image
Articolo
06 maggio 2020 - Interni - Italia - Panorama
Il risiko dei nuovi servizi sotto il segno grillino
I grillini, in gran silenzio, puntano a far man bassa nel valzer delle nomine dei servizi segreti, con il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, in prima fila dietro le quinte per piazzare le sue pedine. Le grandi manovre sono iniziate con la promozione alla presidenza di Leonardo, il gioiello strategico dell’industria della Difesa, del generale della Finanza, Luciano Carta. In realtà una rimozione dal vertice dell’Aise, l’Agenzia informazioni e sicurezza esterna dopo solo un anno e mezzo di comando. “Era stato lui ad alzare paletti e far suonare campanelli d’allarme sull’ingerenza cinese, il 5G di Huawei, la via della seta. Questo “premio” a Leonardo suona come allontanamento” spiega una fonte di Panorama nel mondo della Difesa.
La nomina del capo dell’intelligence spetta al Presidente del Consiglio, che ha mantenuto la delega sui servizi segreti irritando non poco il Pd. “Chi sarà designato al posto di Carta mi auguro che sia altrettanto capace e attento agli interessi nazionali. Quello è un fronte su cui spero non prevalgano le logiche di parte che purtroppo hanno sinora contraddistinto il governo soprattutto in questa fase di emergenza” dichiara Adolfo Urso, vicepresidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir).
Gli addetti ai lavori confermano che la scelta per merito e competenza dovrebbe ricadere su uno dei vice direttori dell’Aise, il generale dell’esercito Giovanni Caravelli. L’alto ufficiale di grande esperienza operativa internazionale rappresenterebbe la continuità. La sua nomina otterrebbe facilmente il nulla osta del capo dello Stato, Sergio Mattarella. Ufficiosamente il Quirinale avalla sempre gli incarichi più delicati.
Non è escluso, però, che Conte preferisca il suo consigliere militare, l’ammiraglio Carlo Massagli, anche se l’ipotesi non è molto quotata. Nella corsa è spuntato anche il nome  dell’ “outsider”, generale Carmine Masiello, già consigliere a Palazzo Chigi di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, ma anche la sua candidatura sembra debole. E avrebbe poche chance pure il terzo vicedirettore dell’Agenzia, il generale Giuseppe Caputo, che ha cercato di accreditarsi con il Pd.
Il nuovo capo dell’intelligence estera, cruciale in questo momento di emergenza e di ingerenze straniere, dovrebbe arrivare verso metà maggio. La nomina di Caravelli otterrebbe un gradimento bipartisan e i 5 stelle sarebbero d’accordo a dare il via libera. “Poi farebbero scattare lo schema di “occupazione” delle posizioni di vice direttori dell’Aise puntando anche al colpo grosso del servizio interno” spiega una fonte militare di Panorama. L’operazione è condotta da Di Maio, dal sottosegretario alla Difesa, Angelo Tofalo e dal Richelieu del ministro degli Esteri, il suo portavoce Augusto Rubei. I grillini puntano a riempire la casella di vice direttore di Caravelli con il generale dell’aeronautica Francesco Presicce. Prima del suo corso,  ambizioso, ma poco amato all’interno della stessa arma azzurra è l’attuale responsabile dell’ufficio generale del capo di Stato maggiore della Difesa, Enzo Vecciarelli.
I grillini, però, vogliono di più. Il generale dei carabinieri Angelo Agovino, attuale vicedirettore dell’Aise, era stato dato come papabile al comando dell’intelligence estera “ma in realtà potrebbe diventare il nuovo capo dell’Aisi, il servizio interno” spiega la fonte militare. Il 29 aprile scade la proroga del governo Conte bis a Mario Parente. Il generale-prefetto vorrebbe rimanere al comando dell’Aisi, ma i 5 stelle preferiscono Agovino.
La prima grana del nuovo vertice dell’Aise sarà il braccio di ferro con lo stato maggiore della Difesa, che vuole portare il controllo dei satelliti dall’Agenzia al programmato Comando delle operazioni spaziali all’interno del Coi, il quartier generale operativo interforze della Difesa. Carta negli ultimi giorni di mandato si è opposto duramente.
L’altro fronte grillino nel campo strategico della Difesa, dove Di Maio e soci sono riusciti a piazzare due pedine, è il consiglio di amministrazione di Leonardo. Una è Paola Giannetakis, che ha avuto un momento di notorietà quando Di Maio l’aveva proposta come ministro dell’Interno prima del voto del 2018, che ha portato al primo governo Conte e Matteo Salvini al Viminale. Pure Giannetakis arriva dalla discussa università Link campus di Roma presieduta dal democristiano doc Vincenzo Scotti. Lo stesso ambiente dell’ex ministro della Difesa grillina, Elisabetta Trenta, data per candidata al Cda di Leonardo, ma rimasta di nuovo a bocca asciutta. La scelta numero uno dei grillini per Leonardo è Carmine America “esperto di questioni internazionali, sicurezza e difesa” alla Farnesina con Di Maio, oltre che “vicino di casa e compagno di scuola del ministro degli Esteri” racconta chi lo conosce definendolo “arrogante, intelligente e spregiudicato”. Una specie di “capitan” America grillino, che si è beccato subito un’interrogazione di Emma Bonino e Matteo Richetti, che era stato eletto in Senato con il Pd, su un possibile conflitto di interessi. ”Il dottor Carmine America risulta essere genero (affine di secondo grado) del proprietario e amministratore unico della Ar.Ter, società basata in provincia di Napoli - scrivono i senatori - attiva nel settore della meccanica di precisione e fornitrice di società partecipate del gruppo Leonardo come Agusta Westland, Alenia Aermacchi, Avio Group”.
Fausto Biloslavo

