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Articolo
07 novembre 2019 - Prima - Italia - Il Giornale |
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| La speranza del Viminale “Nuovo patto con la Libia per fermare gli sbarchi” |
Il ministro dell\\\'Interno Luciana Lamorgese ha scoperto l\\\'acqua calda sui miglioramenti al memorandum italo-libico. E nelle proposte da libro dei sogni avanzate ieri alla Camera forse non si rende bene conto che Tripoli è sotto assedio e attacchi aerei. Non solo: l\\\'Onu, che (...) (...) dovrebbe prendere in mano i centri governativi di detenzione dei migranti, ha battuto in gran parte in ritirata. Per non parlare del fuoco amico dell\\\'estrema sinistra e di esponenti del Pd. Matteo Orfini ha bollato l\\\'intervento del ministro come «imbarazzante e ipocrita». Il piano d\\\'attacco dell\\\'ex prefetto Lamorgese si sviluppa su tre direttrici. «Il primo intervento possibile - ha dichiarato nell\\\'aula di Montecitorio - è il miglioramento delle condizioni dei centri in vista della loro graduale chiusura per giungere a centri gestiti dalle agenzie dell\\\'Onu». Peccato che nei pochi ancora aperti, dopo l\\\'attacco a Tripoli sempre in corso, ci saranno 3mila al massimo 5mila migranti. Altri 600mila sono «liberi» sul territorio o rinchiusi a migliaia nei centri illegali delle milizie e dei trafficanti, che sono i veri lager delle torture. La responsabile del Viminale sa bene che sono fuori dal raggio d\\\'azione dell\\\'Onu. E non tiene conto che le Nazioni Unite hanno già evacuato il personale internazionale riducendo al lumicino l\\\'attività a causa dei combattimenti. Il ministro ha citato dei dati evidenti: «Dal 2016 ad oggi l\\\'Oim (costola per le migrazioni dell\\\'Onu, nda) ha effettuato oltre 45mila rimpatri volontari assistiti dalla Libia di migranti non aventi titolo alla protezione internazionale verso i loro Paesi di origine di cui oltre 8mila nei primi 10 mesi del 2019». Il grosso è stato riportato a casa nella seconda metà del 2017 e soprattutto nel 2018. Quest\\\'anno il numero è crollato a soli 8mila a causa della battaglia di Tripoli. «L\\\'aeroporto Mittiga, nonostante le richieste dell\\\'Onu, viene bombardato di continuo da aerei e droni, anche stranieri, che appoggiano il generale Khalifa Haftar» spiega una fonte del Giornale nella capitale. Il governo libico di Fayez al Serraj, arroccato a Tripoli, è disponibile a rivedere il memorandum, ma ha altri grattacapi. In ogni caso il premier ha ribadito ieri, incontrando il nostro ambasciatore Giuseppe Buccino, «l\\\'apprezzamento per il sostegno fornito dall\\\'Italia alla Guardia costiera libica». Esattamente quello che fa storcere il naso a Liberi e uguali, partner della maggioranza, duramente criticato nei confronti di Lamorgese. Il ministro dell\\\'Interno ha lanciato altri due obiettivi utopici. Il primo riguarda il mantra «dei corridoi umanitari» con l\\\'Italia «protagonista del coinvolgimento di altri Stati membri dell\\\'Unione europea». Come e soprattutto dove sarà possibile dividere chi deve tornare a casa da chi ha diritto all\\\'asilo per portarli in Italia e Europa in aereo? L\\\'unica soluzione sarebbe convincere la Tunisia ad aprire dei campi dove sia libici, che Ong dovrebbero far sbarcare i migranti. Il terzo obiettivo annunciato alla Camera si concentra sulle «iniziative nel Sud della Libia dove è necessario proseguire con l\\\'Oim nell\\\'attuazione del progetto italiano cofinanziato dall\\\'Unione europea di rafforzamento delle capacità di sorveglianza dei confini terrestri meridionali». La Libia del Sud è terreno di battaglia fra governativi, clan locali, resti dell\\\'Isis e le truppe di Haftar. Nessun occidentale osa avventurarsi da quelle parti. Dall\\\'altra parte del confine, in Niger, abbiamo una striminzita missione militare italiana, che non è ancora riuscita ad espandersi fino al confine della Libia. Lamorgese ha dovuto ammettere che il memorandum italo-libico è servito a diminuire del 97% le partenze e pure i morti in mare. Peccato che con il suo governo gli arrivi siano ripresi: al primo novembre si è passati da una media di 22 sbarchi al giorno con l\\\'esecutivo precedente a 73. Lamorgese ha anche ammesso quello che il Giornale denuncia dal 2016: «Il rischio di infiltrazioni di militanti jihadisti tra i migranti che giungono sulle nostre coste e in altri Paesi europei». Fausto Biloslavo |
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31 ottobre 2021 | Quarta repubblica | reportage
No vax scontri al porto
I primi lacrimogeni rimbalzano sull'asfalto e arditi No Pass cercano di ributtarli verso il cordone dei carabinieri che sta avanzando per sgomberare il varco numero 4 del porto di Trieste. I manifestanti urlano di tutto «merde, vergogna» cercando pietre e bottiglie da lanciare contro le forze dell'ordine. Un attivista ingaggia lo scontro impossibile e viene travolto dalle manganellate. Una volta crollato a terra lo trascinano via oltre il loro cordone. Scene da battaglia urbana, il capoluogo giuliano non le vedeva da decenni.
