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Reportage
01 settembre 2019 - Attualità - Italia - Il Giornale |
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| Il cacciatore di navi fantasma “C’è chi nasconde i migranti” |
I l barcone in legno incagliato sulla sabbia della splendida spiaggia di Pietre cadute, a pochi chilometri da Agrigento, è ancora in buone condizioni. Per raggiungerlo bisogna scarpinare a lungo sulla battigia. A bordo, oltre le taniche vuote di carburante consumato per arrivare dalla Tunisia, ci sono coperte ed i vestiti indossati dai clandestini durante la traversata. Mutandoni rossi, magliette e un paio di calzoni accartocciati dalla salsedine. Una volta sbarcati nelle zone più isolate dell\'agrigentino si cambiano con abiti asciutti e puliti e spariscono nel nulla. «I migranti che salpano dalla Libia sui gommoni usano il telefono satellitare per farsi trovare e soccorrere. Quelli che partano da Tunisia o Algeria con barche in legno, che poi abbandonano sulle spiagge, non vogliono venire individuati. Arrivano e spariscono come fantasmi», spiega Claudio Lombardo. Medico e fondatore dell\'associazione «Mare amico» di Agrigento che difende l\'ambiente da 25 anni. E adesso da la caccia agli «sbarchi fantasma», che costellano di relitti le incontaminate spiagge siciliane. Il boom si era registrato nel 2017 con circa 3mila arrivi, ma appena il 15 per cento intercettato. Da gennaio Mare amico ha registrato 22 sbarchi fantasma solo nell\'agrigentino con una media di una trentina di clandestini per ogni approdo. Quello più clamoroso è del 7 agosto quando a Punta Bianca sono sbarcate una cinquantina di persone sulla spiaggia, in pieno giorno, filmate dai telefonini dei turisti. «In questa zona arrivano soprattutto uomini con barche di legno, utilizzate per tutta la traversata oppure natanti più piccoli messi in mare dalle navi madre. In provincia di Trapani utilizzano in gran parte gommoni o motoscafi veloci, che trasportano anche sigarette di contrabbando», spiega ancora Lombardo. Il «cacciatore» di fantasmi ci porta su una spiaggia assolata dove alcune famiglie si riparano sotto gli ombrelloni a due passi da un relitto in legno di un barchino. «Con questa bagnarola non potevano arrivare direttamente dalla Tunisia - fa notare Lombardo -. È palese che sono stati trasportati da una nave fino al limite delle acque territoriali». L\'ultimo sbarco nell\'area, di 19 tunisini, è avvenuto il 24 agosto sulla spiaggia di Sciacca, ma gli algerini puntano sulla Sardegna e gli iracheni, pachistani o bengalesi alla Puglia partendo dalle isole greche o dalla Turchia. Nella notte del 29 agosto una barca a vela ha trasportato 62 pachistani sbarcati sull\'isola di Sant\'Andrea, al largo di Gallipoli, in Salento. «La novità, che va di moda quest\'anno, è lo sbarco senza barca - spiega Lombardo -. Spesso troviamo i vestiti bagnati della traversata sulla spiaggia o nell\'entroterra ma non c\'è alcun relitto abbandonato». I clandestini si tuffano in acqua vicino alla spiaggia oppure vengono fatti approdare da gommoni veloci, che poi ritornano alla nave madre. Nella provincia di Agrigento, dove arrivano soprattutto tunisini, le spiagge più isolate sono le preferite per gli sbarchi come Torre Salsa, riserva naturale del Wwf, Pietre cadute e Giallonardo. Da gennaio il Viminale ha registrato 4.953 arrivi di migranti in Italia, il 75 per cento in meno rispetto allo stesso periodo del 2018. I tunisini, che in gran parte arrivano con gli sbarchi fantasma sono 1322 e gli algerini, che usano la stesa tecnica, 472. Per la traversata, se la barca è veloce, bastano 4 ore. Il costo varia da 1.500 a 3mila euro se hai fretta e magari sei ricercato. In luglio, il procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio, ha ripetuto, in due audizioni al Parlamento, che si tratta di «una immigrazione pericolosa» perché sbarcano come fantasmi anche malviventi e terroristi. Una volta scesi a terra sanno perfettamente dove andare e raggiungono a piedi la prima strada asfaltata. Poi puntano ad una stazione degli autobus o dei treni per andare solitamente verso Palermo. «Automobilisti di passaggio li hanno incrociati e filmati - conferma ancora Lombardo davanti ad un caffè a Porto Empedocle -. Devono avere case sicure dove fermarsi grazie ad una filiera ben collaudata probabilmente in accordo con la criminalità organizzata». |
