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29 maggio 2020 - Il Fatto - Italia - Il Giornale
Il prefetto archiviato dopo 7 anni di calvario Aveva fatto risparmiare allo Stato 2,5 miliardi
Fausto Biloslavo
Reati privi di fondamento, un grossolano teorema basato sul nulla, indagini senza senso e costose dall\'altra parte dell\'Italia sono solo alcuni passaggi pesanti come pietre, che smontano un\'inchiesta sulla gestione dei centri per i migranti andata avanti per anni. Nel mirino l\'attuale prefetto di Venezia, allora a Gorizia, Vittorio Zappalorto, che ne sta uscendo a testa alta con la richiesta di archiviazione della procura generale della Corte d\'appello di Trieste. Se verrà accolta dal Gip del tribunale di Gorizia sarà confermato l\'ennesimo caso di malagiustizia imputabile ad alcuni magistrati che fanno male il loro lavoro o sono più interessanti a risvolti politici.
Fra il 2014 e 2015 Zappalorto, come prefetto di Gorizia, si occupa del caos di due centri per i migranti di espulsione e per i richiedenti asilo a Gradisca d\'Isonzo. L\'alto funzionario mette alla porta una Onlus siciliana per fare spazio ad una realtà locale con l\'obiettivo di portare un po\' d\'ordine facendo risparmiare allo Stato due milioni e mezzo di euro.
Al contrario il sostituto procuratore di Gorizia, Valentina Bossi, che già indagava da tempo punta il mirino su Zappalorto accusandolo di tutto: da presunti maneggi per la gara della gestione dei centri a sovrafatturazioni intestate alla Prefettura e ovviamente mancanze nei confronti dei migranti che non ricevevano sigarette, soldi e neppure l\'acqua. Il risultato è che sulla testa del prefetto piombano accuse pesantissime di associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d\'asta, truffa aggravata e falsi. Nel frattempo Zappalorto riveste la carica di commissario comunale a Venezia dopo lo scandalo del Mose ed oggi è prefetto. Dopo il clamore mediatico dello scorso anno il fascicolo di Gorizia cade nel dimenticatoio fino a quando i difensori di Zappalorto puntano sull\'avocazione a Trieste.
Un mese fa il sostituto procuratore generale della Corte d\'appello del capoluogo giuliano, Carlo Maria Zampi, chiede al Giudice per le indagini preliminari di Gorizia l\'archiviazione del caso con dieci paginette pesanti come macigni. Il magistrato rileva come «i vari illeciti iscritti ai funzionari operanti presso la Prefettura di Gorizia siano del tutto privi di fondamento». Non solo: l\'accusa «si è limitata a ripercorrere le considerazioni della Guardia di Finanza senza un adeguato vaglio critico» confondendo illeciti amministrativi con reati penali. Le indagini erano state affidate alle Fiamme gialle di Tarcento «corpo privo di competenza territoriale - si legge nella richiesta di archiviazione - che ha acquisito migliaia di documenti con la dilatazione temporale legata anche alla distanza rispetto ai luoghi di interesse». In pratica i finanzieri hanno speso un sacco di energie con perquisizioni e indagini dall\'altra parte del paese su ipotetici reati «per i quali è arduo individuare una effettiva connessione processuale con le indagini goriziane». E per farlo lo Stato si è accollato «delle onerose trasferte in Sicilia per l\'acquisizione di documenti di scarsa importanza () con rilevanti esborsi di denaro per consentire le relative missioni».
L\'inchiesta monstre, secondo il sostituto procuratore generale di Trieste, si basa sul nulla ovvero «un apodittico e grossolano teorema in base al quale qualunque funzionario della Prefettura di Gorizia avesse avuto una parte nella vicenda diveniva ipso facto un concorrente nei vari reati». La conclusione è che per le accuse al prefetto Zappalorto e altri funzionari viene chiesta l\'archiviazione perché «il fatto non sussiste».
[continua]

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18 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
L'Islam nelle carceri
Sono circa 10mila i detenuti musulmani nelle carceri italiane. Soprattutto marocchini, tunisini algerini, ma non manca qualche afghano o iracheno. Nella stragrande maggioranza delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre. Ma il pericolo del radicalismo islamico è sempre in agguato. Circa 80 detenuti musulmani con reati di terrorismo sono stati concentrati in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano. Queste immagini esclusive mostrano la preghiera verso la Mecca nella sezione di Alta sicurezza 2 del carcere sardo di Macomer. Dove sono isolati personaggi come il convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari nel 2008 e Adel Ben Mabrouk uno dei tre tunisini catturati in Afghanistan, internati a Guantanamo e mandati in Italia dalla Casa Bianca. “Ci insultano per provocare lo scontro dandoci dei fascisti, razzisti, servi degli americani. Una volta hanno esultato urlando Allah o Akbar, quando dei soldati italiani sono morti in un attentato in Afghanistan” denunciano gli agenti della polizia penitenziaria. Nel carcere penale di Padova sono un centinaio i detenuti comuni musulmani che seguono le regole islamiche guidati dall’Imam fai da te Enhaji Abderrahman Fra i detenuti comuni non mancano storie drammatiche di guerra come quella di un giovane iracheno raccontata dall’educatrice del carcere Cinzia Sattin, che ha l’incubo di saltare in aria come la sua famiglia a causa di un attacco suicida. L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione degli spazi per la preghiera e fornisce il vitto halal, secondo le regole musulmane. La fede nell’Islam serve a sopportare la detenzione. Molti condannano il terrorismo, ma c’è anche dell’altro....

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16 febbraio 2007 | Otto e Mezzo | reportage
Foibe, conflitto sulla storia
Foibe, conflitto sulla storia

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26 settembre 2012 | Uno Mattina | reportage
I lati oscuri (e assurdi) delle adozioni
Con mia moglie, prima di affrontare l’odissea dell’adozione, ci chiedevamo come mai gran parte delle coppie che sentono questa spinta d’amore andavano a cercare bambini all’estero e non in Italia. Dopo quattro anni di esperienza sulla nostra pelle siamo arrivati ad una prima, parziale e triste risposta. La burocratica e farraginosa gestione delle adozioni nazionali, grazie a leggi e cavilli da azzeccagarbugli, non aiutano le coppie che vogliono accogliere un bimbo abbandonato in casa propria, ma le ostacolano.

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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