video
31 ottobre 2021 | Quarta repubblica | reportage
No vax scontri al porto
I primi lacrimogeni rimbalzano sull'asfalto e arditi No Pass cercano di ributtarli verso il cordone dei carabinieri che sta avanzando per sgomberare il varco numero 4 del porto di Trieste. I manifestanti urlano di tutto «merde, vergogna» cercando pietre e bottiglie da lanciare contro le forze dell'ordine. Un attivista ingaggia lo scontro impossibile e viene travolto dalle manganellate. Una volta crollato a terra lo trascinano via oltre il loro cordone. Scene da battaglia urbana, il capoluogo giuliano non le vedeva da decenni. Portuali e No Pass presidiavano da venerdì l'ingresso più importante dello scalo per protestare contro l'introduzione obbligatoria del lasciapassare verde. In realtà i portuali, dopo varie spaccature, sono solo una trentina. Gli altri, che arriveranno fino a 1.500, sono antagonisti e anarchici, che vogliono la linea dura, molta gente venuta da fuori, più estremisti di destra. Alle 9 arrivano in massa le forze dell'ordine con camion-idranti e schiere di agenti in tenuta antisommossa. Una colonna blu che arriva da dentro il porto fino alla sbarra dell'ingresso. «Lo scalo è porto franco. Non potevano farlo. È una violazione del trattato pace (dello scorso secolo, nda)» tuona Stefano Puzzer detto Ciccio, il capopopolo dei portuali. Armati di pettorina gialla sono loro che si schierano in prima linea seduti a terra davanti ai cordoni di polizia. La resistenza è passiva e gli agenti usano gli idranti per cercare di far sloggiare la fila di portuali. Uno di loro viene preso in pieno da un getto d'acqua e cade a terra battendo la testa. Gli altri lo portano via a braccia. Un gruppo probabilmente buddista prega per evitare lo sgombero. Una signora si avvicina a mani giunte ai poliziotti implorando di retrocedere, ma altri sono più aggressivi e partono valanghe di insulti. Gli agenti avanzano al passo, metro dopo metro. I portuali fanno da cuscinetto per tentare di evitare incidenti più gravi convincendo la massa dei No Pass, che nulla hanno a che fare con lo scalo giuliano, di indietreggiare con calma. Una donna alza le mani cercando di fermare i poliziotti, altri fanno muro e la tensione sale alimentata dal getto degli idranti. «Guardateci siamo fascisti?» urla un militante ai poliziotti. Il nocciolo duro dell'estrema sinistra seguito da gran parte della piazza non vuole andarsene dal porto. Quando la trattativa con il capo della Digos fallisce la situazione degenera in scontro aperto. Diego, un cuoco No Pass, denuncia: «Hanno preso un mio amico, Vittorio, per i capelli, assestandogli una manganellata in faccia». Le forze dell'ordine sgomberano il valico, ma sul grande viale a ridosso scoppia la guerriglia. «Era gente pacifica che non ha alzato un dito - sbotta Puzzer - È un attacco squadrista». I più giovani sono scatenati e spostano i cassonetti dell'immondizia per bloccare la strada scatenando altre cariche degli agenti. Donne per nulla intimorite urlano «vergognatevi» ai carabinieri, che rimangono impassibili. In rete cominciano a venire pubblicati post terribili rivolti agli agenti: «Avete i giorni contati. Se sai dove vivono questi poliziotti vai a ucciderli».Non a caso interviene anche il presidente Sergio Mattarella: «Sorprende e addolora che proprio adesso, in cui vediamo una ripresa incoraggiante esplodano fenomeni di aggressiva contestazione». Uno dei portuali ammette: "Avevamo detto ai No Pass di indietreggiare quando le forze dell'ordine avanzavano ma non ci hanno ascoltati. Così la manifestazione pacifica è stata rovinata». Puzzer raduna le «truppe» e i rinforzi, 3mila persone, in piazza Unità d'Italia. E prende le distanze dagli oltranzisti: «Ci sono gruppi che non c'entrano con noi al porto che si stanno scontrando con le forze dell'ordine». Non è finita, oltre 100 irriducibili si scatenano nel quartiere di San Vito. E riescono a bloccare decine di camion diretti allo scalo con cassonetti dati alle fiamme in mezzo alla strada. Molti sono vestiti di nero con il volto coperto simili ai black bloc. La battaglia sul fronte del porto continua fino a sera.