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03 febbraio 2012 | UnoMattina | reportage
Il naufragio di nave Concordia e l'allarme del tracciato satellitare
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05 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Virus, il fronte che resiste in Friuli-Venezia Giulia
Fausto Biloslavo
TRIESTE - “Anche noi abbiamo paura. E’ un momento difficile per tutti, ma dobbiamo fare il nostro dovere con la maggiore dedizione possibile” spiega Demis Pizzolitto, veterano delle ambulanze del 118 nel capoluogo giuliano lanciate nella “guerra” contro il virus maledetto. La battaglia quotidiana inizia con la vestizione: tuta bianca, doppi guanti, visiera e mascherina per difendersi dal contagio. Il veterano è in coppia con Fabio Tripodi, una “recluta” arrivata da poco, ma subito spedita al fronte. Le due tute bianche si lanciano nella mischia armati di barella per i pazienti Covid. “Mi è rimasta impressa una signora anziana, positiva al virus, che abbiamo trasportato di notte - racconta l’infermiere Pizzolitto - In ambulanza mi ha raccontato del marito invalido rimasto a casa. E soffriva all’idea di averlo lasciato solo con la paura che nessuno si sarebbe occupato di lui”.
Bardati come due marziani spariscono nell’ospedale Maggiore di Trieste, dove sono ricoverati un centinaio di positivi, per trasferire un infetto che ha bisogno di maggiori cure. Quando tornano caricano dietro la barella e si chiudono dentro l’ambulanza con il paziente semi incosciente. Si vede solo il volto scavato che spunta dalle lenzuola bianche. Poi via a sirene spiegate verso l’ospedale di Cattinara, dove la terapia intensiva è l’ultima trincea per fermare il virus.
Il Friuli-Venezia Giulia è il fronte del Nord Est che resiste al virus grazie a restrizioni draconiane, anche se negli ultimi giorni la gente comincia ad uscire troppo di casa. Un decimo della popolazione rispetto alla Lombardia ha aiutato a evitare l’inferno di Bergamo e Brescia. Il 4 aprile i contagiati erano 1986, i decessi 145, le guarigioni 220 e 1103 persone si trovano in isolamento a casa. Anche in Friuli-Venezia Giulia, come in gran parte d’Italia, le protezioni individuali per chi combatte il virus non bastano mai. “Siamo messi molto male. Le stiamo centellinando. Più che con le mascherine abbiamo avuto grandi difficoltà con visiere, occhiali e tute” ammette Antonio Poggiana, direttore generale dell’Azienda sanitaria di Trieste e Gorizia. Negli ultimi giorni sono arrivate nuove forniture, ma l’emergenza riguarda anche le residenze per anziani, flagellate dal virus. “Sono “bombe” virali innescate - spiega Alberto Peratoner responsabile del 118 - Muoiono molti più anziani di quelli certificati, anche 4-5 al giorno, ma non vengono fatti i tamponi”.
Nell’ospedale di Cattinara “la terapia intensiva è la prima linea di risposta contro il virus, il nemico invisibile che stiamo combattendo ogni giorno” spiega Umberto Lucangelo, direttore del dipartimento di emergenza. Borse sotto gli occhi vive in ospedale e da separato in casa con la moglie per evitare qualsiasi rischio. Nella trincea sanitaria l’emergenza si tocca con mano. Barbara si prepara con la tuta anti contagio che la copre dalla testa ai piedi. Un’altra infermiera chiude tutti i possibili spiragli delle cerniere con larghe strisce di cerotto, come nei film. Simile ad un “palombaro” le scrivono sulla schiena il nome e l’orario di ingresso con un pennarello nero. Poi Barbara procede in un’anticamera con una porta a vetri. E quando è completamente isolata allarga le braccia e si apre l’ingresso del campo di battaglia. Ventuno pazienti intubati lottano contro la morte grazie agli angeli in tuta bianca che non li mollano un secondo, giorno e notte. L’anziano con la chioma argento sembra solo addormentato se non fosse per l’infinità di cannule infilate nel corpo, sensori e macchinari che pulsano attorno. Una signora è coperta da un telo blu e come tutti i pazienti critici ripresa dalle telecamere a circuito chiuso.
