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Reportage
25 agosto 2021 - Copertina - Afghanistan - Panorama
I veri obiettivi del nuovo emirato islamico
“L’esercito ha ricevuto ordini dall’alto di non combattere”. Il lapidario messaggio via whatsapp arriva la mattina presto del 15 agosto quando ancora non si immagina che i talebani possano entrare a Kabul senza sparare un colpo. Lo invia dalla capitale Mohamma di Aljad, capitano dei corpi speciali che combatte da mesi nell’inutile tentativo di arginare l’avanzata dei seguaci dell’Emirato islamico. Gli rispondo che “non è possibile”, ma poche ore dopo le prime avanguardie talebane entrano a Kabul. Il capitano, che parla bene italiano, si è formato all’accademia militare di Modena nel corso “Coraggio”. Dopo la disfatta ha dovuto nascondersi in un pozzo per sfuggire ai talebani che avevano messo una taglia sulla sua testa. “Cercano tutti gli ufficiali che si sono addestrati all’estero. Prima ti torturano per ottenere informazioni sui paesi della Nato dove siamo stati per anni - racconta Aljad - Poi ti uccidono”. Qualche giorno dopo il “nostro” ufficiale è riuscito con grande difficoltà a raggiungere l’aeroporto per venire evacuato in Italia.
I NUOVI TALEBANI
In una guerra lampo di nove giorni, 75mila talebani, quattro volte di meno rispetto ai numeri sulla carta dell’esercito afghano hanno conquistato 34 capoluoghi provinciali in un paese grande due volte l’Italia proclamando il secondo Emirato islamico a Kabul (il primo era durato dal 1996 al 2001). Una Caporetto, 20 anni dopo l’11 settembre, grazie al tradimento del presidente afghano Ashraf Ghani fuggito con la cassa, l’appoggio agli insorti dei pachistani e l’avallo sottobanco degli americani che volevano solo andarsene ma sono sprofondati in un nuovo Vietnam, un mese e mezzo dopo il ritiro dell’ultimo soldato italiano da Herat.
Ma chi sono i talebani di oggi? I combattenti più giovani portano sempre il turbante, ma amano le sneakers, le scarpe da ginnastica che vanno di moda fra i giovani occidentali. Davanti alle telecamere si presentano con il volto buono di insorti islamici evoluti, che imporrano la loro versione della sharia, la legge del Corano, ma non faranno del male a nessuno. I filmati girati di nascosto con i telefonini a Kabul mostrano un’altra storia: file di afghani rastrellati, faccia al muro e picchiati con le mani legate dietro alla schiena. Altre immagini durante l’avanzata hanno fatto vedere funzionari impiccati ai posti di confine conquistati o soldati falciati a raffiche di mitra dopo essersi arresi. Oltre ai tagli delle mani per i ladri e frustate alle donne per qualche minimo screzio.
I talebani, però, sanno anche essere magnanimi: “Sono in coda con gli altri soldati per ottenere la grazia firmata su un foglietto, che mi permetta di tornare a casa” raccontava un militare dopo la caduta di Kunduz, strategica città del nord. Un intero corpo di armata si è arreso, come da altre parti, grazie ai talebani 2.0. “Nessuna provincia è caduta in combattimento, ma come risultato della guerra  psicologica” ha ammesso il generale Abbas Tawakoli, comandate del 217° corpo d’armata. Il sistema è semplice: i talebani filmano con i telefonini gli attacchi e poi le capitolazioni facendo girare i video sui social. Chi resiste senza appoggio areo e rifornimenti li vede e gli ufficiali ricevono su whatsapp messaggi, che non lasciano alternative: “Arrenditi o muori”.
Non c’è mai troppo sangue come i tagliagole dell’Isis, ma i brevi video sono abbastanza forti, con spiegamento di colonne di blindati o arsenali sequestrati, da far pensare che le bandiere bianche con le scritte nere del Corano sono invincibili. Il resto  è effetto domino.
