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Esclusivo
27 novembre 2019 - Esteri - Mondo - Panorama |
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Missioni fantasma |
Fausto Biloslavo
“In Afghanistan gli elicotteri Mangusta continuano a volare e sparano, come è successo pochi mesi fa. Solo che non se ne parla più. I corpi speciali hanno sempre fatto operazioni combat pure in Iraq. Per anni le unità di élite delle task unit Bravo e Alfa a Herat e Farah sono andate a caccia degli obiettivi di alto profilo indicati dalla Nato: i comandanti talebani da catturare. Ma non si può dire perché è una missione di pace” racconta a Panorama un veterano delle operazioni all’estero.
I cinque incursori dei corpi speciali feriti gravemente in Iraq, il 10 novembre, hanno riportato alla luce le “guerre” fantasma dell’Italia sempre smentite o mascherate dai vertici militari e governativi in nome del politicamente corretto. In realtà, le unità d’élite che all’estero dipendono dal Comando interforze per le operazioni dei corpi speciali (CO.F.S.), hanno combattuto duramente per anni dopo l’11 settembre e sono ancora impiegati in missioni dove non si portano solo caramelle ai bambini dall’Afghanistan alla Libia. E lo dimostra il drone italiano MQ 1 Predator precipitato nella zona di Tharouna, dove sono posizionate le truppe del generale Khalifa Haftar che assediano Tripoli.
Per cancellare l’ipocrisia di politici e generali basta leggere le motivazioni delle medaglie a chi è caduto nelle guerre fantasma degli italiani. Il tenente incursore Alessandro Romani del 9° reggimento d’assalto paracadutisti Col Moschin venne ucciso il 17 settembre 2010 a Farah, nell’Afghanistan occidentale. Le motivazioni delle decorazioni alla memoria compresa la medaglia d’oro al valor militare parlano chiaro: “Impegnato in un\'operazione finalizzata alla cattura di elementi ostili, individuati in precedenza nell\'atto di occultare un ordigno esplosivo rudimentale, ingaggiava con questi, unitamente alla propria unità, un violento conflitto a fuoco. (…) Colpito gravemente al torace (…) negli ultimi istanti di vita anteponeva il dovere alla propria incolumità, preoccupandosi del buon esito della missione e delle condizioni di salute dei suoi uomini”.
In Iraq opera la Task force 44 con compiti anche operativi di “advise and assist”, consigliare e assistere, non solo di addestramento. Una cinquantina di uomini provenienti dal Col Moschin e dal Gruppo operativo incursori della Marina militare, eredi della Decima flottiglia Mas della seconda guerra mondiale.
La Difesa e il comandante delle operazioni speciali, il generale dell\'Aeronautica Nicola Lanza de Cristoforis si sono sprecati nel tentativo di mascherare come mero addestramento, la missione che ha provocato il ferimento dei cinque incursori, tre del 9° e due della Marina. Non solo: ci hanno anche raccontato che erano appiedati, nonostante le ferite da amputazione facevano sospettare che fossero a bordo di un mezzo. E per di più sembrava che fossero saltati in aria quasi per caso. Poi lo Stato islamico ha rivendicato l’attentato e un giovane tenente dei corpi speciali curdi ha alzato il velo sul ruolo della Tf 44 in Iraq. L’obiettivo della missione congiunta (22 italiani e 25 Peshmerga curdi) era un deposito di armi, munizioni e probabile fabbrica artigianale di trappole esplosive dei terroristi. Non solo: “Fin dall’inizio dell’anno la nostra unità conduceva con i corpi speciali italiani operazioni nella zona montagnosa di Palkana” ha spiegato Ranj Rizgar Noah, ufficiale dell’unità curda Hezakani Pshtiwany 2. L’area, vicina a Kirkuk, forziere petrolifero nel nord dell’Iraq, è infestata da 80-120 militanti dell’Isis, che la usano come base di appoggio. “Noi eravamo davanti e gli italiani dietro - ha confermato il tenente - Non facciamo scattare alcuna operazione senza i vostri corpi speciali, che sono sempre al nostro fianco e ci appoggiano con la logistica o quando dobbiamo evacuare dei feriti. Oltre a chiamare sempre in supporto due elicotteri da combattimento” della coalizione alleata.
