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Inchiesta esclusiva
06 novembre 2019 - Richiamo copertina - Italia - Panorama
La carica dei quasi maggiorenni
TRIESTE - “La banda del kalashnikov è composta in gran parte da kosovari arrivati in Italia fra i 16 e 17 anni per ottenere il permesso di soggiorno una volta maggiorenni” spiega guardandosi attorno un ragazzino del Kosovo giunto a Trieste da piccolo con la famiglia e ben integrato. Un sistema rodato per kosovari e albanesi che sfruttano furbescamente le norme sui minori stranieri non accompagnati. “Trovano un portone aperto. Arrivano a 17 anni e sei mesi sapendo che otterranno facilmente il permesso di soggiorno alla maggiore età. Nell’ultimo trimestre abbiamo registrato 5 nuovi minori stranieri al giorno soprattutto bengalesi e pachistani. Almeno uno è kosovaro e rientra nel fenomeno dei quasi maggiorenni” osserva Leonardo Tamborini. Il procuratore minorile di Trieste con competenza per il Friuli-Venezia Giulia, porta d’ingresso dell’immigrazione clandestina dalla rotta balcanica, solleva il velo su “un fenomeno totalmente ignorato”. Una punta dell’iceberg con risvolti allucinanti, come ha scoperto Panorama nell’inchiesta di queste pagine sui minori stranieri.  LA BANDA DEL KALASHNIKOV “Per entrare nella gang devi tatuarti la sagoma di un kalashnikov sull’avambraccio o sul collo a sinistra e cominci a rubare o spacciare droga. Però vivi in comunità, che ti mantiene, fino a quando sei minorenne” continua il giovane kosovaro, che ha appena compiuto 18 anni e frequenta il McDonald del capoluogo giuliano, punto di ritrovo degli adolescenti. “Non hanno nessuna intenzione di integrarsi. Albjon, che ha accoltellato il ragazzo friulano è un irascibile. Non puoi dirgli niente. Se ne fregano del paese che li ospita” racconta il ragazzo che teme ritorsioni se pubblichiamo il suo nome. Il kosovaro Albjon Avdijaj, il 12 ottobre ha accoltellato ripetutamente un 17enne di Cervignano, che ha rischiato di morire, sulla Scala dei Giganti. La scalinata che porta al colle di San Giusto era diventata la base della gang del kalashnikov composta da una ventina di giovani non solo balcanici. Un minore del Bangladesh li difende: “Non è vero quello che scrivete voi giornalisti. Erano ragazzi “coccoli””, che in dialetto triestino vuole dire simpatici. Per marcare il territorio avevano scritto sui muri “Kosovo junior mafia”, “Love is war” e “5.07” in riferimento alla prima proclamazione dell’indipendenza del Kosovo nel 1990. Su Instagram, Albjon, finito dietro le sbarre con l’accusa di tentato omicidio, è immortalato con il tatuaggio del kalashnikov sul collo e un amico a fianco che fa finta di sparare con le dita. Il profilo pubblico è 5ive0ero7even e le storie sono intrise di canzoni d’amore, pistole, droga con frasi come “meglio la morte che il disonore”. L’accoltellatore kosovaro era arrivato nel 2017 a Trieste quando aveva 16 anni ottenendo ospitalità come minore straniero non accompagnato. Poi  ha avuto il permesso di soggiorno in Veneto al compimento della maggiore età per motivi di lavoro, ma nessuno l’ha mai visto rimboccarsi le maniche.  IL TRAFFICO DI MINORI Panorama ha scoperto, che una volta maggiorenni la rete sviluppata soprattutto in Veneto e Lombardia con epicentro a Brescia garantisce proposte di lavoro inesistenti da parte di imprese edili o ditte fittizie per ottenere il permesso di soggiorno, che non avrebbero mai avuto se non arrivavano da minorenni. “Tutti pagano dai 1500 ai 3000 euro per arrivare in Italia - spiega il capo della procura minorile - Così l’organizzazione criminale che organizza il traffico incassa 100mila euro al mese”.  Una rogatoria internazionale della procura di Pristina presso la Corte d’Appello di Trieste ha accertato l’intero tragitto dei minori attraverso Serbia, Croazia, Slovenia e Austria. Il 22 marzo 2018 l’Europol ha coordinato l’operazione “Minors”, che ha portato all’arresto di 12 trafficanti in diversi paesi della rotta balcanica. Una fonte di Panorama rivela: “Il traffico, che partiva dal Kosovo, continua. Il fenomeno è attenzionato”.  