Uno degli strateghi della “guerra” psicologica e della propaganda mediatica è Zabehullah Mujahed, il portavoce dei talebani, che  il 17 agosto si è presentato al mondo nella prima conferenza stampa a Kabul. Quando gli hanno domandato cosa pensa della censura ha risposto: “Chiedetelo a Facebook”. Nel primo Emirato le foto erano proibite, ma adesso i talebani si mettono in posa facendosi intervistare dalle giornaliste. Due anni fa ho “conosciuto” telefonicamente il megafono dei talebani iniziando la conversazione con “salaam Aleikum”, la pace sia con te. Zabehullah con qualche parola anche in inglese aveva concluso spiegando che  “negli ultimi 40 anni abbiamo sacrificato milioni di afghani per la Jihad e la legge islamica. Non accetteremo mai le idee e la democrazia occidentali”.
VECCHI E NUOVI CAPI
I vertici talebani sono un miscuglio di nuove e vecchie leve. Il primo pezzo grosso ad essere rientrato il 17 agosto a Kandahar, la “capitale” spirituale dei talebani nel sud dell’Afghanistan, è mullah Abdul Ghani Baradar. Da giovanissimo combattè contro i sovietici e nel 2001 dopo il crollo del primo Emirato sotto le bombe dei B-52 americani fece fuggire dall’Afghanistan in motocicletta il leader guercio dei talebani, mullah Omar. Se Baradar, che significa “fratello” è il numero due, l’ \\\\\\\"Ameer-ul-momineen\\\\\\\", il “comandante dei fedeli” alla guida dei talebani, Hibatullah Akhundzad, sui 60 anni, è pure della vecchia guardia. Poco combattente e figlio di un teologo, è stato indebolito dal Covid. Le giovani leve che scalpitano sono il misterioso figlio di mullah Omar, il trentenne Mohammed Yaqoob, laureato a Karachi a capo del comitato militare dallo scorso anno, che ha portato alla vittoria l’armata talebana. Un altro “giovane” è Sirajuddin Haqqani, figlio di Jalaluddin, leggendario comandante della guerra santa contro i sovietici. Super ricercato dalla Nato è a capo della rete terroristica Haqqani, che ha messo a segno gli attentati suicidi più devastanti in Afghanistan. Nella cupola talebana, fino al 15 agosto in esilio in Qatar, ci sono anche ex prigionieri di Guantanamo come Mullah Norullah Noori che ha passato 12 anni nel carcere americano a Cuba.
LE DONNE SONO TERRORIZZATE
“A tutte le persone che ascoltano la mia voce ho paura e sono sconvolta. Con mio marito, che ha fatto l’interprete per i vostri soldati, non possiamo uscire e andare al lavoro. Non mi sento più libera. Per favore aiutateci. Io amo vivere, vi prego datemi il diritto di vivere” è il messaggio vocale ricevuto da Panorama di una donna di Herat dopo la conquista dei talebani. Un audio dell’ emiro che ha fatto cadere la prima città, Zaranj, annuncia che le vedove “possono venire sposate dai mujaheddin” e le più giovani sono anche a rischio. Le donne, soprattutto fuori Kabul, sono terrorizzate di finire schiave del sesso e costrette a indossare il burqa. S., una coraggiosa attivista che ha lavorato con “le soldatesse italiane ad Herat ai programmi per i diritti femminili” il 18 agosto si nascondeva a Kabul in attesa dell’evacuazione. “Sono vicini. Hanno la lista con il mio nome. Erano già andati a casa mia ad Herat distruggendo porte e finestre - racconta l’eroina afghana - Vi mando una foto che ho scattato di nascosto dei talebani armati in strada che cominciano le perquisizioni. Non sono cambiati è solo facciata. Rimangono buoni amici di Al Qaida”.
LA RETE DEL TERRORE
I talebani non ripeteranno l’errore di ospitare un nuovo Osama bin Laden, ma ci sono ancora 400-600 terroristi dello sceicco del terrore, al loro fianco. Ben 21 gruppi terroristici che operano a cavallo fra Afghanisatn e Pakistan arruolano volontari stranieri a cominciare da 6mila pachistani e alcune centinaia provenienti dal Bangladesh, Cina, India e Myanmar.
