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19 marzo 2020 - Prima - Italia - Il Giornale
Bergamo, per portare via le bare arriva l’esercito
Fausto Biloslavo
Brescia e Bergamo flagellate dal virus, morti in più che non rientrano nei conteggi, forni saturi e l’esercito che trasporta i feretri delle vittime del virus per cremarli in altre regioni.
“A Bergamo e Brescia la circolazione del virus è molto elevata” ha fatto sapere ieri l’Istituto superiore della sanità, dopo l’errore di non attivare le zone rosse. La provincia di Brescia nella classifica dei contagi regionali cresce più di Bergamo con 3785 positivi ed una media di un morto ogni 10 infettati. Le vittime sono salite a 450 comprese le 22 di ieri. La leonessa d’Italia è il capoluogo più colpito con 607 casi e 78 morti.
Il vero flagello, però, continua a riguardare Bergamo e la sua provincia. “Il numero dei morti per Coronavirus è sottostimato perchè sappiamo che ci sono tante persone anziane decedute in queste settimane nelle loro abitazioni o nelle case di riposo, che purtroppo non sono ricondotte alle statistiche perchè non vengono fatti i tamponi” ha spiegato il sindaco, Giorgio Gori, a RaiNews24. I contagi sono 4305 e ogni giorno si registrano nel bergamasco circa il 24-25% dei nuovi casi positivi e il 27% di tutti i decessi in Lombardia. In pratica si calcola una media di 50 morti al giorno.
L’allarme riguarda anche gli operatori sanitari e soprattutto chi lavora nelle case di riposo, veri e propri focolai del virus. Almeno 100  medici di famiglia della Bergamasca \\\\\\\"sono ammalati\\\\\\\" dall\\\\\\\'inizio dell\\\\\\\'emergenza, su 700 nell\\\\\\\'intera provincia. \\\\\\\"Ma non sappiamo nemmeno se siamo positivi perchè non veniamo sottoposti a tamponi. E\\\\\\\' una cosa gravissima”denuncia Paola Pedrini, rappresentante della categoria per la Lombardia. Non è un caso che Papa Francesco abbia telefonato ieri al vescovo di Bergamo per dimostrare vicinanza a tutta la provincia.
E il sindaco Gori ha dovuto chiedere al prefetto l’intervento dell’esercito per l’impossibilità dei forni di cremare tutte le vittime del virus. “Pertanto si richiede la possibilità di valutare, atteso l’odierno stato emergenziale e la necessità di provvedere alla cremazione in tempi rapidissimi delle salme - scrive il primo cittadino - di interessare le Forze armate”. Ieri alle 18 è scattata l’operazione dell’esercito con 15 camion e 50 uomini diretti al cimitero monumentale di Bergamo. Una missione dura, dal punto di vista psicologico, ma necessaria per evitare il peggio. La colonna aveva l’ordine di caricare fra 60 e 70 feretri, che devono essere cremati come disposto dalle famiglie. “Da Bergamo si muoveranno due aliquote separate su Modena e Bologna scortate dai carabinieri” spiega una fonte militare del Giornale. Tutto si concluderà durante la notte. L’Emilia Romagna ha messo a disposizione i suoi forni crematori, ma dalla Lombardia giungono altre richieste di aiuto. Gli obitori sono pieni e nella Bassa bresciana diversi comuni hanno accolto l\\\\\\\'appello del vescovo a trasformare le chiese accogliendo le bare in attesa di inumazione, come era stato fatto a Bergamo. Il tempio crematorio di Brescia può operare solo con i residenti e ha liste di attesa che partono dal 27 marzo. Tredici cremazioni al giorno e le 50 celle al cimitero di Cremona sono esaurite. Le altre salme sono state trasferite al forno più grande di Bologna.
Per combattere il virus si stanno montando tre ospedali da campo, dopo quello dell’Associazione nazionale alpini a Bergamo. Ieri l’esercito ha montato una struttura con 50 posti letto e terapie semi intensive a Piacenza. Ed è stata fatta una ricognizione a Crema per un altro ospedale da campo, dove opereranno anche medici cubani e cinesi. A Cremona i genieri stava mettendo in piedi l’ospedale da campo dei volontari americani di Samaritan\\\\\\\'s Purse, che sarà operativo da domani nella battaglia contro il virus.