Però nessuno interviene per fermare l’andazzo, nonostante in molte occasioni i minori albanesi sono addirittura accompagnati dagli stessi genitori. “I più sfacciati ce lo dicevano in faccia che erano arrivati solo per ottenere il permesso di soggiorno alla maggiore età” conferma chi ha lavorato in un centro di accoglienza a Trieste. Quasi tutti i minori mantengono costanti collegamenti con le famiglie di origine. E talvolta i familiari vengono a trovarli in comunità di domenica oppure i ragazzi vanno nel fine settimana dai parenti a Udine, Mestre o nel nord Italia. Il procuratore Tamborini conferma che “la qualità di “non accompagnati” è totalmente artefatta nel caso, non infrequente, dei minori albanesi che giungono in Italia accompagnati dal genitore e poi fa rientro nel paese d’origine lasciandoli soli”. Una vera e propria truffa aggravata ai danni dello Stato finalizzata ad ottenere l’assistenza garantita e ulteriormente rafforzata dalla legge Zampa del 2017 targata Pd.  Un altro paradosso è quello dei furbetti, che si presentano in Questura dichiarandosi comunque minori anche se sono maggiorenni da un pezzo. “E’ capitato il pachistano con la barba da adulto, che si è fatto registrare come minorenne. Le norme sono sbagliate perché devi prendere per buona l’età” dichiara Pierpaolo Roberti, l’assessore all’immigrazione e sicurezza della Regione Friuli-venezia Giulia. “Talvolta pachistani o afghani portati in comunità non si ricordano la data falsa di nascita dichiarata in Questura” svela un operatore che per anni ha lavorato con i presunti minori. Un asiatico si è spacciato come minorenne perseguitato, ma in realtà aveva oltre 25 anni e dei figli. La beffa è quando dal “non accompagnato” albanese ospite a spese nostre si presenta il papà arrivato da Milano il giorno del diciottesimo compleanno per portarselo via. TRIESTE HUB DEI MINORI STRANIERI Nel 2018 i minori stranieri a carico dello Stato erano 10787 con solo 787 ragazze. Gli albanesi, che talvolta arrivano in aereo con il passaporto elettronico, risultano i più numerosi. L’85% è giunto in Italia a 16 o 17 anni passati (60,2%). A settembre i minori sono 6789 con la Sicilia al primo posto come accoglienza e il Friuli-Venezia Giulia al terzo. “Trieste è l’hub dei minori stranieri, che talvolta sono maggiorenni  e pure accompagnati” dichiara senza peli sulla lingua Paolo Polidori, vicesindaco leghista. Fino al 21 ottobre sono arrivati 793, ma poi gli accolti a Trieste risultano 297, in aumento, rispetto al 2018, del 133%. Gli altri cinquecento vengono trasferiti o fanno perdere le tracce. Ogni minore costa una media di 75 € al giorno, che in parte viene rimborsato dallo Stato ed il resto dalla Regione. La previsione di spesa a fine anno, solo per Trieste, è di 6.642.000 €. Nell’ ultimo triennio lo Stato ha stanziato 500 milioni di euro. E per il periodo fra il 2020 e il 2021 è prevista una spesa di 170milioni di €. “A otto minori stranieri su dieci non importa nulla di integrarsi, ma vogliono restare in Italia o proseguire verso altri paesi europei come la Germania” fa notare chi ha lavorato in comunità. “Nel corso di un’ispezione abbiamo scoperto che 1 solo su 10 seguiva il corso di alfabetizzazione” ammette sconsolato Tamborini, il procuratore minorile di Trieste. Nel suo ufficio dispone di appena 6 elementi delle forze dell’ordine \\\"metà dei quali hanno a disposizione computer obsoleti che non girano più\\\". Un sotto organico del 60% durante l’estate per controllare 73 strutture di accoglienza in regione. E gli interessi economici in gioco sono enormi. “Le comunità ricevono soldi pubblici ed i controlli sulla gestione dei fondi sono scarsi. Non c’è un bando, ma semplici convenzioni. Milioni di euro, un bel giro di soldi, la nuova cocaina con un margine di rischio minimo” denuncia un tutore dei minori fino a pochi mesi fa. “Il giro di interessi attorno ai minorenni stranieri, veri o finti, riguarda anche l’indotto - aggiunge chi ha lavorato in comunità - Per esempio i dentisti: quasi tutti i ragazzi arrivano e già sanno che possono rifarsi i denti ovviamente a spese nostre”. FURTI, DROGA E PROSTITUZIONE MINORILE L’altra faccia della medaglia, il lato oscuro dell’accoglienza minorile, è il giro illegale di furti, ricettazione, droga, prostituzione, che coinvolge i minori stranieri. Soprattutto per kosovari e albanesi “3 su 10 arrivano alla maggiore età con una o più denunce penali per reati commessi spesso anche in danno alle stesse struttura che li ospitano” risulta da un controllo a campione di qualche tempo fa. Le testimonianze raccolte da Panorama fra gli operatori, che per ovvi motivi non vogliono vedere pubblicati i loro nomi, sono allucinanti. Il clima in alcune comunità è di stampo mafioso con tanto di giovane “capo dei capi” che comanda gli altri. E sono pure furbetti: oltre a insultare gli operatori con tutte le parolacce albanesi possibili li ricattano minacciandoli di denunciarli “per violenze psicologiche”. I minori balcanici seguiti anche da afghani e pachistani entrano nel giro di piccoli furti nei negozi e spaccio di droga solitamente leggera. “Escono alla mattina dalla comunità con i trolley vuoti e rientrano nel pomeriggio dopo averli riempiti di refurtiva. Rubano qualsiasi cosa dal giaccone di pelle nera alla moda, occhiali, scarpe, computer. Tengono il malloppo sotto chiave negli armadietti anche se sarebbe proibito chiuderli” raccontano più operatori. E poi arrivano in zona stazione o poco distante dalle comunità delle machine e furgoni con targhe italiane ed ex jugoslave dei ricettatori. I giovani ladri si presentano con i borsoni e li consegnano. Gran parte della merce arriverà in Kosovo e verrà venduta sul mercato nero. Lo spaccio di droga è diviso fra le bande degli asiatici e degli albanesi. Sulla Scala dei Giganti i pachistani sono stati scalzati a forza dalla baby gang del kalashnikov. Le risse etniche non sono una novità. Il 18 ottobre i carabinieri hanno dovuto intervenire in una struttura di accoglienza a Udine per sedare una rissa fra una ventina di minori pachistani e kosovari, che solitamente bollano gli asiatici come “negri”. Il 25 febbraio una maxi zuffa ha riguardato un’ottantina di giovani migranti al centro Civiform di Cividale del Friuli. Non mancano i personaggi pericolosi come il kosovaro S.I., che nel 2017 è stato prelevato dalla squadra Mobile di Trieste dalla discussa comunità la Fonte in provincia di Trieste per traffico di droga. Il ragazzino non nascondeva le sue simpatie per lo Stato islamico. Un kosovaro appena arrivato ha chiesto ad un operatore se poteva aiutarlo a scrivere in una chat in italiano, che aveva bisogno di un piede di porco per un furto con scasso.  “L’aspetto peggiore è la prostituzione minorile - racconta chi ha lavorato nel campo - C’è quella maschile, ma pure le signore non più giovani che pagano i giovani per prestazioni sessuali tranquillamente in albergo”. I kosovari spesso filmano le scene hard con i cellulari per farsi belli o utilizzare i video come arma di ricatto. Le parole d’ordine che vanno per la maggiore fra i minori balcanici spiegano tutto: “Gli albanesi sono forti e l’Italia è debole”.   Fausto Biloslavo 


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05 febbraio 2015 | Porta a Porta | reportage
IN RICORDO DELLE FOIBE E L'ESODO LA PUNTATA DI PORTA A PORTA


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29 dicembre 2010 | | reportage
Gli occhi della guerra a Trieste
Dopo aver portato la mostra su 25 anni di reportage di guerra in tutta Italia, finalmente il 29 dicembre è stata inaugurata a Trieste, presso la sala espositiva della Parrocchia di Santa Maria Maggiore, via del Collegio 6. Gli occhi della guerra sono dedicati ad Almerigo Grilz e a tutti i giornalisti caduti sul fronte dell'informazione. La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 10 al 20 gennaio. L'evento è stato organizzato dal Circolo universitario Hobbit con la sponsorizzazione della Regione.