“Il 15 agosto, la caduta di Kabul, peggio di Saigon, rimarrà un evento simbolico che farà da volano alla Jihad transnazionale” spiega l’ex generale Giorgio Battisti, veterano dell’Afghanistan. Non è un caso che le prime congratulazioni al nuovo Emirato talebano siano arrivate dai palestinesi di Hamas, “per la sconfitta dell’occupazione americana”, dai terroristi somali di Al Shabaab e dalla costola mediatica di Al Qaida.
OPPIO E GEOPOLITICA
I talebani hanno finanziato 20 anni di guerra con i dazi che incassano dal passaggio dei camion carichi di oppio diretti verso il Pakistan dove viene raffinato in eroina per poi arrivare in Occidente. Il 90%% dell’eroina mondiale arriva dall’Afghanistan. La Nato non ha mai fermato le coltivazioni e nel 2017 si era registrata la produzione record di 9mila tonnellate di oppio. In realtà i talebani sono sempre stati contrari alla droga  e adesso che avranno nuovi introiti come Stato e aiuti dall’estero hanno annunciato che “l\\\\\\\'Afghanistan non sarà più il centro della coltivazione del papavero da oppio o del traffico di stupefacenti”, come fecero realmente nel primo Emirato.
La coalizione internazionale ha speso 88,32 miliardi di dollari per le forze di sicurezza afghane e la polizia, che si sono sciolte come neve al sole. I talebani hanno potenziato il loro arsenale conquistando le basi con tutti i mezzi e le armi intatte. Alcune foto dimostrano che stanno già mandano blindati anti mine americani di ultima generazione in Pakistan per venderli o copiarne la tecnologia. Un traffico di armi mirato di materiale bellico altamente qualificato, in molti casi utilizzato poco e abbandonato dai governativi.
Sul piano geopolitico i talebani  hanno sparigliato le carte del “grande gioco” stringendo accordi con russi e cinesi, che sono le uniche potenze ad avere mantenuto le ambasciate aperte a Kabul. A Mosca il Lawrence d’Afghanistan russo è l’inviato speciale del presidente Putin. Non poteva che chiamarsi Kabulov e di nome Zamir Nabiyevich. Quando l’ho incontrato mi raccontava che aveva iniziato come giovanissimo interprete di Leonid Breznev durante l’invasione dell’Afghanistan del 1979. Kabulov aveva già previsto tutto: “Gli occidentali hanno già commesso tutti gli errori che avevamo compiuto noi, ma ne stanno facendo di nuovi”. In luglio mullah Baradar si è fatto fotografare, come un capo di stato in visita ufficiale, a fianco del ministro degli Esteri cinese Wang Yi. E durante l’avanzata su Kabul è sempre rimasto in contatto con Pechino.
L’ULTIMA RESISTENZA
Non tutto l’Afghanistan è sotto controllo talebano. L’indomita valle del Panjsher, a nord di Kabul, è l’ultima ridotta della resistenza. Ahmad Massoud è il figlio del leggendario comandante che ha combattuto contro i sovietici ed i talebani nella stessa valle. Nel Panjsher è arroccato con la sua milizia taijka, alcuni comandati militari e battaglioni dell’esercito che non hanno ceduto le armi. Al suo fianco il vice di Ghani, Amrullah Saleh, ex capo dei servizi segreti, che il 17 agosto si è autoproclamato presidente ad interim dell’Afghanistan.
Oltre alla vergogna della disfatta in stile Vietnam, soprattutto l’Europa, si troverà di fronte nei prossimi mesi ad un’ondata migratoria dall’Afghanistan come quella siriana che ha portato 850mila rifugiati lungo la rotta balcanica. Nelle ultime settimane al confine di Van fra Turchia e Iran già arrivavano 1000 afghani al giorno, cinque volte di più rispetto all’anno precedente.
“Ogni regime che cambia porta speranze e dubbi. Questo, il quinto che vedo, non fa eccezione - risponde a Panorama da Kabul, Alberto Cairo, veterano della Croce rossa internazionale - può finalmente segnare la fine della guerra, ma garantirà le libertà che molta gente  chiede? Solo il tempo saprà rispondere”.
Fausto Biloslavo

