Fausto Biloslavo
Trecento milioni di cristiani nel mondo vivono in un paese dove sono perseguitati o discriminati denuncia “Aiuto alla chiesa che soffre”, fondazione pontificia nata nel 1947 per difendere la libertà religiosa. \"Oltre 4.300 cristiani sono stati uccisi nel 2018, in aumento del 40% rispetto all\'anno precedente” rivela “Porte aperte”, un’organizzazione non governativa presente in 60 nazioni per aiutare i perseguitati. Gran parte delle vittime si registrano in Nigeria, ma la lista nera dei paesi per i cristiani si apre con la Corea del Nord, l’Afghanistan, l’Arabia Saudita, il Pakistan.
In dicembre il governo italiano approva, per la prima volta, uno stanziamento di 2 milioni di euro all’anno e 4 dal 2021 per le minoranze cristiane nelle aree di crisi.
Panorama ha ricostruito alcune storie simbolo della persecuzione attraverso la voce delle vittime.
NIGERIA
“Ricordo ancora le grida delle altre ragazze violentate davanti ai miei occhi. Sono stata trasformata in una schiava, ma non ho mai perso la fede in Gesù” racconta Rebecca Bitrus, 28 anni, rapita dai tagliagole di Boko Haram, i seguaci del Califfo all’Equatore. Le porte dell’inferno per la giovane nigeriana si aprono nell’agosto 2014 quando i terroristi invadono la città di Baga portandosi via le donne cristiane. Rebecca partorisce Jonathan, il terzogenito, da prigioniera e si rifiuta di convertirsi all’Islam. “Mi hanno chiuso per punizione in una gabbia sottoterra per tre giorni senza cibo, né acqua” ricorda la sopravvissuta adottata da Aiuto alla chiesa che soffre. Rebecca non cede. Gli aguzzini le urlano “hai tenacia, ma ora vediamo se lo sei più di noi” e le strappano dalle braccia Jonathan, il figlio di un anno. Poi, come se fosse un bambolotto senza vita lo lanciano nel fiume condannandolo a morire annegato. Rebecca è paralizzata dal dolore: “Il mio cuore era dilaniato”. La stessa notte viene venduta come schiava ad un nuovo padrone, che la fa legare mani e piedi per terra per abusare ripetutamente della povera cristiana. Dalle violenze sessuali nasce un figlio partorito nella foresta, che la madre chiama Cristoph dal nome di Gesù.
Nel 2016, durante un attacco dell’esercito nigeriano, Rebecca riesce a fuggire camminando per un mese e nutrendosi di erba. Due anni dopo, a Roma, viene ricevuta da Papa Francesco. Davanti al Colosseo illuminato di rosso per ricordare i cristiani perseguitati una lacrima le riga la guancia: “Nelle mani dei terroristi che mi torturavano e violentavano solo la fede mi ha aiutato a sopravvivere”.
COREA DEL NORD
Hea Woo è un nome di copertura perchè ancora oggi teme le ritorsioni dei servizi segreti della Corea del Nord dopo essere fuggita nel 2010 dal “paradiso” di Kim Jong-un. L’anziana cristiana ha passato dieci mesi in carcere e tre anni nei campi di lavoro e rieducazione, i lager nord coreani. Sua sorella è morta di fame nel 1997, quando il regime, piuttosto che salvare il popolo dalla carestia progettava la bomba atomica. Hea Woo riesce a fuggire in Cina dove diventa cristiana di nascosto. Durante una retata viene rimandata in Corea del Nord. “In prigione le guardie mi prendevano regolarmente a calci e venivo picchiata con un bastone. Stavo per morire, ma Dio ha fatto il miracolo - racconta la sopravvissuta - Poi mi hanno condannata al gulag”. Il cartello all’ingresso del campo di lavori forzati in mezzo alle montagne è chiaro: “Non cercare di scappare. Verrai ucciso”.
Hea Woo viene assegnata ad una baracca come quella dei lager nazisti con una cinquantina di donne. La giornata in un gulag nord coreano è sempre la stessa: “Sveglia alle 5. Alle 6 una ciotola di riso, al massimo due o tre cucchiai. Alle 8 in marcia per il lavoro forzato nei campi senza un attimo di sosta. Alle 18 si rientra al campo, stanchi e affamati, ma inizia il momento di “autocritica” e poi l’indottrinamento ideologico,”.
