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Articolo
02 novembre 2019 - Prima - Italia - Il Giornale |
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La Alan Kurdi a Taranto Il talebano Orlando fa volare gli aerei delle Ong |
G li aerei delle Ong, che erano stati bloccati a terra, sono tornati a decollare a caccia di migranti. Almeno uno, il Moonbird, dei talebani dell\\\'accoglienza di Sea watch, finanziato dalla Chiesa evangelica tedesca. E da dove decolla? Dal vecchio aeroporto di Palermo, la città guidata da Leoluca Orlando, che ha stretto un patto d\\\'acciaio proprio con gli evangelici tedeschi a favore delle Ong. Nelle ultime 48 ore due gommoni arrivati fino alle piattaforme dell\\\'Eni in mezzo al Mediterraneo, di fronte alla Libia, sono stati soccorsi da assetti navali italiani. Un altro centinaio di migranti che sbarcherà da noi a breve senza redistribuzione europea. E Alarm phone, il centralino dei migranti, ha segnalato un\\\'imbarcazione con una quarantina di persone partita dalla Libia. Da Roma sperano di coinvolgere le autorità maltesi. Non è un caso, che proprio il sindaco di Palermo Orlando ieri abbia lanciato l\\\'appello per l\\\'ultima nave delle Ong con migranti a bordo da una settimana. Per la Alan Kurdi l\\\'accordo è stato trovato in serata in base al patto di Malta: «La Germania e la Francia accoglieranno 60 migranti - spiega il Viminale -, il Portogallo 5 e l\\\'Irlanda 2». Il porto indicato alla nave della Ong tedesca è quello di Taranto. Sea Eye è finanziata a sua volta dalle chiese in Germania. Il cardinale cattolico Reinhard Marx ha versato un obolo di 50mila euro. Il resto è arrivato da protestanti e luterani: almeno 190mila euro. Il cardinale è molto legato al presidente degli evangelici, il vescovo Heinrich Bedford-Strohm, ex tesserato del partito Socialdemocratico. La chiesa evangelica ha sostenuto «in maniera significativa» l\\\'operazione Moonbird, dal nome del piccolo aereo che nei primi sei mesi dell\\\'anno era decollato non solo da Lampedusa, assieme al gemello Colibrì, per 78 missioni alla ricerca di gommoni partiti dalla Libia. Un\\\'operazione che non costa poco: ogni decollo di Moonbird, un Cirrus SR22 monomotore, per dieci ore di volo, circa 2.800 euro. Nel 2017, l\\\'ultimo anno del boom degli sbarchi, solo «l\\\'operazione Moonbird» è costata 359.941 euro. Nel 2018 il budget per gli aerei è stato di 262.435 euro In agosto l\\\'Ente nazionale dell\\\'aviazione civile (Enac) aveva fermato gli aerei. «Le norme nazionali impongono che quei velivoli possano essere usati solo per attività ricreative e non professionali - spiegava l\\\'ente controllore - Quelle di ricerca e soccorso sono operazioni professionali che richiedono un regime autorizzativo, non compatibile con gli aeromobili di costruzione amatoriale». Sea Watch aveva annunciato battaglia legale contrastando l\\\'Enac. Guarda caso passata l\\\'estate e cambiato governo, almeno uno degli aeroplanini, il Moonbird, è miracolosamente tornato a volare. Questa volta decolla non più da Lampedusa, ma dall\\\'aeroporto Francesco e Giuseppe Notarbartolo di Palermo-Boccadifalco, il vecchio scalo della città. A fine ottobre ha avvistato un gommone con dei migranti poi recuperati da Open Arms, la nave dell\\\'omonima Ong spagnola più volte sequestrata. Perché il velivolo di Sea Watch ha scelto Palermo? Agli inizi di giugno Orlando ha accolto con tutti gli onori il potente vescovo Bedford-Strohm, che si è incontrato con i rappresentanti degli evangelici italiani. Il 20 giugno Orlando è intervenuto all\\\'assemblea nazionale dei cristiani evangelici tedeschi, davanti a 12mila persone. Assieme al vescovo Bedford-Strohm e al sindaco di Düsseldorf ha lanciato il network europeo «Un porto sicuro». Adesso comprende pure l\\\'aereo Moonbird, che fino alla s |
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07 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Parla il sopravvissuto al virus
Fausto Biloslavo
TRIESTE - Il sopravvissuto sta sbucciando un’arancia seduto sul letto di ospedale, come se non fosse rispuntato da poco dall’anticamera dell’inferno. Maglietta grigia, speranza dipinta negli occhi, Giovanni Ziliani è stato dimesso mercoledì, per tornare a casa. Quarantadue anni, atleta e istruttore di arti marziali ai bambini, il 10 marzo ha iniziato a stare male nella sua città, Cremona. Cinque giorni dopo è finito in terapia intensiva. Dalla Lombardia l’hanno trasferito a Trieste, dove un tubo in gola gli pompava aria nei polmoni devastati dall’infezione. Dopo 17 giorni di calvario è tornato a vivere, non più contagioso.
