image
Articolo
11 aprile 2024 - Attualità - Italia - Il Giornale
Il ritorno strategico delle battaglie navali E l’Italia mette in acqua la sua flotta globale
A llarme rosso: Lancio missilistico dallo Yemen, tuona l’altoparlante di nave Caio Duilio. Il cacciatorpediniere è il comando tattico dell’operazione europea Aspides (Scudo) nel Mar Rosso per difendere i mercantili dalla minaccia degli Houti spalleggiati dall’Iran. Ieri un missile balistico antinave è stato lanciato dagli Houthi filo iraniani contro il cargo Hope Island di proprietà inglese, ma gestito da italiani. La portaerei Garibaldi ha operato in Norvegia per l’esercitazione Nordic response 24 della Nato, un forte segnale ai russi, assieme alla nave anfibia San Giorgio e con cinquanta unità di diversi paesi. Il 6 aprile la nave scuola Amerigo Vespucci, impegnata nel giro del mondo come fiore all’occhiello dell’Italia, ha doppiato a vela Capo Horn. Le nostre forze partecipano dall’8 al 21 aprile all’esercitazione Sea Shield nel Mar Nero e sul Danubio a guida romena. E la portaerei Cavour, l’ammiraglia italiana, con la sua squadra navale, salperà per l’Estremo Oriente dove la tensione è sempre alta per le mire cinesi su Taiwan.
Una flotta globale che lo scorso anno ha dispiegato in media, ogni giorno in mare, 30 navi, due sommergibili e una dozzina di assetti aerei (in tutto 4mila marinai). Metà delle unità sono state schierate al di fuori del Mediterraneo nella riedizione moderna della politica delle cannoniere, oggi chiamata diplomazia navale. «In un mondo globalizzato non c’è nulla di troppo lontano. Non bisogna pensare in termini di distanza geografica, ma di interesse nazionale dal Mediterraneo all’Indo Pacifico» spiega al Giornale l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, che è stato capo di stato maggiore della Marina e della Difesa. I numeri della “centralità del mare» parlano chiaro: 90% del traffico merci mondiale e il 25% di impatto sul prodotto interno lordo italiano.
«Aspides dal punto di vista dell’interesse nazionale è una missione fondamentale per la sicurezza e la nostra economia. I porti di Trieste, Genova e Gioia Tauro sono destinati a subire grosse perdite di traffico se non si garantirà l’assoluta libertà di navigazione. Americani e inglesi bombardano i siti di lancio nello Yemen. La nostra missione è difensiva, ma attiva. Se arriva un barchino minato o un drone dobbiamo tirarli giù», spiega Giuseppe Lertora, che ha ricoperto l’incarico di Cincnav, comandante della squadra navale. E il Duilio ha già intercettato tre droni degli Houthi abbattendoli con i cannoni Oto Melara. La prima azione di guerra della Marina militare dalla fine del secondo conflitto mondiale.
I passaggi attraverso Suez sono crollati del 50%. E per il canale viaggiava il 40% dell’import-export marittimo italiano. Non solo: le portacontainer che facevano scalo da noi adesso che devono circumnavigare l’Africa potrebbero puntare sui porti di Le Havre, Rotterdam e Amburgo. Non è un caso che all’Italia sia stato affidato il comando tattico dell'Aspides con il contrammiraglio Stefano Costantino a bordo del Caio Duilio. «Esiste un obiettivo strategico di accerchiare l’Europa dall’Ucraina, all’Africa fino ad Israele - sostiene Binelli Mantelli -. Un disegno che fa comodo alle grandi potenze orientali, Russia e Cina, per indebolire l’Occidente e in particolare il nostro continente». A presidiare l’area oltre lo stretto di Bab el-Mandeb la Marina schiera anche la fregata lanciamissili Federico Martinengo, che ha preso il comando della missione antipirateria Atalanta.
