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25 gennaio 2020 - Interni - Italia - Il Giornale
Dall’attacco alla lira del ’92 ai migranti Tutte le invasioni di campo dello “squalo”
Soldi, mosse e interventi a gamba tesa di George Soros in Italia hanno origini antiche. Lo «squalo» finanziario pro Sardine ha messo in ginocchio la Lira nel 1992. Un\'abile speculazione finanziaria sulla sterlina e la nostra valuta ci ha fatto perdere 48 miliardi di dollari costringendo il governo a imporre la tassa sulla casa. Soros, che oggi si presenta in versione filantropo, guadagnò circa 1 miliardo di dollari. Jordi Vaquer, l\'uomo in Europa della Open society foundation del miliardario di origine ungherese, aveva dichiarato che «in Italia non spendiamo più di 2 milioni in un anno». Soldi utili allo scudo legale e politico delle Ong talebane dell\'accoglienza. Lo stesso Vaquer ha spiegato che «in Italia abbiamo lavorato molto con la comunità Rom, gruppi di avvocati, l\'Arci, Antigone e altre realtà che aiutano i migranti».
Asgi è l\'Associazione per gli studi giuridici sull\'immigrazione. Un gruppo di docenti, legali ed esperti, che fa di tutto per aprire le porte all\'immigrazione. Sul loro sito pubblicano il logo di Open society di Soros. E grazie ai soldi a disposizione hanno presentato ricorso al Tar contro l\'utilizzo da parte dei governo italiano del Fondo Africa della Cooperazione per rimettere in sesto 4 motovedette da consegnare alla Guardia costiera libica per contrastare il traffico di migranti.
Non solo: organizzano convegni sostenuti ufficialmente da Open society foundation con ospiti d\'eccezione come il prefetto Mario Morcone, che a lungo ha ricoperto incarichi di rilievo al Viminale compresa la direzione del Dipartimento per le Libertà Civili e l\'Immigrazione.
L\'Arci, pure aiutata da Soros, è una storica associazione di sinistra, che dona il 5xmille a Mediterranea. Un cartello degli estremisti come Luca Casarini, che ha comprato la nave Mare Jonio per portare migranti in Italia.
Soros, affossatore della Lira, è stato accolto a Palazzo Chigi dall\'allora premier Paolo Gentiloni oggi commissario europeo. Quando è nato il primo governo Conte, il filantropo e speculatore internazionale, ha attaccato il presidente del Consiglio e il suo ministro dell\'Interno, Matteo Salvini, definendoli «nemici interni dell\'Europa».
Fra i supporter politici di Soros era spuntato Gennaro Migliore, ex sottosegretario alla Giustizia con Renzi e Gentiloni oggi ad Italia viva. Fondi di Soros sono arrivati anche all\'associazione «A Buon Diritto» presieduta da Luigi Manconi. Nel 2014 scriveva sul sito dei senatori Pd, che «il lavoro di George Soros e della Fondazione Open Society in Italia è senz\'altro da apprezzare e coerente con la nostra richiesta all\'Europa di realizzare presidi Ue nei paesi di partenza dei migranti».
Open society ha commissionato un voluminoso dossier di 177 pagine intitolato «Alleati affidabili al Parlamento europeo (2014-2019)». Fra i tanti politici italiani spiccano il sindacalista Sergio Cofferati, l\'ex ministra Cécile Kyenge, Elena Schlein, che vede Salvini come fumo negli occhi, l\'anti berlusconiana Barbara Spinelli e l\'ex vicepresidente del parlamento europeo Gianni Pittella.
Un aspetto poco conosciuto è l\'iscrizione di studenti italiani all\'università Ceu di Soros spostata a Vienna. Il discusso filantropo ha annunciato a Davos di volere sborsare 1 miliardo di dollari per ampliarla in una nuova rete universitaria globale. La Ceu nel 2019 ha organizzato una conferenza che non lascia spazio a dubbi invitando Antimo Farro della Sapienza di Roma. «Il populismo tende a dare nuovo colore e slancio ad atteggiamenti e pratiche come la xenofobia e l\'esclusione sociale - si legge nella presentazione - I membri del panel discuteranno di questo fenomeno in una prospettiva comparata usando la ricerca su tre paesi europei: Francia, Italia e Ungheria».
FBil
[continua]

