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Articolo
02 agosto 2020 - Interni - Italia - Il Giornale |
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Rimpatri impossibili, serviranno almeno 8 mesi |
L\\\'ondata di arrivi dalla Tunisia, 5.357 migranti illegali, prima nazionalità e 39% degli sbarchi totali, non è un caso, come il flusso continuo dalla Libia. Prima il governo giallorosso ha calato le braghe con le navi delle Ong permettendo di sbarcare migranti infetti nonostante i porti fossero teoricamente chiusi per l\\\'emergenza covid. Poi ha sbandierato l\\\'abolizione dei decreti sicurezza del Conte 1, che verranno affossati in settembre. E alla fine la maggioranza ha mandato a processo Matteo Salvini, che aveva fermato i talebani dell\\\'accoglienza di Open arms quando era ministro dell\\\'Interno. Segnali chiari, che vengono recepiti in Tunisia, dove la crisi politica, sociale ed economica fa il resto e in Libia, come un via libera per imbarcarsi verso l\\\'Italia. Adesso che la situazione è fuori controllo i ministri dell\\\'Interno e degli Esteri cercano di correre ai ripari, ma è troppo tardi. Una dimostrazione è la chimera del rimpatrio dei tunisini, che ieri sul Corriere della sera, la responsabile del Viminale, Luciana Lamorgese, ha ipotizzato non solo via aerea, ma anche «con l\\\'utilizzo di navi per effettuare un numero consistente». Per ora la realtà è ben diversa: i rimpatri previsti esclusivamente via aerea erano fermi per il covid fino al 16 luglio. In questa data sono ripartiti, ma in tono minore, con quattro voli che hanno riportato appena 80 irregolari in patria. L\\\'ambasciata tunisina ha fatto sapere che il ritmo normale comincerà dal 6 agosto, ma non è chiaro quando si arriverà a regime con due voli settimanali di 80 rimpatriati ciascuno. Molti dei tunisini già arrivati si saranno dileguati, magari verso la Francia. Però solo calcolando i 5.357 giunti in Italia fino al 31 luglio, senza aggiungere quelli che arriveranno, si scopre che per riportarli a casa tutti sarebbero necessari 65 voli. A patto che siano pieni con gli 80 previsti a ogni rimpatrio. E ammesso che si mantenga il ritmo, improbabile, di due alla settimana riusciremmo a rimpatriare la prima ondata in 8 mesi finendo nel marzo del prossimo anno. «Le quote dei rimpatri via aerea concordate con la Tunisia non sono più realistiche ed efficaci. Appare evidente che occorre rivedere immediatamente gli accordi con la Tunisia, quadruplicando come minimo le quote settimanali dei clandestini da rimpatriare», osserva l\\\'ammiraglio in riserva, Nicola de Felice, dirigente leghista in Lazio. Ben prima delle navi citate da Lamorgese ha proposto che «i traghetti destinati dal ministro dell\\\'Interno per evacuare il centro di accoglienza di Lampedusa, siano direttamente indirizzati al mittente previo accordo tra i due governi, anche premendo sui rapporti commerciali e militari con l\\\'amica Tunisia». Ieri la Marina tunisina ha bloccato un barcone con a bordo 18 connazionali, fra i 17 e 32 anni, diretti verso l\\\'Italia. La crisi politica che paralizza la nascita di un nuovo governo non aiuta, ma Tunisi si è impegnata a trasferire due pattugliatori al largo di Sfax, da dove partono il grosso delle barche fantasma. La responsabile del Viminale a fine luglio si è recata a Tunisi incassando promesse dal governo, che però è paralizzato dalla crisi politica ed economica. A creare confusione ci ha pensato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che si è accorto, in ritardo, della situazione fuori controllo. Il responsabile della Farnesina ha annunciato la sospensione dello stanziamento di 6,5 milioni di euro della Cooperazione alla Tunisia. Poi ha annunciato che «vanno messi fuori uso i barconi», senza spiegare come e chi dovrebbe farlo, ma provocando nuove crepe nella maggioranza. E infastidendo il ministro dell\\\'Interno che stava trattando con Tunisi.
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[continua] |
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16 febbraio 2007 | Otto e Mezzo | reportage
Foibe, conflitto sulla storia
Foibe, conflitto sulla storia
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26 agosto 2023 | Tgcom24 | reportage
Emergenza migranti
Idee chiare sulla crisi dagli sbarchi alla rotta balcanica.
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05 febbraio 2015 | Porta a Porta | reportage
IN RICORDO DELLE FOIBE E L'ESODO LA PUNTATA DI PORTA A PORTA
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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento |
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo
I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti.
“Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale.
I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria.
Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa.
In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo.
“In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani.
Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.
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