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12 maggio 2020 | Tg5 | reportage
L'infermiera sopravvissuta al virus
L’infermiera ha contratto il virus da un paziente anziano nell’ospedale Maggiore di Trieste A casa non riusciva più a respirare ed è stata trasportata d’urgenza in ospedale Il figlio, soldato della Nato, era rimasto bloccato sul fronte baltico dall’emergenza virus con l’appartamento pieno di medicine l’incubo del contagio non l’abbandonerà mai Due mesi dopo il contagio Svetlana è negativa al virus ma ancora debole e chiusa in casa

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07 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Parla il sopravvissuto al virus
Fausto Biloslavo TRIESTE - Il sopravvissuto sta sbucciando un’arancia seduto sul letto di ospedale, come se non fosse rispuntato da poco dall’anticamera dell’inferno. Maglietta grigia, speranza dipinta negli occhi, Giovanni Ziliani è stato dimesso mercoledì, per tornare a casa. Quarantadue anni, atleta e istruttore di arti marziali ai bambini, il 10 marzo ha iniziato a stare male nella sua città, Cremona. Cinque giorni dopo è finito in terapia intensiva. Dalla Lombardia l’hanno trasferito a Trieste, dove un tubo in gola gli pompava aria nei polmoni devastati dall’infezione. Dopo 17 giorni di calvario è tornato a vivere, non più contagioso. Cosa ricorda di questa discesa all’inferno? “Non volevo dormire perchè avevo paura di smettere di respirare. Ricordo il tubo in gola, come dovevo convivere con il dolore, gli sforzi di vomito ogni volta che cercavo di deglutire. E gli occhi arrossati che bruciavano. Quando mi sono svegliato, ancora intubato, ero spaventato, disorientato. La sensazione è di impotenza sul proprio corpo. Ti rendi conto che dipendi da fili, tubi, macchine. E che la cosa più naturale del mondo, respirare, non lo è più”. Dove ha trovato la forza? “Mi sono aggrappato alla famiglia, ai valori veri. Al ricordo di mia moglie, in cinta da otto mesi e di nostra figlia di 7 anni. Ti aggrappi a quello che conta nella vita. E poi c’erano gli angeli in tuta bianca che mi hanno fatto rinascere”. Gli operatori sanitari dell’ospedale? “Sì, medici ed infermieri che ti aiutano e confortano in ogni modo. Volevo comunicare, ma non ci riuscivo perchè avevo un tubo in gola. Hanno provato a farmi scrivere, ma ero talmente debole che non ero in grado. Allora mi hanno portato un foglio plastificato con l’alfabeto e digitavo le lettere per comporre le parole”. Il momento che non dimenticherà mai? “Quando mi hanno estubato. E’ stata una festa. E quando ero in grado di parlare la prima cosa che hanno fatto è una chiamata in viva voce con mia moglie. Dopo tanti giorni fra la vita e la morte è stato un momento bellissimo”. Come ha recuperato le forze? “Sono stato svezzato come si fa con i vitellini. Dopo tanto tempo con il sondino per l’alimentazione mi hanno somministrato in bocca del tè caldo con una piccola siringa. Non ero solo un paziente che dovevano curare. Mi sono sentito accudito”. Come è stato infettato? “Abbiamo preso il virus da papà, che purtroppo non ce l’ha fatta. Mio fratello è intubato a Varese non ancora fuori pericolo”. E la sua famiglia? “Moglie e figlia di 7 anni per fortuna sono negative. La mia signora è in attesa di Gabriele che nascerà fra un mese. Ed io sono rinato a Trieste”. Ha pensato di non farcela? “Ero stanco di stare male con la febbre sempre a 39,6. Speravo di addormentarmi in terapia intensiva e di risvegliarmi guarito. Non è andata proprio in questo modo, ma è finita così: una vittoria per tutti”.

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05 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
Islam, matrimoni forzati e padri assassini
Nosheen, la ragazza pachi­stana, in coma dopo le spranga­te del fratello, non voleva spo­sarsi con un cugino in Pakistan. Il matrimonio forzato era stato imposto dal padre, che ha ucci­so a colpi di mattone la madre della giovane di 20 anni schiera­ta a fianco della figlia. Se Noshe­e­n avesse chinato la testa il mari­to, scelto nella cerchia familia­re, avrebbe ottenuto il via libera per emigrare legalmente in Ita­lia. La piaga dei matrimoni com­binati nasconde anche questo. E altro: tranelli per rimandare nella patria d’origine le adole­scenti dove le nozze sono già pronte a loro insaputa; e il busi­ness della dote con spose che vengono quantificate in oro o migliaia di euro. Non capita solo nelle comuni­tà musulmane come quelle pa­chistana, marocchina o egizia­na, ma pure per gli indiani e i rom, che sono un mondo a par­te.

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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