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20 settembre 2019 - Attualità - Italia - Il Giornale
Il bidone franco-tedesco è garantito
di Fausto Biloslavo
P alazzo Chigi e Quirinale fanno squillare le trombe davanti ai presidenti francese e tedesco, che arrivano nell\'Italia «liberata» dal cattivone Salvini annunciando mirabolanti soluzioni al problema degli sbarchi. Forse per nascondere l\'impietosa realtà dei numeri, che inchioda il governo giallorosso a un\'impennata di arrivi. Dal varo del nuovo governo sono sbarcati 946 migranti, una media di 67 circa al giorno. Da gennaio al passaggio di mano al Viminale ne sono stati registrati 5.624, ovvero 22,7 al giorno, tre volte di meno. I 1.435 giunti sulle nostre coste in settembre già superano qualsiasi mese di quest\'anno. Il Conte bis provoca, di fatto, un netto incremento in controtendenza rispetto al suo primo governo.
La svolta «umanista», che riapre i porti, è servita da sirena, se non vero fattore di attrazione per gommoni in partenza dalla Libia diritti verso le navi delle Ong e soprattutto barconi o barchini che arrivano da soli. La nave Ocean Viking si è piazzata davanti alla Libia attendendo senza pudore di fare il «pieno». Mercoledì hanno recuperato il terzo carico arrivando ad un totale di 182 migranti, ma possono imbarcarne quasi il doppio.
Nella Waterloo annunciata degli sbarchi la panacea di tutti i mali propagandata dal governo è la chimera dell\'accordo con l\'Europa franco-tedesca. Il ministro dell\'Interno di Berlino, Horst Seehofer, si è spinto addirittura ad annunciare un piano per la riforma di Dublino, il sistema bidone per l\'Italia che si becca tutti i migranti. Poi si è lasciato andare ad una fumosa idea di «solidarietà flessibile» in vista della riunione di Malta, che rischia di partorire un topolino. La Francia di Macron non vuole la rotazione dei porti sicuri di sbarco, l\'unico sistema certo per non essere sempre condannati a fare scendere tutti i migranti da noi.
Non è ancora chiaro se il grande patto riguarderà solo chi ha diritto all\'asilo o anche una quota di migranti economici. Nodo cruciale tenendo conto che nel 2019 la prima nazionalità è quella dei tunisini, che dovrebbero venire rimandati tutti a casa e poi i pakistani e gli ivoriani, che in minima parte hanno diritto all\'asilo. Per ora sono sicuramente esclusi quelli degli sbarchi autonomi ovvero la maggiorana degli arrivi.
I numeri reali delle quote da distribuire in Europa sono ancora simili a quelli del Lotto, ma la fregatura si profila sui costi di accoglienza e smistamento. Chi paga? L\'Europa o come sempre Pantalone? Il rischio è che il sistema si trasformi in un mascherato corridoio umanitario con le navi delle Ong che vanno a fare il pieno davanti alla Libia e sbarcano tutti in Italia in nome della distribuzione automatica per poi tornare a fare i traghetti umanitari. 
I trafficanti, fin d\'ora, ringraziano. 
[continua]

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23 aprile 2012 | Premio Lago | reportage
Il premio Giorgio Lago: Arte, impresa, giornalismo, volontariato del Nord Est
Motivazione della Giuria: Giornalista di razza. Sempre sulla notizia, esposto in prima persona nei vari teatri di guerra del mondo. Penna sottile, attenta, con un grande amore per la verità raccontata a narrare le diverse vicende dell’uomo.