Nonostante la durezza quotidiana Hea Woo non perde mai la fede e riesce addirittura a evangelizzare altre prigioniere. Se fosse stata scoperta avrebbe rischiato un colpo di pistola alla nuca. “La gente moriva di stenti e i corpi dei prigionieri venivano cremati” ricorda l’ex internata. “Poi le guardie spargevano le ceneri sul tragitto della nostra marcia verso i lavori forzati - racconta - Ogni volta che percorrevo quella strada pensavo: un giorno, un altro prigioniero camminerà sui miei resti”. Hea Woo, aiutata da Porte aperte, oggi vive libera nella Corea del Sud.
SIRIA E IRAQ
Padre Jaques Mourad, in questi giorni in Italia, è un sopravissuto al carnaio della Siria. “Non solo i cristiani, ma tutto il popolo siriano è perseguitato dalla guerra. La pace è ancora lontana” dichiara a Panorama. Il 21 maggio 2015 viene sequestrato dai miliziani incappucciati dell’Isis: “Mi hanno lasciato in mezzo al deserto bendato e legato per quattro giorni”. Poi lo trasferiscono a nella “capitale” dello Stato islamico. “A Raqqa sono stato rinchiuso per 83 giorni in un piccolo bagno per umiliarmi. Ogni volta che rifiutavo di convertirmi minacciavano di uccidermi” racconta il sacerdote. Padre Jaques fa parte della comunità del monastero di Mar Musa fondata da padre Paolo Dall’Oglio rapito dall’Isis e sparito nel nulla. “Il governo italiano, la Chiesa non fanno abbastanza per scoprire il suo destino. Continuo a coltivare la speranza. Per me è vivo fino a quando non mi dimostrano il contrario”. Nel 2015 Padre Jaques viene portato dall’Isis in un tunnel nella montagna vicino a Palmira dove ci sono altri 250 ostaggi cristiani: “Donne, bambini, anziani, invalidi terrorizzati. Non dimenticherò mai il loro strazio, ma anche la felicità di vedermi vivo. Pensavano che fossi stato decapitato”. Poi il sacerdote riesce a scappare, ma altri religiosi non sono così fortunati. “Il monaco Francois Murad era un uomo mite, un eremita. Il terrorista di Al Nusra (formazione legata ad Al Qaida nda) che lo ha decapitato era convinto di andare in paradiso se uccideva un infedele”.
Il martire cristiano iracheno si chiama Elias e ha 52 anni. A causa di una malattia è costretto su una sedia a rotelle. Nell’agosto del 2014 quando l’esercito delle bandiere nere proveniente dalla Siria occupa in pochi giorni un terzo dell’Iraq insediandosi a Mosul, i 120mila cristiani della piana di Ninive fuggono in massa. Elias Polos non ha la forza di scappare da Qaraqosh, il villaggio cristiano dove è nato. Alla sua famiglia che si mette in salvo dice: “Non faranno nulla a un invalido”. Almas, la figlia maggiore, che trova rifugio nell’ex seminario di Baghdad racconta: “A mio padre hanno chiesto due volte di convertirsi all’Islam e lui si è rifiutato. Siamo cristiani da sempre. Allora gli hanno tagliato il naso e la lingua”. Inutili le preghiere via telefonino agli aguzzini e le promesse di riscatto. “Poi hanno cominciato a spezzargli le ossa delle braccia e delle gambe - spiega Almas singhiozzando - E’ stato lasciato in vita per un giorno ad agonizzare con indicibili dolori. Alla fine lo hanno finito scaricandogli addosso sette proiettili”.