Cosa ricorda di questa discesa all’inferno?
“Non volevo dormire perchè avevo paura di smettere di respirare. Ricordo il tubo in gola, come dovevo convivere con il dolore, gli sforzi di vomito ogni volta che cercavo di deglutire. E gli occhi arrossati che bruciavano. Quando mi sono svegliato, ancora intubato, ero spaventato, disorientato. La sensazione è di impotenza sul proprio corpo. Ti rendi conto che dipendi da fili, tubi, macchine. E che la cosa più naturale del mondo, respirare, non lo è più”.
Dove ha trovato la forza?
“Mi sono aggrappato alla famiglia, ai valori veri. Al ricordo di mia moglie, in cinta da otto mesi e di nostra figlia di 7 anni. Ti aggrappi a quello che conta nella vita. E poi c’erano gli angeli in tuta bianca che mi hanno fatto rinascere”.
Gli operatori sanitari dell’ospedale?
“Sì, medici ed infermieri che ti aiutano e confortano in ogni modo. Volevo comunicare, ma non ci riuscivo perchè avevo un tubo in gola. Hanno provato a farmi scrivere, ma ero talmente debole che non ero in grado. Allora mi hanno portato un foglio plastificato con l’alfabeto e digitavo le lettere per comporre le parole”.
Il momento che non dimenticherà mai?
“Quando mi hanno estubato. E’ stata una festa. E quando ero in grado di parlare la prima cosa che hanno fatto è una chiamata in viva voce con mia moglie. Dopo tanti giorni fra la vita e la morte è stato un momento bellissimo”.
Come ha recuperato le forze?
“Sono stato svezzato come si fa con i vitellini. Dopo tanto tempo con il sondino per l’alimentazione mi hanno somministrato in bocca del tè caldo con una piccola siringa. Non ero solo un paziente che dovevano curare. Mi sono sentito accudito”.
Come è stato infettato?
“Abbiamo preso il virus da papà, che purtroppo non ce l’ha fatta. Mio fratello è intubato a Varese non ancora fuori pericolo”.
E la sua famiglia?
“Moglie e figlia di 7 anni per fortuna sono negative. La mia signora è in attesa di Gabriele che nascerà fra un mese. Ed io sono rinato a Trieste”.
Ha pensato di non farcela?
“Ero stanco di stare male con la febbre sempre a 39,6. Speravo di addormentarmi in terapia intensiva e di risvegliarmi guarito. Non è andata proprio in questo modo, ma è finita così: una vittoria per tutti”.
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14 maggio 2020 | Tg5 | reportage
Trieste, Lampedusa del Nord Est
Fausto Biloslavo
TRIESTE - Il gruppetto è seduto sul bordo della strada asfaltata. Tutti maschi dai vent’anni in su, laceri, sporchi e inzuppati di pioggia sembrano sfiniti, ma chiedono subito “dov’è Trieste?”. Un chilometro più indietro passa il confine con la Slovenia. I migranti illegali sono appena arrivati, dopo giorni di marcia lungo la rotta balcanica. Non sembra il Carso triestino, ma la Bosnia nord occidentale da dove partono per arrivare a piedi in Italia. Scarpe di ginnastica, tute e qualche piumino non hanno neanche uno zainetto. Il più giovane è il capetto della decina di afghani, che abbiamo intercettato prima della polizia. Uno indossa una divisa mimetica probabilmente bosniaca, un altro ha un barbone e sguardo da talebano e la principale preoccupazione è “di non venire deportati” ovvero rimandati indietro. Non sanno che la Slovenia, causa virus, ha sospeso i respingimenti dall’Italia. Di nuovo in marcia i migranti tirano un sospiro di sollievo quando vedono un cartello stradale che indica Trieste. Il capetto alza la mano in segno di vittoria urlando da dove viene: “Afghanistan, Baghlan”, una provincia a nord di Kabul.
