennesima battaglia della nuova guerra fredda fra Stati Uniti e Russia. La Cina si sta schierando con Mosca penetrando nell’area con il progetto della rotta polare. La strategia di Pechino è stata lanciata all’inizio dell’anno con un documento che ribadisce “il diritto a navigare, sorvolare, eseguire ricerche scientifiche, predisporre cavi di comunicazione sottomarini e oleodotti nell’oceano Artico”.

In estate una missione scientifica cinese a bordo di un rompighiaccio ha circumnavigato per la prima volta il Polo raggiungendo l’America settentrionale.

Pechino preferisce, per ora, la diplomazia scientifica ed il varo di nuovi rompighiaccio al posto della politica delle cannoniere. Il 12 settembre ha preso il mare il primo rompighiaccio costruito completamente in Cina nei cantieri di Shangai. Il nome non lascia dubbi: “Dragone della neve”. E Pechino sta già pensando ad un rompighiaccio nucleare per non perdere la corsa all’oro nero e al gas del Polo Nord. La ritirata dei ghiacci provocata dal riscaldamento globale oltre ad aprire le rotte marittime permetterà di individuare e sfruttare i preziosi giacimenti dell’Artico, che si stima siano un quarto di quelli mondiali. Anche l’Eni ha una grande piattaforma a Goliat in acque norvegesi. E non ci sono solo risorse energetiche, ma ricchezze minerarie inesplorate di diamanti, oro, argento, titanio e uranio.

“L’utilizzo delle rotte marittime, l’esplorazione e lo sviluppo delle risorse dell’Artico - si legge nel documento di Pechino - avranno un grande impatto sulla strategia energetica ed economica della Cina”. Il Controammiraglio Sinapi fa notare “che a causa dello scioglimento dei ghiacci il numero di giorni in cui queste rotte saranno percorribile stanno aumentando. Poi ci vogliono le infrastrutture, ma si prevede fra il 2030 e 2040 un’importante presenza di navi mercantili”.

Pechino può contare sulla base artica “Fiume giallo” nell’arcipelago di Svalbard, a metà strada fra la Norvegia e il Polo Nord. Anche il Consiglio nazionale delle ricerche ha nell’arcipelago la missione Dirigibile Italia. Nulla in confronto alla base aerea Usa di Thule e a quella russa di Trefoil. I cinesi sono alleati con Mosca nello scontro con Washington sull’Artico. A fine estate le navi Eduard Toll e Vladimir Rusanov, con 172mila tonnellate di gas ciascuna hanno navigato per la prima volta senza rompighiaccio lungo “la via della seta polare” dal porto russo di Sabetta a quello cinese di Rudong. Il tragitto è durato 19 giorni rispetto ai 35 della rotta normale attraverso il Canale di Suez. A Sabetta c’è il terminal del Yamal project, il più importante impianto di gas russo nell’Artico. I cinesi hanno investito 12 miliardi di dollari nel progetto, che nel 2021 avrà una capacità produttiva di 16,5 milioni di tonnellate all’anno di gas naturale.  

Fausto Biloslavo