Portuali e No Pass presidiavano da venerdì l'ingresso più importante dello scalo per protestare contro l'introduzione obbligatoria del lasciapassare verde. In realtà i portuali, dopo varie spaccature, sono solo una trentina. Gli altri, che arriveranno fino a 1.500, sono antagonisti e anarchici, che vogliono la linea dura, molta gente venuta da fuori, più estremisti di destra.
Alle 9 arrivano in massa le forze dell'ordine con camion-idranti e schiere di agenti in tenuta antisommossa. Una colonna blu che arriva da dentro il porto fino alla sbarra dell'ingresso. «Lo scalo è porto franco. Non potevano farlo. È una violazione del trattato pace (dello scorso secolo, nda)» tuona Stefano Puzzer detto Ciccio, il capopopolo dei portuali. Armati di pettorina gialla sono loro che si schierano in prima linea seduti a terra davanti ai cordoni di polizia. La resistenza è passiva e gli agenti usano gli idranti per cercare di far sloggiare la fila di portuali. Uno di loro viene preso in pieno da un getto d'acqua e cade a terra battendo la testa. Gli altri lo portano via a braccia. Un gruppo probabilmente buddista prega per evitare lo sgombero. Una signora si avvicina a mani giunte ai poliziotti implorando di retrocedere, ma altri sono più aggressivi e partono valanghe di insulti.
Gli agenti avanzano al passo, metro dopo metro. I portuali fanno da cuscinetto per tentare di evitare incidenti più gravi convincendo la massa dei No Pass, che nulla hanno a che fare con lo scalo giuliano, di indietreggiare con calma. Una donna alza le mani cercando di fermare i poliziotti, altri fanno muro e la tensione sale alimentata dal getto degli idranti. «Guardateci siamo fascisti?» urla un militante ai poliziotti. Il nocciolo duro dell'estrema sinistra seguito da gran parte della piazza non vuole andarsene dal porto. Quando la trattativa con il capo della Digos fallisce la situazione degenera in scontro aperto. Diego, un cuoco No Pass, denuncia: «Hanno preso un mio amico, Vittorio, per i capelli, assestandogli una manganellata in faccia». Le forze dell'ordine sgomberano il valico, ma sul grande viale a ridosso scoppia la guerriglia. «Era gente pacifica che non ha alzato un dito - sbotta Puzzer - È un attacco squadrista». I più giovani sono scatenati e spostano i cassonetti dell'immondizia per bloccare la strada scatenando altre cariche degli agenti.
Donne per nulla intimorite urlano «vergognatevi» ai carabinieri, che rimangono impassibili. In rete cominciano a venire pubblicati post terribili rivolti agli agenti: «Avete i giorni contati. Se sai dove vivono questi poliziotti vai a ucciderli».Non a caso interviene anche il presidente Sergio Mattarella: «Sorprende e addolora che proprio adesso, in cui vediamo una ripresa incoraggiante esplodano fenomeni di aggressiva contestazione». Uno dei portuali ammette: "Avevamo detto ai No Pass di indietreggiare quando le forze dell'ordine avanzavano ma non ci hanno ascoltati. Così la manifestazione pacifica è stata rovinata».
Puzzer raduna le «truppe» e i rinforzi, 3mila persone, in piazza Unità d'Italia. E prende le distanze dagli oltranzisti: «Ci sono gruppi che non c'entrano con noi al porto che si stanno scontrando con le forze dell'ordine». Non è finita, oltre 100 irriducibili si scatenano nel quartiere di San Vito. E riescono a bloccare decine di camion diretti allo scalo con cassonetti dati alle fiamme in mezzo alla strada. Molti sono vestiti di nero con il volto coperto simili ai black bloc. La battaglia sul fronte del porto continua fino a sera.
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10 giugno 2008 | Emittente privata TCA | reportage
Gli occhi della guerra.... a Bolzano /2
Negli anni 80 lo portava in giro per Milano sulla sua 500, scrive Panorama. Adesso, da ministro della Difesa, Ignazio La Russa ha voluto visitare a Bolzano la mostra fotografica Gli occhi della guerra, dedicata alla sua memoria. Almerigo Grilz, triestino, ex dirigente missino, fu il primo giornalista italiano ucciso dopo la Seconda guerra mondiale, mentre filmava uno scontro fra ribelli e governativi in Mozambico nell’87. La mostra, organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti, espone anche i reportage di altri due giornalisti triestini: Gian Micalessin e Fausto Biloslavo.
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10 giugno 2008 | TG3 regionale | reportage
Gli occhi della guerra.... a Bolzano /1
Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, non dimentica i vecchi amici scomparsi. Il 10 giugno ha visitato a Bolzano la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” dedicata ad Almerigo Grilz. La mostra è stata organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti. Gli ho illustrato le immagini forti raccolte in 25 anni di reportage assieme ad Almerigo e Gian Micalessin. La Russa ha ricordato quando "sono andato a prendere Fausto e Almerigo al ritorno da uno dei primi reportage con la mia vecchia 500 in stazione a Milano. Poco dopo li hanno ricoverati tutti e due per qualche malattia". Era il 1983, il primo reportage in Afghanistan e avevamo beccato l'epatite mangiando la misera sbobba dei mujaheddin, che combattevano contro le truppe sovietiche.
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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento |
Italia
Professione Reporter di Guerra
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