play
06 giugno 2017 | Sky TG 24 | reportage
Terrorismo da Bologna a Londra
Fausto Biloslavo "Vado a fare il terrorista” è l’incredibile affermazione di Youssef Zaghba, il terzo killer jihadista del ponte di Londra, quando era stato fermato il 15 marzo dello scorso anno all’aeroporto Marconi di Bologna. Il ragazzo nato nel 1995 a Fez, in Marocco, ma con il passaporto italiano grazie alla madre Khadija (Valeria) Collina, aveva in tasca un biglietto di sola andata per Istanbul e uno zainetto come bagaglio. Il futuro terrorista voleva raggiungere la Siria per arruolarsi nello Stato islamico. Gli agenti di polizia in servizio allo scalo Marconi lo hanno fermato proprio perché destava sospetti. Nonostante sul cellulare avesse materiale islamico di stampo integralista è stato lasciato andare ed il tribunale del riesame gli ha restituito il telefonino ed il computer sequestrato in casa, prima di un esame approfondito dei contenuti. Le autorità inglesi hanno rivelato ieri il nome del terzo uomo sostenendo che non “era di interesse” né da parte di Scotland Yard, né per l’MI5, il servizio segreto interno. Il procuratore di Bologna, Giuseppe Amato, ha dichiarato a Radio 24, che "venne segnalato a Londra come possibile sospetto”. E sarebbero state informate anche le autorità marocchine, ma una fonte del Giornale, che ha accesso alle banche dati rivela “che non era inserito nella lista dei sospetti foreign fighter, unica per tutta Europa”. Non solo: Il Giornale è a conoscenza che Zaghba, ancora minorenne, era stato fermato nel 2013 da solo, a Bologna per un controllo delle forze dell’ordine senza esiti particolari. Il procuratore capo ha confermato che l’italo marocchino "in un anno e mezzo, è venuto 10 giorni in Italia ed è stato sempre seguito dalla Digos di Bologna. Abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare, ma non c'erano gli elementi di prova che lui fosse un terrorista. Era un soggetto sospettato per alcune modalità di comportamento". Presentarsi come aspirante terrorista all’imbarco a Bologna per Istanbul non è poco, soprattutto se, come aveva rivelato la madre alla Digos “mi aveva detto che voleva andare a Roma”. Il 15 marzo dello scorso anno il procuratore aggiunto di Bologna, Valter Giovannini, che allora dirigeva il pool anti terrorismo si è occupato del caso disponendo un fermo per identificazione al fine di accertare l’identità del giovane. La Digos ha contattato la madre, che è venuta a prenderlo allo scalo ammettendo: "Non lo riconosco più, mi spaventa. Traffica tutto il giorno davanti al computer per vedere cose strane” ovvero filmati jihadisti. La procura ha ordinato la perquisizione in casa e sequestrato oltre al cellulare, alcune sim ed il pc. La madre si era convertita all’Islam quando ha sposato Mohammed il padre marocchino del terrorista che risiede a Casablanca. Prima del divorzio hanno vissuto a lungo in Marocco. Poi la donna è tornata casa nella frazione di Fagnano di Castello di Serravalle, in provincia di Bologna. Il figlio jihadista aveva trovato lavoro a Londra, ma nella capitale inglese era entrato in contatto con la cellula di radicali islamici, che faceva riferimento all’imam, oggi in carcere, Anjem Choudary. Il timore è che il giovane italo-marocchino possa essere stato convinto a partire per la Siria da Sajeel Shahid, luogotenente di Choudary, nella lista nera dell’ Fbi e sospettato di aver addestrato in Pakistan i terroristi dell’attacco alla metro di Londra del 2005. "Prima di conoscere quelle persone non si era mai comportato in maniera così strana” aveva detto la madre alla Digos. Il paradosso è che nessuna legge permetteva di trattenere a Bologna il sospetto foreign fighter ed il tribunale del riesame ha accolto l’istanza del suo avvocato di restituirgli il materiale elettronico sequestrato. “Nove su dieci, in questi casi, la richiesta non viene respinte” spiega una fonte del Giornale, che conosce bene la vicenda. Non esiste copia del materiale trovato, che secondo alcune fonti erano veri e propri proclami delle bandiere nere. E non è stato possibile fare un esame più approfondito per individuare i contatti del giovane. Il risultato è che l’italo-marocchino ha potuto partecipare alla mattanza del ponte di Londra. Parenti e vicini cadono dalle nuvole. La zia acquisita della madre, Franca Lambertini, non ha dubbi: “Era un bravo ragazzo, l'ultima volta che l'ho visto mi ha detto “ciao zia”. Non avrei mai pensato a una cosa del genere".

play
16 marzo 2012 | Terra! | reportage
Feriti d'Italia
Fausto Biloslavo racconta le storie di alcuni soldati italiani feriti nel corso delle guerre in Afghanistan e Iraq. Realizzato per il programma "Terra" (Canale 5).

play
[altri video]
radio

27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

play

[altri collegamenti radio]




fotografie







[altre foto]