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30 aprile 2020 | Tg5 | reportage
L'anticamera dell'inferno
Fausto Biloslavo TRIESTE - “Per noi in prima linea c’è il timore che il ritorno alla vita normale auspicata da tutti possa portare a un aumento di contagi e dei ricoveri di persone in condizioni critiche” ammette Gianfranco, veterano degli infermieri bardato come un marziano per proteggersi dal virus. Dopo anni in pronto soccorso e terapia intensiva lavorava come ricercatore universitario, ma si è offerto volontario per combattere la pandemia. Lunedì si riapre, ma non dimentichiamo che registriamo ancora oltre 250 morti al giorno e quasi duemila nuovi positivi. I guariti aumentano e il contagio diminuisce, però 17.569 pazienti erano ricoverati con sintomi fino al primo maggio e 1578 in rianimazione. Per entrare nel reparto di pneumologia semi intensiva respiratoria dell’ospedale di Cattinara a Trieste bisogna seguire una minuziosa procedura di vestizione. Mascherina di massima protezione, tuta bianca, copri scarpe, doppi guanti e visiera per evitare il contagio. Andrea Valenti, responsabile infermieristico, è la guida nel reparto dove si continua a combattere, giorno e notte, per strappare i contagiati alla morte. Un grande open space con i pazienti più gravi collegati a scafandri o maschere che li aiutano a respirare e un nugolo di tute bianche che si spostano da un letto all’altro per monitorare o somministrare le terapie e dare conforto. Un contagiato con i capelli grigi tagliati a spazzola sembra quasi addormentato sotto il casco da marziano che pompa ossigeno. Davanti alla finestra sigillata un altro paziente che non riesce a parlare gesticola per indicare agli infermieri dove sente una fitta di dolore. Un signore cosciente, ma sfinito, con i tubi dell’ossigeno nel naso è collegato, come gli altri, a un monitor che segnala di continuo i parametri vitali. “Mi ha colpito un paziente che descriveva la sensazione terribile, più brutta del dolore, di non riuscire a respirare. Diceva che “è come se mi venisse incontro la morte”” racconta Marco Confalonieri direttore della struttura complessa di pneumologia e terapia intensiva respiratoria al dodicesimo piano della torre medica di Cattinara. La ventilazione non invasiva lascia cosciente il paziente che a Confalonieri ha raccontato come “bisogna diventare amico con la macchina, mettersi d’accordo con il ventilatore per uscire dal tunnel” e tornare alla vita. Una “resuscitata” è Vasilica, 67 anni, operatrice di origine romena di una casa di risposo di Trieste dove ha contratto il virus. “Ho passato un inferno collegata a questi tubi, sotto il casco, ma la voglia di vivere e di rivedere i miei nipoti, compreso l’ultimo che sta per nascere, ti fa sopportare tutto” spiega la donna occhialuta con una coperta sulle spalle, mascherina e tubo per l’ossigeno. La sopravvissuta ancora ansima quando parla del personale: “Sono angeli. Senza questi infermieri, medici, operatori sanitari sarei morta. Lottano ogni momento al nostro fianco”. Il rumore di fondo del reparto è il ronzio continuo delle macchine per l’ossigeno. L’ambiente è a pressione negativa per aspirare il virus e diminuire il pericolo, ma la ventilazione ai pazienti aumenta la dispersione di particelle infette. In 6 fra infermieri ed un medico sono stati contagiati. “Mi ha colpito la telefonata di Alessandra che piangendo ripeteva “non è colpa mia, non è colpa mia” - racconta Confalonieri con il volto coperto da occhialoni e maschera di protezione - Non aveva nessuna colpa, neppure sapeva come si è contagiata, ma si struggeva per dover lasciare soli i colleghi a fronteggiare il virus”. Nicol Vusio, operatrice sanitaria triestina di 29 anni, ha spiegato a suo figlio che “la mamma è in “guerra” per combattere un nemico invisibile e bisogna vincere”. Da dietro la visiera ammette: “Me l’aspettavo fin dalla prime notizie dalla Cina. Secondo me avremmo dovuto reagire molto prima”. Nicol racconta come bagna le labbra dei pazienti “che con gli occhi ti ringraziano”. I contagiati più gravi non riescono a parlare, ma gli operatori trovano il modo di comunicare. “Uno sguardo, la rotazione del capo, il movimento di una mano ti fa capire se il paziente vuole essere sollevato oppure girato su un fianco o se respira male” spiega Gianfranco, infermiere da 30 anni. Il direttore sottolinea che “il covid “cuoce” tutti gli organi, non solo il polmone e li fa collassare”, ma il reparto applica un protocollo basato sul cortisone che ha salvato una novantina di contagiati. Annamaria è una delle sopravvissute, ancora debole. Finalmente mangia da sola un piattino di pasta in bianco e con un mezzo sorriso annuncia la vittoria: “Il 7 maggio compio 79 anni”.

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26 agosto 2023 | Tgcom24 | reportage
Emergenza migranti
Idee chiare sulla crisi dagli sbarchi alla rotta balcanica.

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29 dicembre 2010 | | reportage
Gli occhi della guerra a Trieste
Dopo aver portato la mostra su 25 anni di reportage di guerra in tutta Italia, finalmente il 29 dicembre è stata inaugurata a Trieste, presso la sala espositiva della Parrocchia di Santa Maria Maggiore, via del Collegio 6. Gli occhi della guerra sono dedicati ad Almerigo Grilz e a tutti i giornalisti caduti sul fronte dell'informazione. La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 10 al 20 gennaio. L'evento è stato organizzato dal Circolo universitario Hobbit con la sponsorizzazione della Regione.

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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