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Reportage
27 marzo 2024 - Esteri - Mar Rosso - Panorama
Missione Mar Rosso
MAR ROSSO - “Allarme rosso di minaccia aerea. Lancio missilistico riportato da unità della coalizione” tuona una voce ferma e chiara dall’altoparlante di nave Caio Duilio al largo dello Yemen. I marinai reagiscono in automatico, senza panico, tirando fuori dal “kit anti flash”, una sacchetta nera che a bordo tutti devono portarsi appresso, il balaclava per coprirsi dalla testa al collo e guanti fino al gomito. Protezioni di materiale ignifugo che serve a ripararti da vampate di calore scaturite dalle fiamme di un incendio provocato da un ordigno che centrasse la nave.  
I miliziani Houti filo iraniani hanno lanciato un missile dalla zona del porto e base navale di Hodeidah, verso il Mar Rosso, dove minacciano e intralciano il traffico mercantile lungo la via giugulare che porta al canale di Suez.
Il cacciatorpediniere multiruolo Duilio con 230 uomini e donne di equipaggio è salpato il  27 gennaio da La Spezia e da 11 giorni di fila è in mare per scortare le navi commerciali. Dal 2 marzo l’unità della Marina ha abbattuto tre droni lanciati dagli Houti, la prima azione di combattimento in mare, per autodifesa, dal secondo conflitto mondiale. A bordo il contrammiraglio Stefano Costantino è il comandate tattico e operativo della missione europea Aspides (scudo), che difende la libertà di navigazione, con alte tre unità l’Hessen tedesca, la francese Alsace e la greca Hydra.
Dal 19 novembre a metà marzo sono stati 117 gli attacchi dallo Yemen a navi militari e mercantili, come rappresaglia per la guerra a Gaza. Gli Houti hanno sequestrato due navi e colpito 23 unità costringendo alcune alla deriva dopo essere state evacuate dagli equipaggi. L’unica affondata, per ora, è l’inglese Rubymar. La prua spunta dal mare come tragico monito. La guerra degli Houti contro Israele, allargata a Stati Uniti e Inghilterra, che bombardano i siti dei missili e dei droni nel nord dello Yemen, ha dimezzato il traffico attraverso Suez da 75 navi in media ogni settimana alle 38 di oggi. Ancora peggio il dato del passaggio per lo stretto di Bab el Mandeb, che divide lo Yemen dall’Africa, ridotto di due terzi da  72 mercantili a 26.
“Verde al ponte” è la richiesta a nave Duilio del pilota dell’elicottero SH-90, di via libera al decollo dall’aeroporto di Gibuti per una delle missioni del primo mese dell’operazione europea. Per motivi di sicurezza Panorama non riporta i cognomi dei marinai, a parte i comandanti, su richiesta della Difesa. L’elicotterista, con 4mila ore di volo alle spalle, si chiama Dario, come il leggendario imperatore persiano. Suo padre era venuto a studiare in Italia dall’Iran ai tempi dello Shah ed è tornato a Teheran solo tre anni fa per la prima volta. “Non gli dico mai dove vado in missione, così non si preoccupa, come ho fatto per l’Afghanistan dove i talebani ci hanno sparato addosso” racconta Dario, barba ben curata. Sotto di noi si profila la sagoma del Duilio, che  prende il nome dal console romano che ha sconfitto la flotta di Cartagine. Una roccaforte grigia sul mare armata di cannoni “Davide”, missili “Teseo e Aster”, siluri e potenti radar che individuano le minacce a lungo raggio.
“Bersaglio, rilevamento, identificato” rispondono dalla plancia dopo la segnalazione di un barchino a 6 miglia di distanza dal Duilio che naviga in “zona rossa” ad alto rischio di attacchi davanti allo Yemen. Di solito sono skiff, piccoli barchini, oppure i dhow, pescherecci yemeniti, che  si incrociano spesso. “Oltre all’attività di pesca potrebbero riportare informazioni a chi vuole nuocere al traffico mercantile nell’area, in questo caso gli Houti” spiega Andrea Quondamatteo, il comandante del Duilio. Basta un telefono satellitare nascosto fra le reti per segnalare il passaggio di convogli e navi militari indicando la posizione.
