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07 ottobre 2020 - Interni - Italia - Panorama
Preghiera con abuso
Fausto Biloslavo
Sono più di 200 i centri islamici in Lombardia, secondo i dati del Viminale. E’ la maggiore concentrazione regionale in Italia. “Ma nel 90% dei casi i luoghi di preghiera musulmani sono centri culturali “mascherati”, dove si pratica il culto islamico senza rispettare le norme. Un problema che non riguarda solo la Lombardia” spiega Pietro Foroni assessore regionale leghista al Territorio e Protezione civile. Dal 2016 la Regione ha chiesto più volte ai 1507 comuni lombardi un “censimento” dei centri islamici sul territorio. Ad oggi hanno risposto 875 amministrazioni, poco più della metà, e non è arrivato nulla da grandi città come Milano e Brescia. Le “segnalazioni” sono 85, sugli oltre 200 spazi stimati.
“I centri islamici nella nostra regione sono sicuramente di più rispetto a quelli segnalati. Ho scritto due volte ai comuni, ma non tutti rispondono - rivela Foroni a Panorama - E non lo fanno perchè salterebbe fuori una realtà di abusi ovvero di luoghi di preghiera in spazi che non sono a norma per il culto religioso”.
A livello nazionale gli ultimi dati del Viminale del 2019 registrano 1382 associazioni islamiche e 1068 vengono utilizzate come se fossero una moschea. Nel nostro paese, però, le vere moschee ufficiali con cupola e minareto sono solo cinque a Roma, Segrate, Ravenna, Colle Val D’Elsa e Forlì. La maggioranza dei centri islamici, 840, si trova la Nord altri 262 sono al centro e 279 al Sud. Sul totale delle associazioni 44 sono di origine salafita “le più intransigenti e radicali sulle quali c\'è un attento monitoraggio”.
Le comunità islamiche in assenza di un riconoscimento normativo come luoghi di culto spesso operano in capannoni adibiti a funzioni commerciali, negozi, garage, appartamenti, sottoscale, scantinati, palestre, spazi che talvolta non sono idonei ad ospitare un ampio numero di persone. Non mancano i problemi con i condomini e la cittadinanza per il rumore, il traffico ed i parcheggi.
“E’ indubbio che ci sono molti centri islamici border line. Bisogna rispettare un principio normativo uguale per tutti evitando però rigide forme di chiusura” sottolinea Massimo AbdAllah Cozzolino, segretario generale della Confederazione Islamica italiana. “Da una parte non bisogna abusare o sovvertire principi urbanistici e consentire che sorgano centri come funghi, ma nel contesto delle regole si deve poter pregare con gli opportuni cambi di destinazione d’uso dei locali - osserva il convertito italiano - La famosa legge lombarda anti moschee ha portato le associazioni islamiche a trovare strade legali per far valere i propri diritti riguardanti la libertà di culto”.
A Milano sono stati regolarizzati 4 centri di preghiera in Via Padova, la “moschea” di via Gonin in zona Lorenteggio/Giambellino il centro di Via Quaranta e di via Maderna. “Però sono una dozzina i luoghi di culto islamici illegali ricavati in edifici dove non ci sono i requisiti. E vogliono edificare tre nuove moschee in via Esterle, Novara e Marignano” denuncia Riccardo De Corato assessore regionale alla Sicurezza, Immigrazione e Polizia locale di Fratelli d’Italia.
Una delle “moschee” abusive con un lungo braccio di ferro con l’amministrazione è quella dell’Associazione culturale Al Nur di via Carissimi. Il convertito italiano, Nicola Ferrara, adepto della guerra santa, arrestato in luglio adescava all’esterno del centro islamico in mano ai bengalesi giovani minorenni per circuirli con la Jihad.
“Il continuo emergere di centri islamici, molti dei quali irregolari, che vengono poi utilizzati come luoghi di preghiera e in alcuni casi anche per propaganda ideologico-politica di stampo islamista, sono un serio problema per la sicurezza e l\'ordine pubblico. Diversi predicatori radicali e soggetti pericolosi vicini al jihadismo sono transitati per questi posti” dichiara a Panorama, Giovanni Giacalone, analista del centro studi britannico Itct sul terrorismo islamico.
Fra le 85 segnalazioni della mappa lombarda dei centri islamici non mancano Cremona e Motta Baluffi. Nell’aprile dello scorso anno è stato espulso “per motivi di sicurezza nazionale” l’imam kosovaro Naser Baftija che era stato attivo nel centro islamico cremonese La Speranza, oltre che a Mantova e diverse luoghi di culto nel bolognese. In Emilia Romagna ci sarebbero 176 centri islamici compresi i 48 a Bologna e provincia. Baftija risiedeva in Italia grazie ad un permesso di protezione umanitaria e presso l’Associazione kosovara di Motta Baluffi aveva tenuto sermoni pure Bilal Bosnic, referente dell’Isis, che oggi sconta una condanna per terrorismo di 7 anni in Bosnia.
Non ha a che fare con il terrorismo, ma un’altra segnalazione della mappa regionale riguarda il centro islamico di Cologno Monzese, dove l’imam, che parla rigorosamente in arabo, si fa riprendere in ripetuti video con occhiali scuri e tunica musulmana. Da Cologno erano partiti per combattere contro il regime di Damasco almeno tre volontari siriani.
A Legnano la locale associazione islamica raggruppa sempre più fedeli arrivando a 1500 persone per la cerimonia della fine del Ramadan, il mese sacro di digiuno. A Castano Primo, in provincia di Milano, l’Associazione culturale Madni di impronta pachistana insegna l’urdu ai più giovani. Il 7 dicembre scorso ha postato con orgoglio sulla sua pagina Facebook la sentenza della Corte costituzionale, che accusava le norme lombarde di avere \"limitato irragionevolmente la libertà di culto”. Proprio un ricorso dell’associazione pachistana ha provocato la sentenza della Corte. A Saronno il Centro culturale islamico “è uno dei complessi più importanti e meglio organizzati del Nord Italia”. A Gallarate non si ferma il braccio di ferro fra il Centro islamico di via Pacinotti e il sindaco leghista Andrea Cassani su permessi e preghiere. A Giussano ha sollevato polemiche l’assembramento di un centinaio di musulmani in tunica tradizionale per la festa islamica del Sacrificio senza il distanziamento anti covid. Ad Airuno, in provincia di Lecco, l’Associazione culturale Ahlachia cercava una nuova sede. L’assessore comunale, Claudio Rossi, ha dichiarato:  “Non siamo contrari a priori, purché non diventi uno spazio riservato alla preghiera “mascherato” da centro culturale”.
Nella provincia di Brescia la mappa regionale registra 24 centri islamici, di fatto luoghi di culto. Secondo uno studio di Michele Groppi, docente associato all’Accademia della Difesa del Regno Unito, “sebbene a Roma e Milano risieda un numero maggiore di cittadini islamici, in rapporto al numero dei propri abitanti, è Brescia la realtà più musulmana d’Italia” con 70mila persone da 30 paesi diversi, il 6% di popolazione. Il 21 settembre, il Centro culturale di via Corsica aderiva alla “Giornata europea contro l’islamofobia” sostenendo che l’Italia è ai primi posti in classifica come “parole d’odio” nei confronti dei musulmani. Groppi che studia sul terreno le “sacche” musulmane d’Italia spiega a Panorama, che “i  miei dati non comprendono gli irregolari che pure frequentano i luoghi di culto. Un centro islamico di Verona che era tradizionalmente a trazione maghrebina si è trasformato quest’anno con una maggioranza di africani del Niger, Mali e Gambia, quasi tutti migranti arrivati da poco”.
[continua]

