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Articolo
12 febbraio 2020 - Interni - Italia - Panorama |
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Ong giustizia a due facce |
Fausto Biloslavo Inchieste flop sulle Ong, navi prima sequestrate e poi lasciate libere di tornare in mare a recuperare migranti. Talebani dell’accoglienza non perseguiti, ma il mirino è puntato su Guardia di Finanza e Marina militare. L’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini, sotto tiro per avere chiuso i porti. La giustizia è alla rovescia quando ci sono di mezzo le Organizzazioni non governative? “Il tema è se la politica dell’immigrazione spetti ancora al Governo e al Parlamento, ovvero se debba essere consegnata nelle mani dell’Autorità giudiziaria. E’ un tema che dovrebbe interessare la politica nel suo insieme, e invece una parte della politica accetta di autolimitarsi pur di colpire l’avversario lasciando fare parte della magistratura” è il j’accuse di Alfredo Mantovano, magistrato ed ex sottosegretario all’Interno con Silvio Berlusconi. Il 4 febbraio il tribunale di Palermo ha chiesto il dissequestro di Mare Jonio, la nave della Mediterranea Saving Humans, che lo scorso anno è stata bloccata tre volte e poi lasciata andare per tornare a recuperare migranti al largo della Libia. Per l’imbarcazione si era mobilitato, come primo firmatario eccellente di una petizione, lo scrittore Roberto Saviano. Il quotidiano la Repubblica ha chiesto ai suoi lettori “di mandare una foto con la penna in mano, per appoggiare la campagna di Mediterranea” che chiedeva il dissequestro di Mare Jonio. Nave Sea watch 3 dell’omonima Ong tedesca, bloccata due volte nel 2019, è stata di nuovo dissequestrata il 19 dicembre. “SeaWatch 3 è libera!” ha cantato vittoria su twitter Carola Rackete, che lo scorso giugno non aveva rispettato il divieto del Viminale di ingresso nelle acque territoriali italiane. E per far sbarcare i migranti ha quasi schiacciato una motovedetta della Guardia di Finanza contro il molo. Il 17 gennaio la corte di Cassazione ha stabilito che l’arresto della “capitana” tedesca la scorsa estate, era illegittimo ed è stato giusto rilasciarla subito grazie a una discussa ordinanza. In pratica la sentenza è un primo passo verso l’ “impunità” delle Ong, che pensano di poter fare quello che vogliono in nome di un superiore diritto umanitario. Non caso Rackete ha subito dichiarato: “Questo è un verdetto importante per tutti gli attivisti impegnati nel salvataggio in mare! Nessuno dovrebbe essere perseguito perchè aiuta le persone bisognose”. Il suo legale, Alessandro Gamberini, ha messo le mani avanti spiegando che la sentenza “lascia ben sperare per il proseguio del procedimento” presso la procura di Agrigento con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di aver speronato la motovedetta delle Fiamme gialle. “La questione non è in prima battuta quali responsabilità penali abbia il comandante di una nave che opera il soccorso in mare in prossimità delle acque territoriali libiche o tunisine, ma se chi gestisce questi traffici criminali dalle coste libiche o tunisine non conti in modo oggettivo sulla presenza al largo delle imbarcazioni delle Organizzazioni non governative per mandare in acqua centinaia di migranti per volta in natanti di fortuna, esponendoli alla morte, sapendo che comunque l’ultimo tratto sarà garantito dall’Ong di turno” spiega Mantovano a Panorama. Il 28 gennaio la stessa procura di Agrigento ha chiesto l’archiviazione per l’estremista no global Luca Casarini e il comandante Pietro Marrone di nave Mare Jonio accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di avere disobbedito all’ordine di una nave militare. Il caso riguarda lo sbarco a Lampedusa del 19 marzo 2019 di 50 migranti recuperati al largo della Libia. I pubblici ministeri Salvatore Vella e Cecilia Baravelli sono convinti che “la condotta degli indagati non risulta (…) antigiuridica”. Al contrario, negli atti, si punta il dito contro nave Capri della Marina militare, che a Tripoli forniva appoggio alla Guardia costiera libica e un pattugliatore delle Fiamme gialle che ha cercato di fermare Mare Jonio. “Dagli elementi probatori