Gli incursori sono stati feriti da un ordigno improvvisato (Ied) mentre stavano esfiltrando, alla fine dell’operazione, a bordo di un pick up scoperto dei Peshmerga. “Li ho visti saltare nel mezzo dietro al mio” ha raccontato Rizgar Noah, poi trasferito a operare con i corpi speciali americani. Gli incursori in Iraq utilizzano mezzi non protetti per mimetizzarsi meglio con i curdi. La Tf 44 addestra anche l’Emergency response division e la Golden division, le grandi unità irachene che hanno liberato Mosul. Però, durante la battaglia contro l’Isis nella “capitale” del Califfato il ministro della Difesa Roberta Pinotti aveva imposto ai corpi speciali di non avvicinarsi oltre i 7 chilometri dalla prima linea, a differenza di americani e francesi. Poi il caveat è stato superato, ma “la retorica delle missioni di pace ha nascosto per anni all’opinione pubblica le azioni di combattimento dei contingenti italiani incluse le attività delle forze speciali per loro natura riservate” spiega Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa.
In Afghanistan la gloriosa Task force 45 è stata chiusa con la fine del grosso delle operazioni Nato, ma sul terreno sono ancora impiegati un po’ più di 50 Ranger. Gli alpini paracadutisti del 4° reggimento, che fanno parte dei corpi speciali e utilizzano una versione del blindato Lince per le truppe scelte. “Sono gli stessi compiti dell’Iraq, advise and assist, ma con le unità d’élite della polizia e dell’Nds (i servizi segreti afghani nda)” fa notare una fonte militare di Panorama. Reparti afghani che vanno a caccia anche di cellule dell’Isis.
Negli anni di punta dei combattimenti nel settore occidentale c’erano 200-300 uomini del 9° Col Moschin, noto come Condor, della Marina, ma anche carabinieri del Gis e incursori dell’Aeronautica oltre ai Ranger. Fra il 2008 e 2010 la Tf 45 era talvolta impegnata in un’ operazione combat a settimana. “Siamo andati pure in ricognizione verso il confine iraniano sulle vie dei traffici di droga e armi - racconta un veterano dei corpi speciali - E talvolta si usciva proprio per provocare il contatto e stanare il nemico con un conflitto a fuoco”. La missione Sarissa, approvata dal governo Prodi, ha compiuto centinaia di operazioni combat e raid per catturare comandanti talebani di una lista di un migliaio di “obiettivi” della Nato chiamati “high value targets”. Chi ha partecipato sul campo spiega a Panorama come funzionava: “Gli americani le chiamano “cerca e uccidi” e noi “cerca e cattura”, ma è chiaro che quando il capetto talebano non si arrendeva e cominciavano a volare proiettili da tutte le parti, noi rispondevamo al fuoco e l’obiettivo finiva orizzontale”. La Tf 45 spesso si è portata dietro un procuratore afghano per l’arresto formale del comandate talebano finito nel mirino.