Dai quattro anni di terrore dell’Isis a Mosul è rispuntata, come un miracolo, Cristina, la bambina cristiana perduta nel dramma della guerra. “Urlavano Allah o Akbar (Dio è grande) e ordinavano di andarsene. Dicevano: sali sull’autobus e vattene o ti ammazziamo” ricorda Aida Khouder, che il 24 agosto 2014 ha in braccio la figlia di appena tre anni. \"Prima siamo stati derubati e poi un uomo vestito di nero, lo sguardo da diavolo ed i capelli bianchi si è preso la mia bambina, senza spiegazioni. Per anni non ho saputo più nulla di Cristina”. Il comandante dell’Isis abbandona la piccola cristiana in una moschea dove viene “adottata” da una famiglia musulmana.
Dopo la conquista di Mosul, la “capitale” del Califfato, nel luglio 2017 la bambina viene ritrovata dai sacerdoti che non hanno mai abbandonato gli sfollati cristiani. Cristina ha sei anni, ma non riconosce i suoi genitori e parla arabo. “Era traumatizzata e non apriva bocca. Solo alla mamma ha detto che a Mosul le avevano insegnato a pregare rivolta alla Mecca chiamandola con un nome musulmano” spiega a Panorama, Anwar Affas, la psicologa che aiuta Cristina dopo la liberazione. A Mosul la bambina cristiana sarebbe stata costretta ad assistere almeno ad una decapitazione dell’Isis in piazza. “Ci sono voluti mesi, ma è stato il fratello minore a farle superare l’angoscia - sottolinea la psicologa - Adesso Cristina è al suo primo anno di scuola e di ritorno alla vita”.
PAKISTAN
“Un miracolo” commenta Asia Bibi da dietro le sbarre stringendo fra le mani il rosario donato da Papa Francesco. “È la prima volta in nove anni che mi consentono di tenere in cella qualcosa di religioso” spiega l’icona della persecuzione giudiziaria nei confronti dei cristiani in Pakistan. Asia, condannata a morte per la falsa accusa di avere offeso il profeta Maometto è rimasta in carcere 3240 giorni per colpa di una legge arbitraria e medievale dettata dal Corano.
Il miracolo vero avviene il 31 ottobre scorso quando la Corte suprema pachistana considera finalmente infondate le accuse e cancella la pena capitale. \"Non posso credere a quello che sento. Uscirò dal carcere? Mi lasceranno veramente libera?” sono le prime parole della prigioniera cristiana. A 47 anni Asia Bibi viene rilasciata, ma non è del tutto libera. Tre mesi dopo vive ancora blindata in una località segreta, con il marito, sotto la protezione del governo. Dopo l’assoluzione i fondamentalisti scendono in piazza con cartelli che chiedono esplicitamente “impiccate Asia” e fantocci della cristiana perseguitata con il cappio al collo. Entro fine gennaio la Corte suprema dovrebbe decidere sul riscorso contro l’assoluzione presentato dai partiti religiosi, che siedono in parlamento e minacciano di morte Asia.
La buona notizia scoperta da Panorama è che all’inizio dell’anno, Eisham e la sorella Esha, le sue giovani figlie partono in gran segreto per un paese occidentale non europeo dove ottengono asilo e protezione. “Le nostre preghiere sono state ascoltate con la scarcerazione - spiega Eisham - ma adesso non vedo l’ora di riabbracciare la mamma”, finalmente libera se i giudici pachistani avranno il coraggio di sottrarla alla vendetta integralista.
EGITTO
Nel febbraio 2017 la costola dell’Isis nella penisola del Sinai proclama in un minaccioso video: “Allah ci ha ordinato di uccidere gli infedeli. I cristiani sono le nostre prede”. Tre mesi dopo sulla strada per il monastero di San Samuele i terroristi levano via la pelle con un coltello a una bambina di nove anni per cancellare la piccola croce tatuata sul polso. Poi le sparano, senza pietà, davanti ai genitori. Ventotto cristiani copti vengono trucidati per la loro fede. Atef Monir Zaki, 63 anni è una delle vittime. Il figlio Michael ricorda la sua fine. Prima i boia islamici “lo hanno preso a sprangate sul petto e sulle gambe per obbligarlo a convertirsi”. I terroristi vogliono che ripeta la professione di fede musulmana, “ma papà non ha ceduto”. Michael, che va a recuperare il corpo racconta: “Gli hanno puntato una pistola alla fronte e tirato il grilletto. Per noi è un martire”.