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Intervista
07 ottobre 2020 - Il Fatto - Italia - Il Giornale
“Saremo la calamita degli arrivi illegali”
«Il nuovo decreto immigrazione farà da calamita per gli arrivi dei migranti illegali». Non ha dubbi l\'ammiraglio della riserva, Nicola De Felice, in servizio fino al dicembre 2018 come comandante per la Marina militare per la regione Sicilia. L\'ex alto ufficiale fa parte del direttivo della Lega in Lazio e conosce bene la crisi dei migranti sul fronte del mare. Nell\'intervista al Giornale parla senza peli sulla lingua.
Con il nuovo decreto le navi delle Ong troveranno i porti definitivamente aperti?
«Purtroppo sì. Ed i trafficanti di esseri umani individueranno nell\'Italia il ventre molle dell\'Europa. Gli scafisti non sono dei fessi e sanno bene cosa accade in Italia a cominciare dalla cancellazione dei decreti sicurezza di Matteo Salvini. Il risultato è che dai flussi principali dell\'Africa, via Libia e Tunisia, ma pure sul fronte della rotta balcanica i trafficanti convoglieranno sempre più la loro merce umana verso l\'Italia».
Le multe alle Ong da quasi 1 milione di euro sono state drasticamente ridotte ad un massimo di 50mila, ma di fatto saranno inapplicabili. Cosa ne pensa?
«È una presa in giro. Le Organizzazione non governative incrementeranno le loro attività in mare. Altre Ong scenderanno in campo e la loro presenza davanti alle coste libiche continuerà ad essere un fattore di attrazione per i gommoni pieni di migranti illegali. L\'unico ostacolo a venire in Italia sarà il maltempo. Dopo il periodo invernale, già in primavera, si registrerà un movimento importante di navi delle Ong. Non saranno facilitate solo dal nuovo decreto immigrazione, ma pure da alcuni degli stati di bandiera come la Germania, che ha addirittura chiesto di togliere i fermi amministrativi applicati dalla Guardia costiera. Ci sarà un boom delle Ong in mare».
La Guardia costiera cerca di fermare le navi delle Organizzazioni non governative, che non sono omologate per il soccorso. Adesso sarà più difficile?
«Grazie al decreto le Ong si sentiranno ancora più superiori alla legge. Non dimentichiamo che già prima hanno infranto norme internazionali e italiane. Senza rispettare mai il fatto che il paese responsabile dei migranti che hanno a bordo non è quello del primo approdo, più vicino, ma lo stato di bandiera come la Germania per Sea watch, la Norvegia per Ocean Viking e la Spagna per Open arms. La Guardia costiera, dopo la scelta politica del nuovo decreto immigrazione, si sentirà sicuramente frenata nell\'applicare il regolamento».
Il nuovo decreto torna ad allargare le maglie per l\'asilo e altre forme di protezione. Come giudica questa marcia indietro?
«Il fattore di attrazione non sarà solo la nave delle Ong, ma la stessa Italia. Il nuovo decreto farà da calamita per i migranti illegali. Il nostro paese diventerà ancora più attraente per i trafficanti con un effetto disgraziatissimo per gli italiani».
Con il decreto aumenteranno i costi dell\'immigrazione?
«Certo che aumenteranno perché si dovranno riorganizzare gli Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati nda) e il sistema di accoglienza diffusa. Il tutto rilancerà il business delle cooperative».
I tunisini sono la prima nazionalità dei migranti sbarcati in Italia quest\'anno in maniera autonoma. Come si fermano?
«Non basta un blocco navale, ma bisogna effettuare un pattugliamento misto italo-tunisino nelle loro acque territoriali. Per realizzarlo va stipulato un accordo con la Tunisia mettendo in gioco la Marina militare, la Guardia costiera e la Guardia di Finanza. L\'attività di sorveglianza va fatta nelle acque territoriali tunisine fermando i barchini che partono sempre dagli stesse località sulla costa, che ben conosciamo, riportando indietro i migranti illegali».
FBil