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05 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Virus, il fronte che resiste in Friuli-Venezia Giulia
Fausto Biloslavo TRIESTE - “Anche noi abbiamo paura. E’ un momento difficile per tutti, ma dobbiamo fare il nostro dovere con la maggiore dedizione possibile” spiega Demis Pizzolitto, veterano delle ambulanze del 118 nel capoluogo giuliano lanciate nella “guerra” contro il virus maledetto. La battaglia quotidiana inizia con la vestizione: tuta bianca, doppi guanti, visiera e mascherina per difendersi dal contagio. Il veterano è in coppia con Fabio Tripodi, una “recluta” arrivata da poco, ma subito spedita al fronte. Le due tute bianche si lanciano nella mischia armati di barella per i pazienti Covid. “Mi è rimasta impressa una signora anziana, positiva al virus, che abbiamo trasportato di notte - racconta l’infermiere Pizzolitto - In ambulanza mi ha raccontato del marito invalido rimasto a casa. E soffriva all’idea di averlo lasciato solo con la paura che nessuno si sarebbe occupato di lui”. Bardati come due marziani spariscono nell’ospedale Maggiore di Trieste, dove sono ricoverati un centinaio di positivi, per trasferire un infetto che ha bisogno di maggiori cure. Quando tornano caricano dietro la barella e si chiudono dentro l’ambulanza con il paziente semi incosciente. Si vede solo il volto scavato che spunta dalle lenzuola bianche. Poi via a sirene spiegate verso l’ospedale di Cattinara, dove la terapia intensiva è l’ultima trincea per fermare il virus. Il Friuli-Venezia Giulia è il fronte del Nord Est che resiste al virus grazie a restrizioni draconiane, anche se negli ultimi giorni la gente comincia ad uscire troppo di casa. Un decimo della popolazione rispetto alla Lombardia ha aiutato a evitare l’inferno di Bergamo e Brescia. Il 4 aprile i contagiati erano 1986, i decessi 145, le guarigioni 220 e 1103 persone si trovano in isolamento a casa. Anche in Friuli-Venezia Giulia, come in gran parte d’Italia, le protezioni individuali per chi combatte il virus non bastano mai. “Siamo messi molto male. Le stiamo centellinando. Più che con le mascherine abbiamo avuto grandi difficoltà con visiere, occhiali e tute” ammette Antonio Poggiana, direttore generale dell’Azienda sanitaria di Trieste e Gorizia. Negli ultimi giorni sono arrivate nuove forniture, ma l’emergenza riguarda anche le residenze per anziani, flagellate dal virus. “Sono “bombe” virali innescate - spiega Alberto Peratoner responsabile del 118 - Muoiono molti più anziani di quelli certificati, anche 4-5 al giorno, ma non vengono fatti i tamponi”. Nell’ospedale di Cattinara “la terapia intensiva è la prima linea di risposta contro il virus, il nemico invisibile che stiamo combattendo ogni giorno” spiega Umberto Lucangelo, direttore del dipartimento di emergenza. Borse sotto gli occhi vive in ospedale e da separato in casa con la moglie per evitare qualsiasi rischio. Nella trincea sanitaria l’emergenza si tocca con mano. Barbara si prepara con la tuta anti contagio che la copre dalla testa ai piedi. Un’altra infermiera chiude tutti i possibili spiragli delle cerniere con larghe strisce di cerotto, come nei film. Simile ad un “palombaro” le scrivono sulla schiena il nome e l’orario di ingresso con un pennarello nero. Poi Barbara procede in un’anticamera con una porta a vetri. E quando è completamente isolata allarga le braccia e si apre l’ingresso del campo di battaglia. Ventuno pazienti intubati lottano contro la morte grazie agli angeli in tuta bianca che non li mollano un secondo, giorno e notte. L’anziano con la chioma argento sembra solo addormentato se non fosse per l’infinità di cannule infilate nel corpo, sensori e macchinari che pulsano attorno. Una signora è coperta da un telo blu e come tutti i pazienti critici ripresa dalle telecamere a circuito chiuso. Mara, occhioni neri, visiera e mascherina spunta da dietro la vetrata protettiva con uno sguardo di speranza. All’interfono racconta l’emozione “del primo ragazzo che sono riuscito a svegliare. Quando mi ha visto ha alzato entrambi i pollici in segno di ok”. E se qualcuno non ce la fa Mara spiega “che siamo preparati ad accompagnare le persone verso la morte nella maniera più dignitosa. Io le tengo per mano per non lasciarle sole fino all’ultimo momento”. Erica Venier, la capo turno, vuole ringraziare “con tutto il cuore” i triestini che ogni giorno fanno arrivare dolci, frutta, generi di conforto ai combattenti della terapia intensiva. Graziano Di Gregorio, infermiere del turno mattutino, è un veterano: “Dopo 22 anni di esperienza non avrei mai pensato di trovarmi in una trincea del genere”. Il fiore all’occhiello della rianimazione di Cattinara è di non aver perso un solo paziente, ma Di Gregorio racconta: “Infermieri di altre terapie intensive hanno dovuto dare l’estrema unzione perchè i pazienti sono soli e non si può fare diversamente”. L’azienda sanitaria sta acquistando una trentina di tablet per cercare di mantenere un contatto con i familiari e permettere l’estremo saluto. Prima di venire intubati, l’ultima spiaggia, i contagiati che hanno difficoltà a respirare sono aiutati con maschere o caschi in un altro reparto. Il direttore, Marco Confalonieri, racconta: “Mio nonno era un ragazzo del ’99, che ha combattuto sul Piave durante il primo conflitto mondiale. Ho lanciato nella mischia 13 giovani appena assunti. Sono i ragazzi del ’99 di questa guerra”.

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03 febbraio 2012 | UnoMattina | reportage
Il naufragio di nave Concordia e l'allarme del tracciato satellitare


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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
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