Mara, occhioni neri, visiera e mascherina spunta da dietro la vetrata protettiva con uno sguardo di speranza. All’interfono racconta l’emozione “del primo ragazzo che sono riuscito a svegliare. Quando mi ha visto ha alzato entrambi i pollici in segno di ok”. E se qualcuno non ce la fa Mara spiega “che siamo preparati ad accompagnare le persone verso la morte nella maniera più dignitosa. Io le tengo per mano per non lasciarle sole fino all’ultimo momento”.
Erica Venier, la capo turno, vuole ringraziare “con tutto il cuore” i triestini che ogni giorno fanno arrivare dolci, frutta, generi di conforto ai combattenti della terapia intensiva. Graziano Di Gregorio, infermiere del turno mattutino, è un veterano: “Dopo 22 anni di esperienza non avrei mai pensato di trovarmi in una trincea del genere”. Il fiore all’occhiello della rianimazione di Cattinara è di non aver perso un solo paziente, ma Di Gregorio racconta: “Infermieri di altre terapie intensive hanno dovuto dare l’estrema unzione perchè i pazienti sono soli e non si può fare diversamente”.
L’azienda sanitaria sta acquistando una trentina di tablet per cercare di mantenere un contatto con i familiari e permettere l’estremo saluto. Prima di venire intubati, l’ultima spiaggia, i contagiati che hanno difficoltà a respirare sono aiutati con maschere o caschi in un altro reparto. Il direttore, Marco Confalonieri, racconta: “Mio nonno era un ragazzo del ’99, che ha combattuto sul Piave durante il primo conflitto mondiale. Ho lanciato nella mischia 13 giovani appena assunti. Sono i ragazzi del ’99 di questa guerra”.
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14 marzo 2015 | Tgr Friuli-Venezia Giulia | reportage
Buongiorno regione
THE WAR AS I SAW IT - L'evento organizzato dal Club Atlantico giovanile del Friuli-Venezia Giulia e da Sconfinare si svolgerà nell’arco dell’intera giornata del 10 marzo 2015 e si articolerà in due fasi distinte: MATTINA (3 ore circa) ore 9.30 Conferenza sul tema del giornalismo di guerra Il panel affronterà il tema del giornalismo di guerra, raccontato e analizzato da chi l’ha vissuto in prima persona. Per questo motivo sono stati invitati come relatori professionisti del settore con ampia esperienza in conflitti e situazioni di crisi, come Gianandrea Gaiani (Direttore responsabile di Analisi Difesa, collaboratore di diverse testate nazionali), Fausto Biloslavo (inviato per Il Giornale in numerosi conflitti, in particolare in Medio Oriente), Elisabetta Burba (firma di Panorama), Gabriella Simoni (inviata Mediaset in numerosi teatri di conflitto, specialmente in Medio Oriente), Giampaolo Cadalanu (giornalista affermato, si occupa di politica estera per La Repubblica). Le relazioni saranno moderate dal professor Georg Meyr, coordinatore del corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche dell’Università di Trieste. POMERIGGIO (3 ore circa) ore 14.30 Due workshop sul tema del giornalismo di guerra: 1. “Il reporter sul campo vs l’analista da casa: strumenti utili e accorgimenti pratici” - G. Gaiani, G. Cadalanu, E. Burba, F. Biloslavo 2. “Il freelance, l'inviato e l'addetto stampa in aree di crisi: tre figure a confronto” G. Simoni, G. Cuscunà, cap. B. Liotti
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radio

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento |
Italia
Professione Reporter di Guerra
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