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Articolo
12 novembre 2019 - Prima - Italia - Il Giornale |
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Il pianto ipocrita dei politici: sospesi i mezzi salva-soldati |
I l nuovo blindato che proteggerà sempre meglio i militari da trappole esplosive, come quella che ha ferito 5 uomini dei corpi speciali in Iraq, non è ancora stato approvato in Commissione parlamentare Difesa. «Ma lo sarà sicuramente la prossima settimana o quella dopo», garantisce Roberto Paolo Ferrari membro della Commissione alla Camera. Il blindo Centauro e il nuovo mezzo Freccia hanno accumulato ritardi spaventosi nei contratti con le case produttrici, sbloccati appena due settimane fa. «Un ritardo ingiustificato poiché il finanziamento era stato approvato ancora nella precedente legislatura - sottolinea il leghista -. Guarda caso tutto si è fermato, per oltre un anno, al ministero dello Sviluppo economico che era guidato da Di Maio». E il precedente ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, non si è strappata i capelli per superare l\\\'impasse. I politici, in maniera trasversale, piangono lacrime di coccodrillo quando i nostri soldati saltano in aria, ma in molti poi si dimenticano di fare il loro dovere per garantire mezzi e protezione necessarie alle truppe sul terreno impegnate in zone di guerra. Il predecessore del Vtml 2, veicolo tattico leggero multiruolo, è stato ribattezzato dai soldati italiani «Santo Lince» avendo salvato tante vite dall\\\'Afghanistan agli altri teatri operativi. L\\\'ultimo attentato a Mogadiscio, in Somalia, non ha provocato vittime grazie alla blindatura del Lince. La nuova versione, ancora più resistente ed al passo con i tempi, è il Vtml 2. La fornitura urgentemente necessaria è stata «incardinata», come si dice in gergo per indicare che verrà inserita nella legge di bilancio, ma non ancora votata dalla Commissione Difesa. Il via libera dovrebbe arrivare nei prossimi 15 giorni, ma ci sono altri punti di domanda che preoccupano i militari. Il programma per i nuovi Lince è previsto nel Documento programmatico 2019-2021 con un investimento complessivo di 249,3 milioni di in 15 anni per «una prima tranche» di 398 mezzi. Però la distribuzione delle risorse, 1 milione quest\\\'anno, 6 il prossimo e 13 nel 2021 desta non poche perplessità. Pochi soldi per avviare una robusta produzione soprattutto tenendo conto che le Forze armate hanno bisogno di 650 blindati per una spesa complessiva di 558 milioni. E proprio le risorse per il secondo lotto sono ancora campate per aria. «Inutile piangere lacrime di coccodrillo quando ci sono delle perdite. La maniera concreta per dimostrare la solidarietà ai militari feriti in Iraq è quello di garantire sempre la sicurezza», dichiara con amarezza al Giornale una fonte militare. E aggiunge: «Da anni chi è più esposto sul terreno usufruisce dei mezzi più obsoleti. E con i tempi di consegna dei nuovi, a causa della coperta troppo corta delle risorse, arriveranno quando saranno già superati». Per non parlare degli incredibili ritardi per i Centauro ed i Freccia già finanziati. «La Lega ha puntato il dito contro il rinvio ingiustificato dei contratti, che per assurdo è riuscito a provocare anche cassa integrazione e perdita di posti di lavoro», spiega Ferrari. In pratica la produzione non poteva partire se le commesse non venivano contrattualizzate. Adesso la situazione si è sbloccata, ma ci vorrà tempo per la consegna dei 150 blindo Centauro 2, meno della metà rispetto al mezzo precedente. Il Centauro 1 non ha lo scafo protetto e non viene più inviato nelle missioni all\\\'estero per il timore delle trappole esplosive. Ferrari è netto: «I nostri militari non possono permettersi che la politica tenga fermi provvedimenti che migliorano la loro sicurezza e salvano vite». Secondo il procuratore generale militare presso la Corte di Cassazione Maurizio Block, infine, «un militare all\\\'estero viene giudicato alla stregua del codice penale militare di pace, ma ciò non è adeguato: i militari italiani all\\\'estero non sono sufficientemente tutelati da una normativa specifica». Dunque, spiega il magistrato, è necessario approvare «un codice delle operazioni internazionali». |
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07 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Parla il sopravvissuto al virus
Fausto Biloslavo
TRIESTE - Il sopravvissuto sta sbucciando un’arancia seduto sul letto di ospedale, come se non fosse rispuntato da poco dall’anticamera dell’inferno. Maglietta grigia, speranza dipinta negli occhi, Giovanni Ziliani è stato dimesso mercoledì, per tornare a casa. Quarantadue anni, atleta e istruttore di arti marziali ai bambini, il 10 marzo ha iniziato a stare male nella sua città, Cremona. Cinque giorni dopo è finito in terapia intensiva. Dalla Lombardia l’hanno trasferito a Trieste, dove un tubo in gola gli pompava aria nei polmoni devastati dall’infezione. Dopo 17 giorni di calvario è tornato a vivere, non più contagioso.