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19 settembre 2009 | TG5 Speciale - Canale 5 | reportage
Morire per Kabul
Dopo l'attentato che è costato la vita a sei paracadutisti della Folgore ci si interroga sulla missione in Afghanistan. Se valeva la pena morire per Danzica lo stesso discorso va fatto per Kabul.

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10 ottobre 2010 | Domenica Cinque | reportage
In guerra si muore: 4 penne nere cadute in battaglia
Furiosa battaglia in Af­ghanistan: i talebani tendo­no un'imboscata ad un con­voglio italiano nella famige­rata valle del Gulistan. L'obiettivo è spingere i blin­dati verso una o più trappole esplosive piazzate dagli in­sorti. Un «Lince» salta in aria uccidendo sul colpo quattro penne nere e ferendo un quinto alpino. I soccorsi rie­s­cono a mettere in salvo l'uni­co sopravvissuto, sotto il fuo­co degli insorti. La trappola esplosiva ha ucciso Gianmar­co Manca, Francesco Van­nozzi, Sebastiano Ville e Mar­co Pedone, tutti del 7˚ reggi­mento alpini della brigata Ju­lia, di stanza a Belluno.

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07 giugno 2010 | Porta a Porta | reportage
Un servizio sulle guerre di pace degli italiani
Le “guerre” di pace degli italiani sono iniziate nel 1982, con la prima importante missione all’estero nel martoriato Libano, dopo il conflitto fra israeliani e palestinesi. Oggi sono quasi diecimila i soldati italiani impegnati nel mondo in venti paesi. Oltre alla baionette svolgiamo un apprezzato intervento umanitario a favore della popolazione. Dall’Africa, ai Balcani, al Medio Oriente, fino all’Afghanistan non sempre è una passeggiata per portare solo caramelle ai bambini. Nel 1991, durante la guerra del Golfo, un caccia bombardiere italiano è stato abbattuto dalla contraerea irachena. Il pilota Gianmarco Bellini ed il navigatore Maurizio Cocciolone sono rimasti per 45 giorni nelle cupe galere di Saddam Hussein. Quella in Somalia, è stata una missione sporca e dura, macchiata da casi isolati di torture e maltrattamenti. Al check point Pasta, a Mogadiscio, i paracadutisti della Folgore hanno combattuto la prima dura battaglia in terra d’Africa dopo la seconda guerra mondiale. Alla fine del conflitto etnico siamo intervenuti a pacificare la Bosnia. Per il Kosovo, nel 1999, l’aeronautica militare ha bombardato i serbi effettuando 3mila sortite. Una guerra aerea di cui non si poteva parlare per opportunità politiche. Dopo l’11 settembre i focolai di instabilità sono diventati sempre più insidiosi, dall’Iraq all’Afghanistan. Nel 2003, con la missione Antica Babilonia a Nassiryah, i nostri soldati sono rimasti coinvolti nelle battaglie dei ponti contro i miliziani sciiti. In sole 24 ore gli italiani hanno sparato centomila colpi. Siamo sbarcati di nuovo in Libano dopo il conflitto fra Israele ed Hezbollah, ma la nostra vera trincea è l’Afghanistan. Con i rinforzi previsti per l’estate arriveremo a 4mila uomini per garantire sicurezza nella parte occidentale del paese, grande come il Nord Italia, al confine con l’Iran. Herat, Bala Murghab, Farah, Bala Baluk, Bakwa, Shindad sono i nomi esotici e lontani dove fanti, alpini, paracadutisti combattono e muoiono in aspri scontri e imboscate con i talebani o attentati. Dal 1982, nelle nostre “guerre” di pace, sono caduti 103 soldati italiani.

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14 luglio 2011 | Nuova Spazio Radio | intervento
Afghanistan
Si può vincere questa guerra?
Dopo la morte in combattimento dell'ultimo parà della Folgore, fino a quanto dovremo restare in Afghanistan? Almeno fino a quando gli afghani riusciranno a garantirsi da soli la sicurezza, altrimenti caliamo le braghe e la diamo vinta ai talebani. Per sconfiggerli non basta la forza delle armi.

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12 settembre 2002 | Radio 24 Nove in punto | reportage
Afghanistan
Afghanistan un anno dopo/3
Un anno dopo l'11 settembre ed il crollo dei talebani il problema delle coltivazioni di papavero e del traffico di oppio

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10 giugno 2005 | Radio 24 | intervento
Afghanistan
Kabul: la liberazione di Clementina Cantoni
Partiamo parlando della liberazione, in Afghanistan, della cooperante italiana Clementina Cantoni. Cerchiamo di capire, a poche ore dalla notizia, quali richieste dei sequestratori possono essere state accolte e quali i restroscena del rapimento e del rilascio. Ne discutiamo con Fausto Biloslavo, inviato a Kabul per Il Giornale e con Alberto Cairo della Croce Rossa Internazionale nella capitale afghana.

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31 gennaio 2005 | Radio 24 | reportage
Afghanistan
Elezioni e battaglie in Iraq
Domenica 30 gennaio è per molti una data di cesura tra il vecchio e il nuovo Iraq. Le prime elezioni democratiche per il paese mediorientale rappresentano un deciso cambio di contesto per quella regione. Non tutti però concordano in una visione così ottimista dello sviluppo della crisi irachena. A poche ore dal voto ci colleghiamo con l'Iraq con Alberto Negri, inviato de Il Sole24Ore, e Fausto Biloslavo, a Baquba per Il Giornale.

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04 gennaio 2012 | Radio24 | intervento
Afghanistan
Parlano le armi sussurrano le diplomazie


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