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23 aprile 2012 | Premio Lago | reportage
Il premio Giorgio Lago: Arte, impresa, giornalismo, volontariato del Nord Est
Motivazione della Giuria: Giornalista di razza. Sempre sulla notizia, esposto in prima persona nei vari teatri di guerra del mondo. Penna sottile, attenta, con un grande amore per la verità raccontata a narrare le diverse vicende dell’uomo.

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07 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Parla il sopravvissuto al virus
Fausto Biloslavo TRIESTE - Il sopravvissuto sta sbucciando un’arancia seduto sul letto di ospedale, come se non fosse rispuntato da poco dall’anticamera dell’inferno. Maglietta grigia, speranza dipinta negli occhi, Giovanni Ziliani è stato dimesso mercoledì, per tornare a casa. Quarantadue anni, atleta e istruttore di arti marziali ai bambini, il 10 marzo ha iniziato a stare male nella sua città, Cremona. Cinque giorni dopo è finito in terapia intensiva. Dalla Lombardia l’hanno trasferito a Trieste, dove un tubo in gola gli pompava aria nei polmoni devastati dall’infezione. Dopo 17 giorni di calvario è tornato a vivere, non più contagioso. Cosa ricorda di questa discesa all’inferno? “Non volevo dormire perchè avevo paura di smettere di respirare. Ricordo il tubo in gola, come dovevo convivere con il dolore, gli sforzi di vomito ogni volta che cercavo di deglutire. E gli occhi arrossati che bruciavano. Quando mi sono svegliato, ancora intubato, ero spaventato, disorientato. La sensazione è di impotenza sul proprio corpo. Ti rendi conto che dipendi da fili, tubi, macchine. E che la cosa più naturale del mondo, respirare, non lo è più”. Dove ha trovato la forza? “Mi sono aggrappato alla famiglia, ai valori veri. Al ricordo di mia moglie, in cinta da otto mesi e di nostra figlia di 7 anni. Ti aggrappi a quello che conta nella vita. E poi c’erano gli angeli in tuta bianca che mi hanno fatto rinascere”. Gli operatori sanitari dell’ospedale? “Sì, medici ed infermieri che ti aiutano e confortano in ogni modo. Volevo comunicare, ma non ci riuscivo perchè avevo un tubo in gola. Hanno provato a farmi scrivere, ma ero talmente debole che non ero in grado. Allora mi hanno portato un foglio plastificato con l’alfabeto e digitavo le lettere per comporre le parole”. Il momento che non dimenticherà mai? “Quando mi hanno estubato. E’ stata una festa. E quando ero in grado di parlare la prima cosa che hanno fatto è una chiamata in viva voce con mia moglie. Dopo tanti giorni fra la vita e la morte è stato un momento bellissimo”. Come ha recuperato le forze? “Sono stato svezzato come si fa con i vitellini. Dopo tanto tempo con il sondino per l’alimentazione mi hanno somministrato in bocca del tè caldo con una piccola siringa. Non ero solo un paziente che dovevano curare. Mi sono sentito accudito”. Come è stato infettato? “Abbiamo preso il virus da papà, che purtroppo non ce l’ha fatta. Mio fratello è intubato a Varese non ancora fuori pericolo”. E la sua famiglia? “Moglie e figlia di 7 anni per fortuna sono negative. La mia signora è in attesa di Gabriele che nascerà fra un mese. Ed io sono rinato a Trieste”. Ha pensato di non farcela? “Ero stanco di stare male con la febbre sempre a 39,6. Speravo di addormentarmi in terapia intensiva e di risvegliarmi guarito. Non è andata proprio in questo modo, ma è finita così: una vittoria per tutti”.

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21 settembre 2012 | La Vita in Diretta | reportage
Islam in Italia e non solo. Preconcetti, paure e pericoli


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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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