Cosa ricorda di questa discesa all’inferno?
“Non volevo dormire perchè avevo paura di smettere di respirare. Ricordo il tubo in gola, come dovevo convivere con il dolore, gli sforzi di vomito ogni volta che cercavo di deglutire. E gli occhi arrossati che bruciavano. Quando mi sono svegliato, ancora intubato, ero spaventato, disorientato. La sensazione è di impotenza sul proprio corpo. Ti rendi conto che dipendi da fili, tubi, macchine. E che la cosa più naturale del mondo, respirare, non lo è più”.
Dove ha trovato la forza?
“Mi sono aggrappato alla famiglia, ai valori veri. Al ricordo di mia moglie, in cinta da otto mesi e di nostra figlia di 7 anni. Ti aggrappi a quello che conta nella vita. E poi c’erano gli angeli in tuta bianca che mi hanno fatto rinascere”.
Gli operatori sanitari dell’ospedale?
“Sì, medici ed infermieri che ti aiutano e confortano in ogni modo. Volevo comunicare, ma non ci riuscivo perchè avevo un tubo in gola. Hanno provato a farmi scrivere, ma ero talmente debole che non ero in grado. Allora mi hanno portato un foglio plastificato con l’alfabeto e digitavo le lettere per comporre le parole”.
Il momento che non dimenticherà mai?
“Quando mi hanno estubato. E’ stata una festa. E quando ero in grado di parlare la prima cosa che hanno fatto è una chiamata in viva voce con mia moglie. Dopo tanti giorni fra la vita e la morte è stato un momento bellissimo”.
Come ha recuperato le forze?
“Sono stato svezzato come si fa con i vitellini. Dopo tanto tempo con il sondino per l’alimentazione mi hanno somministrato in bocca del tè caldo con una piccola siringa. Non ero solo un paziente che dovevano curare. Mi sono sentito accudito”.
Come è stato infettato?
“Abbiamo preso il virus da papà, che purtroppo non ce l’ha fatta. Mio fratello è intubato a Varese non ancora fuori pericolo”.
E la sua famiglia?
“Moglie e figlia di 7 anni per fortuna sono negative. La mia signora è in attesa di Gabriele che nascerà fra un mese. Ed io sono rinato a Trieste”.
Ha pensato di non farcela?
“Ero stanco di stare male con la febbre sempre a 39,6. Speravo di addormentarmi in terapia intensiva e di risvegliarmi guarito. Non è andata proprio in questo modo, ma è finita così: una vittoria per tutti”.
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05 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
Islam, matrimoni forzati e padri assassini
Nosheen, la ragazza pachistana, in coma dopo le sprangate del fratello, non voleva sposarsi con un cugino in Pakistan.
Il matrimonio forzato era stato imposto dal padre, che ha ucciso a colpi di mattone la madre della giovane di 20 anni schierata a fianco della figlia. Se Nosheen avesse chinato la testa il marito, scelto nella cerchia familiare, avrebbe ottenuto il via libera per emigrare legalmente in Italia.
La piaga dei matrimoni combinati nasconde anche questo. E altro: tranelli per rimandare nella patria d’origine le adolescenti dove le nozze sono già pronte a loro insaputa; e il business della dote con spose che vengono quantificate in oro o migliaia di euro.
Non capita solo nelle comunità musulmane come quelle pachistana, marocchina o egiziana, ma pure per gli indiani e i rom, che sono un mondo a parte.
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10 giugno 2008 | TG3 regionale | reportage
Gli occhi della guerra.... a Bolzano /1
Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, non dimentica i vecchi amici scomparsi. Il 10 giugno ha visitato a Bolzano la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” dedicata ad Almerigo Grilz. La mostra è stata organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti. Gli ho illustrato le immagini forti raccolte in 25 anni di reportage assieme ad Almerigo e Gian Micalessin. La Russa ha ricordato quando "sono andato a prendere Fausto e Almerigo al ritorno da uno dei primi reportage con la mia vecchia 500 in stazione a Milano. Poco dopo li hanno ricoverati tutti e due per qualche malattia". Era il 1983, il primo reportage in Afghanistan e avevamo beccato l'epatite mangiando la misera sbobba dei mujaheddin, che combattevano contro le truppe sovietiche.
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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento |
Italia
Professione Reporter di Guerra
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