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07 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Parla il sopravvissuto al virus
Fausto Biloslavo TRIESTE - Il sopravvissuto sta sbucciando un’arancia seduto sul letto di ospedale, come se non fosse rispuntato da poco dall’anticamera dell’inferno. Maglietta grigia, speranza dipinta negli occhi, Giovanni Ziliani è stato dimesso mercoledì, per tornare a casa. Quarantadue anni, atleta e istruttore di arti marziali ai bambini, il 10 marzo ha iniziato a stare male nella sua città, Cremona. Cinque giorni dopo è finito in terapia intensiva. Dalla Lombardia l’hanno trasferito a Trieste, dove un tubo in gola gli pompava aria nei polmoni devastati dall’infezione. Dopo 17 giorni di calvario è tornato a vivere, non più contagioso. Cosa ricorda di questa discesa all’inferno? “Non volevo dormire perchè avevo paura di smettere di respirare. Ricordo il tubo in gola, come dovevo convivere con il dolore, gli sforzi di vomito ogni volta che cercavo di deglutire. E gli occhi arrossati che bruciavano. Quando mi sono svegliato, ancora intubato, ero spaventato, disorientato. La sensazione è di impotenza sul proprio corpo. Ti rendi conto che dipendi da fili, tubi, macchine. E che la cosa più naturale del mondo, respirare, non lo è più”. Dove ha trovato la forza? “Mi sono aggrappato alla famiglia, ai valori veri. Al ricordo di mia moglie, in cinta da otto mesi e di nostra figlia di 7 anni. Ti aggrappi a quello che conta nella vita. E poi c’erano gli angeli in tuta bianca che mi hanno fatto rinascere”. Gli operatori sanitari dell’ospedale? “Sì, medici ed infermieri che ti aiutano e confortano in ogni modo. Volevo comunicare, ma non ci riuscivo perchè avevo un tubo in gola. Hanno provato a farmi scrivere, ma ero talmente debole che non ero in grado. Allora mi hanno portato un foglio plastificato con l’alfabeto e digitavo le lettere per comporre le parole”. Il momento che non dimenticherà mai? “Quando mi hanno estubato. E’ stata una festa. E quando ero in grado di parlare la prima cosa che hanno fatto è una chiamata in viva voce con mia moglie. Dopo tanti giorni fra la vita e la morte è stato un momento bellissimo”. Come ha recuperato le forze? “Sono stato svezzato come si fa con i vitellini. Dopo tanto tempo con il sondino per l’alimentazione mi hanno somministrato in bocca del tè caldo con una piccola siringa. Non ero solo un paziente che dovevano curare. Mi sono sentito accudito”. Come è stato infettato? “Abbiamo preso il virus da papà, che purtroppo non ce l’ha fatta. Mio fratello è intubato a Varese non ancora fuori pericolo”. E la sua famiglia? “Moglie e figlia di 7 anni per fortuna sono negative. La mia signora è in attesa di Gabriele che nascerà fra un mese. Ed io sono rinato a Trieste”. Ha pensato di non farcela? “Ero stanco di stare male con la febbre sempre a 39,6. Speravo di addormentarmi in terapia intensiva e di risvegliarmi guarito. Non è andata proprio in questo modo, ma è finita così: una vittoria per tutti”.

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03 febbraio 2012 | UnoMattina | reportage
Il naufragio di nave Concordia e l'allarme del tracciato satellitare


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18 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
L'Islam nelle carceri
Sono circa 10mila i detenuti musulmani nelle carceri italiane. Soprattutto marocchini, tunisini algerini, ma non manca qualche afghano o iracheno. Nella stragrande maggioranza delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre. Ma il pericolo del radicalismo islamico è sempre in agguato. Circa 80 detenuti musulmani con reati di terrorismo sono stati concentrati in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano. Queste immagini esclusive mostrano la preghiera verso la Mecca nella sezione di Alta sicurezza 2 del carcere sardo di Macomer. Dove sono isolati personaggi come il convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari nel 2008 e Adel Ben Mabrouk uno dei tre tunisini catturati in Afghanistan, internati a Guantanamo e mandati in Italia dalla Casa Bianca. “Ci insultano per provocare lo scontro dandoci dei fascisti, razzisti, servi degli americani. Una volta hanno esultato urlando Allah o Akbar, quando dei soldati italiani sono morti in un attentato in Afghanistan” denunciano gli agenti della polizia penitenziaria. Nel carcere penale di Padova sono un centinaio i detenuti comuni musulmani che seguono le regole islamiche guidati dall’Imam fai da te Enhaji Abderrahman Fra i detenuti comuni non mancano storie drammatiche di guerra come quella di un giovane iracheno raccontata dall’educatrice del carcere Cinzia Sattin, che ha l’incubo di saltare in aria come la sua famiglia a causa di un attacco suicida. L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione degli spazi per la preghiera e fornisce il vitto halal, secondo le regole musulmane. La fede nell’Islam serve a sopportare la detenzione. Molti condannano il terrorismo, ma c’è anche dell’altro....

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radio

27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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