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Commento
06 novembre 2019 - Prima - Italia - Il Giornale
Gli eroi di un Dio minore
C hi da piccolo non giocava con i mezzi rossi in miniatura dei pompieri, sognando di diventare da grande come loro, che si lanciano nelle fiamme e sfidano qualsiasi pericolo? Il giorno di Santa Barbara i papà portavano i figli nella caserma dei Vigili del fuoco a vederli calare dalla torre o accendere i lampeggianti alzando la scala verso il cielo. Il corpo è sempre stato uno dei più amati dagli italiani.
Se il gatto non riesce a scendere dal cornicione, se qualcuno è incastrato fra le lamiere di un incidente stradale, se scoppia un incendio o se un terremoto (...)
(...) ha distrutto città e paesi chiami sempre i pompieri. I primi a intervenire nella tragedie d\\\'Italia, da Rigopiano (assieme al soccorso alpino), alle scuole che crollano oppure ai disastri ferroviari. E a non mollare mai in nome del loro motto: «Domiamo le fiamme, doniamo i cuori».
I pompieri, nell\\\'immaginario collettivo, sono gli «eroi» buoni, fra i pochi in divisa a essere disarmati, ma con coraggio da vendere, che considerano «un giorno senza rischi un giorno non vissuto». Non si tratta di un semplice lavoro, ma di una passione, perché la vita non ha prezzo. Un vigile del fuoco guadagna 1.400 euro al mese e, avanzando di grado, difficilmente supera i 2.500. Valgono il prezzo di una vita? Anzi, di tre vite che si sono spente per fare il proprio dovere? Matteo, Marco, Antonino non potevano immaginare di trovarsi di fronte non solo a un incendio, ma a una trappola esplosiva, come se fosse l\\\'Afghanistan dei bombaroli talebani e non la provincia di Alessandria, probabilmente dilaniata da una becera questione di dissidi privati. Le loro divise insanguinate si aggiungono a quelle di carabinieri e poliziotti uccisi negli ultimi mesi, uno stillicidio che dovrebbe fare capire a tutti il sacrificio di chi serve il Paese e il suo popolo.
Anche se tutto è divorato dalle fiamme, sotto cumuli di macerie o nel groviglio di lamiere di un incidente, i giubbottoni scuri dei pompieri con le strisce gialle per farsi vedere al buio infondono sempre speranza. Non è un caso che qualunque autorità, compreso il Santo Padre, in pellegrinaggio sul luogo di un disastro porti spesso un casco da pompiere.
Peccato che i politici, dopo il selfie in mezzo ai Vigili del fuoco, li dimenticano, soprattutto quando si arriva alla legge di bilancio. «Sa quanto prenderanno le famiglie delle tre vittime di risarcimento? Meno di 2mila euro! Una vergogna. Le famiglie dei nostri morti sul lavoro vanno avanti con le collette dei colleghi», ha denunciato ieri Costantino Saporito, sindacalista dei Vigili del fuoco.
L\\\'assurdo è che i 34mila pompieri italiani non hanno la tutela Inail in caso di incidenti sul lavoro. La legge finanziaria prevede delle briciole: appena 25 milioni di euro in più, ma 10 sono una partita di giro. «Una vera vergogna, altro che vicinanza», protestano i Vigili del fuoco. Il 19 novembre avevano già previsto una manifestazione di protesta a Roma, che adesso avrà ancora più valore, ma pensate se i pompieri incrociassero le braccia a oltranza, stufi di essere trattati da servitori dello Stato e della comunità nazionale di serie B. Se scoppia un incendio, se arriva un\\\'alluvione, se crolla un palazzo o un ponte, chi viene a salvarci? A scarificare, se necessario, la sua vita per la nostra, come hanno fatto Matteo, Marco e Antonino.
Fausto Biloslavo

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10 giugno 2008 | TG3 regionale | reportage
Gli occhi della guerra.... a Bolzano /1
Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, non dimentica i vecchi amici scomparsi. Il 10 giugno ha visitato a Bolzano la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” dedicata ad Almerigo Grilz. La mostra è stata organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti. Gli ho illustrato le immagini forti raccolte in 25 anni di reportage assieme ad Almerigo e Gian Micalessin. La Russa ha ricordato quando "sono andato a prendere Fausto e Almerigo al ritorno da uno dei primi reportage con la mia vecchia 500 in stazione a Milano. Poco dopo li hanno ricoverati tutti e due per qualche malattia". Era il 1983, il primo reportage in Afghanistan e avevamo beccato l'epatite mangiando la misera sbobba dei mujaheddin, che combattevano contro le truppe sovietiche.