Il 12 maggio sono arrivati in 160 in poche ore, in gran parte afghani e pachistani, il picco giornaliero dall’inizio dell’anno. La riapertura della rotta balcanica sul fronte del Nord Est è iniziata a fine aprile, in vista della fase 2 dell’emergenza virus. A Trieste sono stati rintracciati una media di 40 migranti al giorno. In Bosnia sarebbero in 7500 pronti a partire verso l’Italia.
Il gruppetto di afghani viene preso in carico dai militari del reggimento Piemonte Cavalleria schierato sul confine con un centinaio di uomini per l’emergenza virus. Più avanti sullo stradone di ingresso in città, da dove si vede il capoluogo giuliano, la polizia sta intercettando altri migranti. Le volanti con il lampeggiante acceso “scortano” la colonna che si sta ingrossando con decine di giovani stanchi e affamati. Grazie ad un altoparlante viene spiegato in inglese di stare calmi e dirigersi verso il punto di raccolta sul ciglio della strada in attesa degli autobus per portarli via. Gli agenti con le mascherine controllano per prima cosa con i termometri a distanza la temperatura dei clandestini. Poi li perquisiscono uno ad uno e alla fine distribuiscono le mascherine ai migranti. Alla fine li fanno salire sugli autobus dell’azienda comunale dei trasporti cercando di non riempirli troppo per evitare focolai di contagio. “No virus, no virus” sostiene Rahibullah Sadiqi alzando i pollici verso l’alto in segno di vittoria. L’afghano è partito un anno fa dal suo paese e ha camminato per “dodici giorni dalla Bosnia, attraverso la Croazia e la Slovenia fino all’Italia”. Seduto per terra si è levato le scarpe e mostra i piedi doloranti. “I croati mi hanno rimandato indietro nove volte, ma adesso non c’era polizia e siamo passati tutti” spiega sorridendo dopo aver concluso “il gioco”, come i clandestini chiamano l’ultimo tratto della rotta balcanica.
“Abbiamo registrato un crollo degli arrivi in marzo e per gran parte di aprile. Poi un’impennata alla fine dello scorso mese fino a metà maggio. L’impressione è che per i paesi della rotta balcanica nello stesso periodo sia avvenuta la fine del lockdown migratorio. In pratica hanno aperto i rubinetti per scaricare il peso dei flussi sull’Italia e sul Friuli-Venezia Giulia in particolare creando una situazione ingestibile anche dal punto di vista sanitario. E’ inaccettabile” spiega l'assessore regionale alla Sicurezza Pierpaolo Roberti, che punta il dito contro la Slovenia.
Lorenzo Tamaro, responsabile provinciale del Sindacato autonomo di polizia, denuncia “la carenza d’organico davanti all’emergenza dell’arrivo in massa di immigrati clandestini. Rinnoviamo l’appello per l’invio di uomini in rinforzo alla Polizia di frontiera”.
In aprile circa il 30% dei migranti che stazionavano in Serbia è entrato in Bosnia grazie alla crisi pandemica, che ha distolto uomini ed energie dal controllo dei confini. Nella Bosnia occidentale non ci sono più i campi di raccolta, ma i migranti bivaccano nei boschi e passano più facilmente in Croazia dove la polizia ha dovuto gestire l’emergenza virus e pure un terremoto.
Sul Carso anche l’esercito impegnato nell’operazione Strade sicure fa il possibile per tamponare l’arrivo dei migranti intercettai pure con i droni. A Fernetti sul valico con la Slovenia hanno montato un grosso tendone mimetico dove vengono portati i nuovi arrivati per i controlli sanitari. Il personale del 118 entra con le protezioni anti virus proprio per controllare che nessuno mostri i sintomi, come febbre e tosse, di un possibile contagio. Il Sap è preoccupato per l’emergenza sanitaria: “Non abbiamo strutture idonee ad accogliere un numero così elevato di persone. Servono più ambienti per poter isolare “casi sospetti” e non mettere a rischio contagio gli operatori di Polizia. Non siamo nemmeno adeguatamente muniti di mezzi per il trasporto dei migranti con le separazioni previste dall’emergenza virus”.
Gli agenti impegnati sul terreno non sono autorizzati a parlare, ma a denti stretti ammettono: “Se va avanti così, in vista della bella stagione, la rotta balcanica rischia di esplodere. Saremo travolti dai migranti”. E Trieste potrebbe trasformarsi nella Lampedusa del Nord Est.
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21 settembre 2012 | La Vita in Diretta | reportage
Islam in Italia e non solo. Preconcetti, paure e pericoli
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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento |
Italia
Professione Reporter di Guerra
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