Giorgia è l’ufficiale di guardia in plancia piazzata alla girobussola per controllare la rotta. Una ragazza del ’99 che arriva dal Veneto e fin da adolescente amava il mare ed i delfini. A 15 anni entra al Morosini, la Scuola navale della Marina. “Quando è arrivato l’ultimo drone (il 12 marzo nda) stavo per smontare dalla guardia in plancia del turno di notte. - racconta - Dalla centrale operativa di combattimento arriva la segnalazione di “bersaglio sconosciuto in avvicinamento all’unità. Investigare, investigare, investigare”. E scatta l’allarme. Tutto avviene in pochi secondi”. In plancia ci sono sempre i fanti di Marina della brigata San Marco, che scrutano l’orizzonte con binocoli particolari. Il capitano di vascello Quondamatteo, fisique du role da ufficiale, deve avere nervi d’acciaio per aspettare che i droni Houti arrivino alla distanza giusta di tiro. Il velivolo senza pilota del 12 marzo, kamikaze o di ricognizione per testare le difese, è stato abbattuto ad un pugno di chilometri quando uno dei tre cannoni Oto Melara del Duilio lo ha inquadrato, con sistemi particolari, a bassa quota. L’ordine di fare fuoco spetta al comandante, la tecnologia aiuta, ma il fattore umano fa sempre la differenza. Sotto la torretta grigia girevole  del cannone c’è la “Santabarbara”, il vano caricamento con decine di proiettili di artiglieria da 76 millimetri alti un metro. Il mondo di Davide: “Questo è il pannello di controllo. Una volta attivato il sistema comunico: “Cannone pronto al fuoco””.
Su un vetro della plancia un marinaio artista ha disegnato un missile Houti con il muso da pescecane che svolazza
sui contorni del Mar Rosso e del Golfo di Aden. L’equipaggio, come su tutte le navi, è scaramantico e ha inventato dei “spaventa droni”. Nella sala controllo delle macchine dell’energia ? c’è Vecienz’, cuore dell’emergenza, un cornetto rosso porta fortuna sotto il casco di un pompiere, diretto la classica scatoletta rosa con il vetro da “rompere in caso di necessità”.
Alle 2 di notte, ora Zulu, con un mare scuro e mosso, è fissato l’appuntamento per la scorta di un convoglio di tre mercantili scesi da nord dopo avere attraversato il canale di Suez. “Abbiamo già garantito la protezione ravvicinata a … navi” spiega il comandante Quondamatteo. Nelle prime ore del mattino, sull’aletta di dritta della plancia, ricambia il lungo fischio di saluto della prima nave del convoglio, un tozzo cargo italinao, bianco e giallo con una grande scritta Grimaldi lines sulla fiancata. Due leoni del 2° reggimento San Marco, in assetto da combattimento, osservano il convoglio in una specie di postazioni ricavata con i sacchetti di sabbia dove è piazzata una mitragliatrice Browning ?. “Siamo a bordo per incrementare l’autodifesa del Duilio e contrastare minacce asimmetriche come barchini veloci che potrebbero puntare contro di noi” sostiene Ernesto, veterano dell’Afghanistan. Lo interrompe un messaggio radio, che segnala l’ennesimo skiff, ma sembra innocuo. I fanti di Marina che sono addetti alla mitragliatrice bucano i guanti di protezione  per avere maggiore sensibilità sulle dita quando devono tenere il dito sul grilletto.
“Oltre ai droni esiste la minaccia di missili da crociera e balistici dai 100 ai 100 chilometri di gittata. La missione europea è di salvaguardia della libertà di navigazione, che non ha bandiera”  sottolinea il contrammiraglio Stefano Costantino comandante sula mare di Aspides a bordo del Duilio. Romano, 52 anni, baffetti da gentiluomo, aveva un nonno del San Marco ferito in Libia durante la seconda guerra mondiale. Gli Houti non scherzano e hanno minacciato di allargare le operazioni sulla rotta alternativa attorno all’Africa utilizzata da molto compagnie. Fra l’8 e 9 marzo hanno lanciato un attacco con 37 droni lanciati a sciami. Gli americani sono riusciti ad abbatterne 28, ma sostengono di avere neutralizzato pure droni sottomarini e di superficie usati come siluri.