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16 febbraio 2007 | Otto e Mezzo | reportage
Foibe, conflitto sulla storia
Foibe, conflitto sulla storia

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05 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Virus, il fronte che resiste in Friuli-Venezia Giulia
Fausto Biloslavo TRIESTE - “Anche noi abbiamo paura. E’ un momento difficile per tutti, ma dobbiamo fare il nostro dovere con la maggiore dedizione possibile” spiega Demis Pizzolitto, veterano delle ambulanze del 118 nel capoluogo giuliano lanciate nella “guerra” contro il virus maledetto. La battaglia quotidiana inizia con la vestizione: tuta bianca, doppi guanti, visiera e mascherina per difendersi dal contagio. Il veterano è in coppia con Fabio Tripodi, una “recluta” arrivata da poco, ma subito spedita al fronte. Le due tute bianche si lanciano nella mischia armati di barella per i pazienti Covid. “Mi è rimasta impressa una signora anziana, positiva al virus, che abbiamo trasportato di notte - racconta l’infermiere Pizzolitto - In ambulanza mi ha raccontato del marito invalido rimasto a casa. E soffriva all’idea di averlo lasciato solo con la paura che nessuno si sarebbe occupato di lui”. Bardati come due marziani spariscono nell’ospedale Maggiore di Trieste, dove sono ricoverati un centinaio di positivi, per trasferire un infetto che ha bisogno di maggiori cure. Quando tornano caricano dietro la barella e si chiudono dentro l’ambulanza con il paziente semi incosciente. Si vede solo il volto scavato che spunta dalle lenzuola bianche. Poi via a sirene spiegate verso l’ospedale di Cattinara, dove la terapia intensiva è l’ultima trincea per fermare il virus. Il Friuli-Venezia Giulia è il fronte del Nord Est che resiste al virus grazie a restrizioni draconiane, anche se negli ultimi giorni la gente comincia ad uscire troppo di casa. Un decimo della popolazione rispetto alla Lombardia ha aiutato a evitare l’inferno di Bergamo e Brescia. Il 4 aprile i contagiati erano 1986, i decessi 145, le guarigioni 220 e 1103 persone si trovano in isolamento a casa. Anche in Friuli-Venezia Giulia, come in gran parte d’Italia, le protezioni individuali per chi combatte il virus non bastano mai. “Siamo messi molto male. Le stiamo centellinando. Più che con le mascherine abbiamo avuto grandi difficoltà con visiere, occhiali e tute” ammette Antonio Poggiana, direttore generale dell’Azienda sanitaria di Trieste e Gorizia. Negli ultimi giorni sono arrivate nuove forniture, ma l’emergenza riguarda anche le residenze per anziani, flagellate dal virus. “Sono “bombe” virali innescate - spiega Alberto Peratoner responsabile del 118 - Muoiono molti più anziani di quelli certificati, anche 4-5 al giorno, ma non vengono fatti i tamponi”. Nell’ospedale di Cattinara “la terapia intensiva è la prima linea di risposta contro il virus, il nemico invisibile che stiamo combattendo ogni giorno” spiega Umberto Lucangelo, direttore del dipartimento di emergenza. Borse sotto gli occhi vive in ospedale e da separato in casa con la moglie per evitare qualsiasi rischio. Nella trincea sanitaria l’emergenza si tocca con mano. Barbara si prepara con la tuta anti contagio che la copre dalla testa ai piedi. Un’altra infermiera chiude tutti i possibili spiragli delle cerniere con larghe strisce di cerotto, come nei film. Simile ad un “palombaro” le scrivono sulla schiena il nome e l’orario di ingresso con un pennarello nero. Poi Barbara procede in un’anticamera con una porta a vetri. E quando è completamente isolata allarga le braccia e si apre l’ingresso del campo di battaglia. Ventuno pazienti intubati lottano contro la morte grazie agli angeli in tuta bianca che non li mollano un secondo, giorno e notte. L’anziano con la chioma argento sembra solo addormentato se non fosse per l’infinità di cannule infilate nel corpo, sensori e macchinari che pulsano attorno. Una signora è coperta da un telo blu e come tutti i pazienti critici ripresa dalle telecamere a circuito chiuso. Mara, occhioni neri, visiera e mascherina spunta da dietro la vetrata protettiva con uno sguardo di speranza. All’interfono racconta l’emozione “del primo ragazzo che sono riuscito a svegliare. Quando mi ha visto ha alzato entrambi i pollici in segno di ok”. E se qualcuno non ce la fa Mara spiega “che siamo preparati ad accompagnare le persone verso la morte nella maniera più dignitosa. Io le tengo per mano per non lasciarle sole fino all’ultimo momento”. Erica Venier, la capo turno, vuole ringraziare “con tutto il cuore” i triestini che ogni giorno fanno arrivare dolci, frutta, generi di conforto ai combattenti della terapia intensiva. Graziano Di Gregorio, infermiere del turno mattutino, è un veterano: “Dopo 22 anni di esperienza non avrei mai pensato di trovarmi in una trincea del genere”. Il fiore all’occhiello della rianimazione di Cattinara è di non aver perso un solo paziente, ma Di Gregorio racconta: “Infermieri di altre terapie intensive hanno dovuto dare l’estrema unzione perchè i pazienti sono soli e non si può fare diversamente”. L’azienda sanitaria sta acquistando una trentina di tablet per cercare di mantenere un contatto con i familiari e permettere l’estremo saluto. Prima di venire intubati, l’ultima spiaggia, i contagiati che hanno difficoltà a respirare sono aiutati con maschere o caschi in un altro reparto. Il direttore, Marco Confalonieri, racconta: “Mio nonno era un ragazzo del ’99, che ha combattuto sul Piave durante il primo conflitto mondiale. Ho lanciato nella mischia 13 giovani appena assunti. Sono i ragazzi del ’99 di questa guerra”.

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


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