acquisiti nel presente procedimento - scrivono i Pm - sembra (…) che nave Capri e quindi la Marina Militare Italiana svolgano di fatto le funzioni di centro decisionale della c.d. Guardia costiera libica, siano cioè il reale centro operativo di comando”. Esattamente la tesi “accusatoria” delle Ong, nonostante la missione in Libia sia approvata dal Parlamento su richiesta del governo fin dai tempi del governo Gentiloni di centro sinistra. I pm puntano il dito anche contro il comandante del pattugliatore Paolini della Guardia di Finanza che ha intimato l’alt a Mare Jonio sostenendo che “non siete autorizzati da Autorità Giudiziaria italiana all\'ingresso in nostre acque nazionali”. Nessun magistrato è intervenuto, ma i pm sono risaliti fino al tenente colonnello Alessandro Santarelli della stazione navale di Palermo, che avrebbe dato l’ordine. Il procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio, si è affrettato a smentire che i finanzieri siano indagati, ma Fiamme gialle e Marina stanno finendo sulla graticola al posto delle Ong. Il bersaglio grosso è Salvini accusato di sequestro di persona per aver bloccato nave Gregoretti e Open arms. Il 12 febbraio il Senato voterà se mandare a processo l’ex ministro sul caso Gregoretti. “La vicenda è emblematica di una schizofrenia. la Procura della Repubblica di Catania sollecita l’archiviazione perché “non sussistono i presupposti del delitto di sequestro di persona né di nessun altro delitto”” fa notare Mantovano. Il tribunale dei ministri, sempre di Catania, se ne frega e chiede di processare Salvini. “Ha il potere di farlo, ma in un sistema processuale accusatorio l’inversione dei ruoli appare non poco singolare” spiega il magistrato, vicepresidente del Centro studi Livatino. Il 4 febbraio è arrivata sulla testa di Salvini la seconda tegola, dei 161 migranti trattenuti per 19 giorni in mare e poi sbarcati il 20 agosto, ma per Mantovano “il caso Open Arms non è diverso dalla Gregoretti\". La capo missione dell’Ong sapgnola, lo scorso agosto, era Ana Isabel Montes Mier, una recidiva dello sbarco di migranti in Italia ad ogni costo. Una delle poche inchieste sulle Ong, per ora non una bolla di sapone, è quella di Ragusa. La procura ha chiesto il rinvio a giudizio per Mier e il capitano Marc Reig Creus per avere sbarcato 216 migranti a Pozzallo il 18 marzo 2018. Il reato contestato è di violenza privata funzionale al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. In pratica “il metodo” Open arms, che secondo il procuratore capo di Ragusa, Fabio D’Anna, dimostra come “l’unico vero obiettivo dell’Ong non fosse quello umanitario di salvare i migranti, ma (…) di portarli ad ogni costo in Italia in spregio alle regole”. Il 5 febbraio si è tenuta la prima udienza davanti al Gip, Eleonora Schininà, che deciderà sul rinvio a giudizio il 3 giugno. Nel frattempo Open arms, dissequestrata in ottobre, ha sbarcato il 2 febbraio gli ultimi 363 migranti a Pozzallo. Da settembre il governo Conte con grillini e Pd ha permesso l’arrivo di 8087 migranti. Solo in gennaio si è registrato un aumento del 660% rispetto allo stesso periodo del 2019 quando i porti erano chiusi. |
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31 ottobre 2021 | Quarta repubblica | reportage
No vax scontri al porto
I primi lacrimogeni rimbalzano sull'asfalto e arditi No Pass cercano di ributtarli verso il cordone dei carabinieri che sta avanzando per sgomberare il varco numero 4 del porto di Trieste. I manifestanti urlano di tutto «merde, vergogna» cercando pietre e bottiglie da lanciare contro le forze dell'ordine. Un attivista ingaggia lo scontro impossibile e viene travolto dalle manganellate. Una volta crollato a terra lo trascinano via oltre il loro cordone. Scene da battaglia urbana, il capoluogo giuliano non le vedeva da decenni.
Portuali e No Pass presidiavano da venerdì l'ingresso più importante dello scalo per protestare contro l'introduzione obbligatoria del lasciapassare verde. In realtà i portuali, dopo varie spaccature, sono solo una trentina. Gli altri, che arriveranno fino a 1.500, sono antagonisti e anarchici, che vogliono la linea dura, molta gente venuta da fuori, più estremisti di destra.