In Libia, uno dei fronti più caldi, gli incursori operano sotto il cappello speciale dell’intelligence “e lavorano bene anche in operazioni di combattimento” conferma una fonte di Panorama. Oltre al Col Moschin è presente un distaccamento degli incursori di Marina. Al largo sugli assetti navali della missione Mare sicuro ci sono reparti del San Marco e i Comsubin, sempre truppe scelte della Marina, pronti ad intervenire in caso di attacchi alle piattaforme petrolifere off shore o anche a terra. Quando Matteo Renzi era presidente del Consiglio fece approvare una legge che autorizza l’impiego in zone di crisi “di forze speciali della Difesa con i conseguenti assetti di supporto”. Se fosse necessario, il premier può ordinare l’utilizzo di droni, elicotteri, navi e aerei. Non occorre un voto del Parlamento, ma è sufficiente informare il Copasir, il Comitato per la sicurezza della Repubblica. Il 20 novembre un drone Predator italiano, non armato, è stato abbattuto o è caduto per malfunzionamento, nell’area di Tarhuna a sud ovest di Tripoli sotto il controllo dell’Esercito nazionale libico, che assedia la capitale. Il velivolo senza pilota faceva parte del dispositivo Mare sicuro, ma sorvolava la zona non certo in missione di contrasto dell’immigrazione illegale. Probabilmente “spiava” fotografando le posizioni di Haftar sul terreno. Le truppe scelte italiane in Libia hanno l’immunità, ma agiscono sotto il cappello dell’intelligence “equiparate (…) al personale dei servizi di informazione per la sicurezza”. Gli incursori fanno da scudo alle nostre barbe finte. Il problema è che sui circa 1600 uomini dell’Aise, appena 250 sono impegnati sul campo all’estero. Quelli in Libia si avvalgono di oltre 50 incursori come protezione e per l’appoggio al governo di Fayez el Serraj riconosciuto dall’Onu. I corpi speciali “fantasma” eseguono operazioni segrete in un paese devastato dalla battaglia per Tripoli e dove l’Isis, mai morto, ha appena giurato fedeltà ad Abu Ibrahim al Hashimi al Qurashi, il nuovo Califfo. |
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16 giugno 2016 | Tgcom24 | reportage
Gli occhi della guerra, l’arte imperitura del reportage
Presentazione Gli occhi della guerra e del documentario "Profughi dimenticati" dal nord dell'iraq
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12 ottobre 2017 | Tele Capodistria | reportage
Gli occhi della guerra
"Gli occhi della guerra" sarà questo il tema della prossima puntata di Shaker, in onda venerdì 13 ottobre alle ore 20.
Nostro ospite FAUSTO BILOSLAVO, giornalista di guerra che, in oltre 35 anni, ha vissuto e raccontato in prima persona la situazione su tutti i fronti più caldi: Libano, Afghanistan, Iran, Iraq, ex Jugoslavia... e ultimamente Ucraina, Libia, Siria...
Cosa vuol dire fare il reporter di guerra? Com'è cambiato questo "mestiere"? Perchè è ancora così importante? Come mai tanti giovani vogliono farlo? Quali consigli dargli?
Tante le domande cui cercheremo di dare risposta.
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18 ottobre 2019 | Sna | reportage
100 anni degli agenti di assicurazione
Il palco del Centenario Sna ha accolto anche Fausto Biloslavo, oggi certamente il più famoso e tenace reporter di guerra. Attraverso fotografie e filmati tratti dai suoi reportage nelle zone dei conflitti, Biloslavo ha raccontato la sua vicenda professionale, vissuta fra pericoli e situazioni al limite del disumano, testimonianfo anche l’orrore patito dalle popolazioni colpite dalla guerra. Affrontando il tema del coraggio, ha parlato del suo, che nonostante la quotidiana esposizione della sua vita a rischi estremi gli permette di non rinunciare a testimoniare la guerra e le sue tragiche e crudeli conseguenze. Ma il coraggio è anche di chi la guerra la subisce, diventando strumento per l’affermazione violenta delle ragioni di parte, ma non vuole rinunciare alla vita, alla speranza. E lottare per sopravvivere richiede grande coraggio.
Sebbene possa sembrare un parallelo azzardato, lo stesso Biloslavo, spiega che il coraggio è sostenuto dalla passione, elemento necessario in ogni attività, in quella del reporter di guerra come in quella dell’agente di assicurazione.
Il coraggio serve per cominciare da zero, ma anche per rialzarsi quando si è colpiti dalle difficoltà o per adattarsi ai cambiamenti, è il messaggio di Biloslavo alla platea del Centenario.
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14 gennaio 2019 | Peter Pan Radio Rai FVG | intervento |
Mondo
I bambini e la guerra
In 35 anni di reportage i drammi dei bambini, le vittime innocenti dei conflitti
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