«Nel Mediterraneo abbiamo ampliato notevolmente l’area di sorveglianza arrivando a due milioni di chilometri quadrati», fa notare Lertora. Il fulcro del dispiegamento navale italiano rimane il Mare Nostrum. “Mediterraneo sicuro”, una delle missioni più importanti, arriva a schierare fino a 6 fra navi e sommergibili, come la fregata Carlo Bergamini. Gli obiettivi sono “la difesa delle linee di comunicazione marittime”, “il controllo del dominio subacqueo”, la protezione dei nostri pescherecci, della flotta nazionale e delle piattaforme off shore. A Tripoli, nella base navale di Abu Sitta, è sempre ormeggiata una nave in appoggio tecnico-logistico alla Marina libica. L’Italia aiuta anche la Guardia costiera nella lotta all’immigrazione illegale. Altre unità, come il cacciamine Viareggio e il pattugliatore polivalente d’altura Morosini, hanno partecipato alla missione Noble Shield e fanno parte del gruppo marittimo Nato che garantisce la deterrenza nel bacino del Mediterraneo dove non mancano incursioni russe. Per l’ex Cincnav «l’attività russa è tornata ai tempi della Guerra fredda». La nuova missione Fondali sicuri con nave Vieste protegge gli spazi di mare dove corrono le infrastrutture critiche come linee dati ed energetiche.
L’operazione è stata lanciata nel 2022 dopo il sabotaggio del gasdotto Nord stream nel Mar Baltico. E proprio nel Nord è stata schierata la fregata Luigi Rizzo per l’operazione Brilliant Shield voluta dalla Nato dopo l’invasione dell’Ucraina come “scudo navale” per i paesi Baltici e la Polonia. Dal 3 al 14 marzo la portaerei Garibaldi e nave San Giorgio con unità da sbarco della brigata San Marco hanno partecipato all’esercitazione Nordic response 24 nell’area fra Norvegia, Svezia e Finlandia, neo membri della Nato.
La mobilitazione per contenere l’orso russo prevede pure, come ha annunciato il ministro Crosetto in Parlamento, la partecipazione italiana alla “Coalizione marittima”, guidata da Gran Bretagna e Norvegia, per «la ricostituzione della Marina ucraina». Lertora fa notare che «secondo l’espressione “mare-oceano” lo spazio Euro-Atlantico è collegato all’Indo Pacifico. La Cina ha più navi degli americani e nel 2030 supererà anche il gap tecnologico. Vuole dimostrare di essere la padrona dell’Indo-Pacifico».
Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in visita a Tokyo agli inizi di febbraio, ha confermato l’invio di una squadra navale guidata dall’ammiraglia italiana Cavour per addestramento congiunto con la Marina giapponese a cominciare dalla portaerei Kaga. Prima ancora le unità italiane parteciperanno all’esercitazione Pitch Black a Darwin.
La squadra navale italiana opererà nell’Indo-Pacifico per sei mesi a cominciare da giugno. E parteciperà, per la prima volta, alla più grande manovra navale del mondo, la Rim of the Pacific Exercise, a guida americana dal quartier generale di Pearl Harbour.
Il vero problema della flotta globale, però, è la carenza di personale. Il parlamento ha approvato l’aumento di 3.250 uomini arrivando ad un totale di 30.500 militari. La Marina sottolinea che «non è risolutivo a fronte dell’esigenza minima utile a fronteggiare gli impegni, calcolata in almeno 35.000 unità». E il modello più adeguato alle sfide di oggi è di 39mila marinai. In pratica mancano all’appello almeno 5mila marinai.
[continua]

video
24 novembre 2015 | Rai 1 Storie vere | reportage
Terrorismo in Europa
Dopo gli attacchi di Parigi cosa dobbiamo fare per estirpare la minaccia in Siria, Iraq e a casa nostra

play
16 marzo 2012 | Terra! | reportage
Feriti d'Italia
Fausto Biloslavo racconta le storie di alcuni soldati italiani feriti nel corso delle guerre in Afghanistan e Iraq. Realizzato per il programma "Terra" (Canale 5).