Alle 9 arrivano in massa le forze dell'ordine con camion-idranti e schiere di agenti in tenuta antisommossa. Una colonna blu che arriva da dentro il porto fino alla sbarra dell'ingresso. «Lo scalo è porto franco. Non potevano farlo. È una violazione del trattato pace (dello scorso secolo, nda)» tuona Stefano Puzzer detto Ciccio, il capopopolo dei portuali. Armati di pettorina gialla sono loro che si schierano in prima linea seduti a terra davanti ai cordoni di polizia. La resistenza è passiva e gli agenti usano gli idranti per cercare di far sloggiare la fila di portuali. Uno di loro viene preso in pieno da un getto d'acqua e cade a terra battendo la testa. Gli altri lo portano via a braccia. Un gruppo probabilmente buddista prega per evitare lo sgombero. Una signora si avvicina a mani giunte ai poliziotti implorando di retrocedere, ma altri sono più aggressivi e partono valanghe di insulti.
Gli agenti avanzano al passo, metro dopo metro. I portuali fanno da cuscinetto per tentare di evitare incidenti più gravi convincendo la massa dei No Pass, che nulla hanno a che fare con lo scalo giuliano, di indietreggiare con calma. Una donna alza le mani cercando di fermare i poliziotti, altri fanno muro e la tensione sale alimentata dal getto degli idranti. «Guardateci siamo fascisti?» urla un militante ai poliziotti. Il nocciolo duro dell'estrema sinistra seguito da gran parte della piazza non vuole andarsene dal porto. Quando la trattativa con il capo della Digos fallisce la situazione degenera in scontro aperto. Diego, un cuoco No Pass, denuncia: «Hanno preso un mio amico, Vittorio, per i capelli, assestandogli una manganellata in faccia». Le forze dell'ordine sgomberano il valico, ma sul grande viale a ridosso scoppia la guerriglia. «Era gente pacifica che non ha alzato un dito - sbotta Puzzer - È un attacco squadrista». I più giovani sono scatenati e spostano i cassonetti dell'immondizia per bloccare la strada scatenando altre cariche degli agenti.
Donne per nulla intimorite urlano «vergognatevi» ai carabinieri, che rimangono impassibili. In rete cominciano a venire pubblicati post terribili rivolti agli agenti: «Avete i giorni contati. Se sai dove vivono questi poliziotti vai a ucciderli».Non a caso interviene anche il presidente Sergio Mattarella: «Sorprende e addolora che proprio adesso, in cui vediamo una ripresa incoraggiante esplodano fenomeni di aggressiva contestazione». Uno dei portuali ammette: "Avevamo detto ai No Pass di indietreggiare quando le forze dell'ordine avanzavano ma non ci hanno ascoltati. Così la manifestazione pacifica è stata rovinata».
Puzzer raduna le «truppe» e i rinforzi, 3mila persone, in piazza Unità d'Italia. E prende le distanze dagli oltranzisti: «Ci sono gruppi che non c'entrano con noi al porto che si stanno scontrando con le forze dell'ordine». Non è finita, oltre 100 irriducibili si scatenano nel quartiere di San Vito. E riescono a bloccare decine di camion diretti allo scalo con cassonetti dati alle fiamme in mezzo alla strada. Molti sono vestiti di nero con il volto coperto simili ai black bloc. La battaglia sul fronte del porto continua fino a sera.
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10 giugno 2008 | Emittente privata TCA | reportage
Gli occhi della guerra.... a Bolzano /2
Negli anni 80 lo portava in giro per Milano sulla sua 500, scrive Panorama. Adesso, da ministro della Difesa, Ignazio La Russa ha voluto visitare a Bolzano la mostra fotografica Gli occhi della guerra, dedicata alla sua memoria. Almerigo Grilz, triestino, ex dirigente missino, fu il primo giornalista italiano ucciso dopo la Seconda guerra mondiale, mentre filmava uno scontro fra ribelli e governativi in Mozambico nell’87. La mostra, organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti, espone anche i reportage di altri due giornalisti triestini: Gian Micalessin e Fausto Biloslavo.
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29 dicembre 2010 | | reportage
Gli occhi della guerra a Trieste
Dopo aver portato la mostra su 25 anni di reportage di guerra in tutta Italia, finalmente il 29 dicembre è stata inaugurata a Trieste, presso la sala espositiva della Parrocchia di Santa Maria Maggiore, via del Collegio 6. Gli occhi della guerra sono dedicati ad Almerigo Grilz e a tutti i giornalisti caduti sul fronte dell'informazione. La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 10 al 20 gennaio. L'evento è stato organizzato dal Circolo universitario Hobbit con la sponsorizzazione della Regione.
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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento |
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo
I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti.
“Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale.
I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria.
Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa.
In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo.
“In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani.
Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.
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