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14 maggio 2020 | Tg5 | reportage
Trieste, Lampedusa del Nord Est
Fausto Biloslavo TRIESTE - Il gruppetto è seduto sul bordo della strada asfaltata. Tutti maschi dai vent’anni in su, laceri, sporchi e inzuppati di pioggia sembrano sfiniti, ma chiedono subito “dov’è Trieste?”. Un chilometro più indietro passa il confine con la Slovenia. I migranti illegali sono appena arrivati, dopo giorni di marcia lungo la rotta balcanica. Non sembra il Carso triestino, ma la Bosnia nord occidentale da dove partono per arrivare a piedi in Italia. Scarpe di ginnastica, tute e qualche piumino non hanno neanche uno zainetto. Il più giovane è il capetto della decina di afghani, che abbiamo intercettato prima della polizia. Uno indossa una divisa mimetica probabilmente bosniaca, un altro ha un barbone e sguardo da talebano e la principale preoccupazione è “di non venire deportati” ovvero rimandati indietro. Non sanno che la Slovenia, causa virus, ha sospeso i respingimenti dall’Italia. Di nuovo in marcia i migranti tirano un sospiro di sollievo quando vedono un cartello stradale che indica Trieste. Il capetto alza la mano in segno di vittoria urlando da dove viene: “Afghanistan, Baghlan”, una provincia a nord di Kabul. Il 12 maggio sono arrivati in 160 in poche ore, in gran parte afghani e pachistani, il picco giornaliero dall’inizio dell’anno. La riapertura della rotta balcanica sul fronte del Nord Est è iniziata a fine aprile, in vista della fase 2 dell’emergenza virus. A Trieste sono stati rintracciati una media di 40 migranti al giorno. In Bosnia sarebbero in 7500 pronti a partire verso l’Italia. Il gruppetto di afghani viene preso in carico dai militari del reggimento Piemonte Cavalleria schierato sul confine con un centinaio di uomini per l’emergenza virus. Più avanti sullo stradone di ingresso in città, da dove si vede il capoluogo giuliano, la polizia sta intercettando altri migranti. Le volanti con il lampeggiante acceso “scortano” la colonna che si sta ingrossando con decine di giovani stanchi e affamati. Grazie ad un altoparlante viene spiegato in inglese di stare calmi e dirigersi verso il punto di raccolta sul ciglio della strada in attesa degli autobus per portarli via. Gli agenti con le mascherine controllano per prima cosa con i termometri a distanza la temperatura dei clandestini. Poi li perquisiscono uno ad uno e alla fine distribuiscono le mascherine ai migranti. Alla fine li fanno salire sugli autobus dell’azienda comunale dei trasporti cercando di non riempirli troppo per evitare focolai di contagio. “No virus, no virus” sostiene Rahibullah Sadiqi alzando i pollici verso l’alto in segno di vittoria. L’afghano è partito un anno fa dal suo paese e ha camminato per “dodici giorni dalla Bosnia, attraverso la Croazia e la Slovenia fino all’Italia”. Seduto per terra si è levato le scarpe e mostra i piedi doloranti. “I croati mi hanno rimandato indietro nove volte, ma adesso non c’era polizia e siamo passati tutti” spiega sorridendo dopo aver concluso “il gioco”, come i clandestini chiamano l’ultimo tratto della rotta balcanica. “Abbiamo registrato un crollo degli arrivi in marzo e per gran parte di aprile. Poi un’impennata alla fine dello scorso mese fino a metà maggio. L’impressione è che per i paesi della rotta balcanica nello stesso periodo sia avvenuta la fine del lockdown migratorio. In pratica hanno aperto i rubinetti per scaricare il peso dei flussi sull’Italia e sul Friuli-Venezia Giulia in particolare creando una situazione ingestibile anche dal punto di vista sanitario. E’ inaccettabile” spiega l'assessore regionale alla Sicurezza Pierpaolo Roberti, che punta il dito contro la Slovenia. Lorenzo Tamaro, responsabile provinciale del Sindacato autonomo di polizia, denuncia “la carenza d’organico davanti all’emergenza dell’arrivo in massa di immigrati clandestini. Rinnoviamo l’appello per l’invio di uomini in rinforzo alla Polizia di frontiera”. In aprile circa il 30% dei migranti che stazionavano in Serbia è entrato in Bosnia grazie alla crisi pandemica, che ha distolto uomini ed energie dal controllo dei confini. Nella Bosnia occidentale non ci sono più i campi di raccolta, ma i migranti bivaccano nei boschi e passano più facilmente in Croazia dove la polizia ha dovuto gestire l’emergenza virus e pure un terremoto. Sul Carso anche l’esercito impegnato nell’operazione Strade sicure fa il possibile per tamponare l’arrivo dei migranti intercettai pure con i droni. A Fernetti sul valico con la Slovenia hanno montato un grosso tendone mimetico dove vengono portati i nuovi arrivati per i controlli sanitari. Il personale del 118 entra con le protezioni anti virus proprio per controllare che nessuno mostri i sintomi, come febbre e tosse, di un possibile contagio. Il Sap è preoccupato per l’emergenza sanitaria: “Non abbiamo strutture idonee ad accogliere un numero così elevato di persone. Servono più ambienti per poter isolare “casi sospetti” e non mettere a rischio contagio gli operatori di Polizia. Non siamo nemmeno adeguatamente muniti di mezzi per il trasporto dei migranti con le separazioni previste dall’emergenza virus”. Gli agenti impegnati sul terreno non sono autorizzati a parlare, ma a denti stretti ammettono: “Se va avanti così, in vista della bella stagione, la rotta balcanica rischia di esplodere. Saremo travolti dai migranti”. E Trieste potrebbe trasformarsi nella Lampedusa del Nord Est.

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


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