Il cacciatorpediniere italiano ha nel suo ventre i missili Aster 15 e 30 per fermare quelli degli Houti. Un milione e 600mila euro l’uno,  possono venire lanciati dalle quattro file di portelli metallici bianchi in prua. Il “cuore” pulsante della nave è la Centrale operativa di combattimento, una stanza “blindata” dove domina la luce tattica rossa. “Da qui siamo in grado di individuare quali bersagli aerei o di superficie sono presenti attorno al Duilio. Se rappresentano una minaccia gli operatori individuano la risposta più adeguata fra artiglieria e sistemi missilistici” spiega Fabio, l’ufficiale in comando. Gli specialisti sono circondati da computer con i modelli dei droni Houti e le mappe elettroniche che indicano le posizioni della navi nello scacchiere. Una sezione è dedicata alle contromisure di guerra elettronica.
Sotto coperta la nave che ospita 230 uomini e donne di equipaggio è un dedalo di corridoi e ripide scalette da un ponte all’altro. “E’ una mini città galleggiante” spiega un marinaio che consuma il pranzo in mensa. Il pane fresco viene sfrontò ogni giorno anche con l’aiuto della più giovane appena 19? anni. Annalaura ne ha soli tre in più ed è alla sua prima missione. Giorgia, anche lei 22 anni, alla domanda se teme i droni degli Houti ammette “che la paura c’è, ma bisogna controllarla e siamo addestrati per questo”.
Nelle cabine con due o quatto cuccette ci sono le foto di casa, i pupazzetti regalati dal primo amore e per svagarsi si gioca a biliardino o si triano su pesi in palestra. Un marinaio spiega che “quando le condizioni di sicurezza e la minaccia immanente lo consentono riusciamo a telefonare a casa. E’ fondamentale riuscire a dire ai nostri cari “ciao, tutto bene” significa tanto per noi e per loro che ci danno la forza di stare da queste parti”.
Il convoglio di tre navi ha superato lo stretto di Bab el Mandeb, il budello di appena 18 miglia che divide la penisola arabica dall’Africa preferito dalle imboscate degli Houti. Le montagne del nord da dove lanciano droni e missili si vedono ad occhio nudo.
L’elicottero si alza in volo per calarci a mzz’aria con il vericello sul ponte della nave italiana scortata dal cacciatorpediniere. Una squadra del San Marco e tre palombari del Gruppo operativo subacquei scendono come nei film, con una fune chiamata barbettone, simulando un abbordaggio per disinnescare un ordigno inesploso lanciato dagli Houti.
L’equipaggio è composto da 19 filippini e 7 italiani, che accolgono  i fanti di Marina e il Gos con le mimetiche blu come eroi. Il capitano, Alberto Scandurra, 43 anni, di Procida ha al collo un cornetto dorato porta fortuna regalato dalla moglie. La nave fa rotta verso Shangai e dichiara commosso: “Il Duilio ci sta accompagnando come una madre protegge i suoi figli per farci uscire incolumi dalla zona rossa. La libertà di navigazione è un diritto internazionale che va difeso senza arretrare di un centimetro”.
Fausto Biloslavo


GIBUTI - “A Gibuti addestriamo le unità d’élite della polizia somala, i Darwish, che hanno il compito di assicurare il controllo nelle aree sottratte ai terroristi di al Shabab (legati ad Al Qaida nda)” spiega il colonnello dei carabinieri Maurizio Mele comandante di Miadit, la missione italiana. Nel piccolo stato africano, di fronte allo stretto di Bab el Mandeb, l’Italia ha una base dedicata ad Amedeo Guillet, che ha combattuto in Africa orientale. “Una scelta lungimirante: la nostra base di supporto a Gibuti si trova in un quadrante strategico per gli interessi nazionali” sottolinea il colonnello Marco Poddi, addetto militare ad Addis Abeba. La base è cruciale per l’appoggio alla nuova flotta europea Aspides, con comando operativo italiano, che contrasta la minaccia degli Houti al traffico marittimo. I carabinieri addestrano 200 Darwish all’anno sulle tecniche anti terrorismo, trappole esplosive e prese d’ostaggi e anche il personale della polizia e della gendarmeria di Gibuti.
Grande come l’Emilia Romagna, il paese africano ospita 5 basi straniere. Gli americani sono a Camp Lemmonier, la più grande, con 5mila uomini. Nell’aeroporto a fianco hanno schierato sia i micidiali droni MQ-9 Reaper, che i quadriplani per i corpi speciali dei marines. Attaccata a quella Usa c’è la base giapponese, ma la presenza storica rimane quella francese, con 2mila uomini. La seconda base più importante è quella della Cina, che ha costruito accanto un vero e proprio porto commerciale.
f.bil.
 
[continua]