play
30 aprile 2020 | Tg5 | reportage
L'anticamera dell'inferno
Fausto Biloslavo TRIESTE - “Per noi in prima linea c’è il timore che il ritorno alla vita normale auspicata da tutti possa portare a un aumento di contagi e dei ricoveri di persone in condizioni critiche” ammette Gianfranco, veterano degli infermieri bardato come un marziano per proteggersi dal virus. Dopo anni in pronto soccorso e terapia intensiva lavorava come ricercatore universitario, ma si è offerto volontario per combattere la pandemia. Lunedì si riapre, ma non dimentichiamo che registriamo ancora oltre 250 morti al giorno e quasi duemila nuovi positivi. I guariti aumentano e il contagio diminuisce, però 17.569 pazienti erano ricoverati con sintomi fino al primo maggio e 1578 in rianimazione. Per entrare nel reparto di pneumologia semi intensiva respiratoria dell’ospedale di Cattinara a Trieste bisogna seguire una minuziosa procedura di vestizione. Mascherina di massima protezione, tuta bianca, copri scarpe, doppi guanti e visiera per evitare il contagio. Andrea Valenti, responsabile infermieristico, è la guida nel reparto dove si continua a combattere, giorno e notte, per strappare i contagiati alla morte. Un grande open space con i pazienti più gravi collegati a scafandri o maschere che li aiutano a respirare e un nugolo di tute bianche che si spostano da un letto all’altro per monitorare o somministrare le terapie e dare conforto. Un contagiato con i capelli grigi tagliati a spazzola sembra quasi addormentato sotto il casco da marziano che pompa ossigeno. Davanti alla finestra sigillata un altro paziente che non riesce a parlare gesticola per indicare agli infermieri dove sente una fitta di dolore. Un signore cosciente, ma sfinito, con i tubi dell’ossigeno nel naso è collegato, come gli altri, a un monitor che segnala di continuo i parametri vitali. “Mi ha colpito un paziente che descriveva la sensazione terribile, più brutta del dolore, di non riuscire a respirare. Diceva che “è come se mi venisse incontro la morte”” racconta Marco Confalonieri direttore della struttura complessa di pneumologia e terapia intensiva respiratoria al dodicesimo piano della torre medica di Cattinara. La ventilazione non invasiva lascia cosciente il paziente che a Confalonieri ha raccontato come “bisogna diventare amico con la macchina, mettersi d’accordo con il ventilatore per uscire dal tunnel” e tornare alla vita. Una “resuscitata” è Vasilica, 67 anni, operatrice di origine romena di una casa di risposo di Trieste dove ha contratto il virus. “Ho passato un inferno collegata a questi tubi, sotto il casco, ma la voglia di vivere e di rivedere i miei nipoti, compreso l’ultimo che sta per nascere, ti fa sopportare tutto” spiega la donna occhialuta con una coperta sulle spalle, mascherina e tubo per l’ossigeno. La sopravvissuta ancora ansima quando parla del personale: “Sono angeli. Senza questi infermieri, medici, operatori sanitari sarei morta. Lottano ogni momento al nostro fianco”. Il rumore di fondo del reparto è il ronzio continuo delle macchine per l’ossigeno. L’ambiente è a pressione negativa per aspirare il virus e diminuire il pericolo, ma la ventilazione ai pazienti aumenta la dispersione di particelle infette. In 6 fra infermieri ed un medico sono stati contagiati. “Mi ha colpito la telefonata di Alessandra che piangendo ripeteva “non è colpa mia, non è colpa mia” - racconta Confalonieri con il volto coperto da occhialoni e maschera di protezione - Non aveva nessuna colpa, neppure sapeva come si è contagiata, ma si struggeva per dover lasciare soli i colleghi a fronteggiare il virus”. Nicol Vusio, operatrice sanitaria triestina di 29 anni, ha spiegato a suo figlio che “la mamma è in “guerra” per combattere un nemico invisibile e bisogna vincere”. Da dietro la visiera ammette: “Me l’aspettavo fin dalla prime notizie dalla Cina. Secondo me avremmo dovuto reagire molto prima”. Nicol racconta come bagna le labbra dei pazienti “che con gli occhi ti ringraziano”. I contagiati più gravi non riescono a parlare, ma gli operatori trovano il modo di comunicare. “Uno sguardo, la rotazione del capo, il movimento di una mano ti fa capire se il paziente vuole essere sollevato oppure girato su un fianco o se respira male” spiega Gianfranco, infermiere da 30 anni. Il direttore sottolinea che “il covid “cuoce” tutti gli organi, non solo il polmone e li fa collassare”, ma il reparto applica un protocollo basato sul cortisone che ha salvato una novantina di contagiati. Annamaria è una delle sopravvissute, ancora debole. Finalmente mangia da sola un piattino di pasta in bianco e con un mezzo sorriso annuncia la vittoria: “Il 7 maggio compio 79 anni”.

play
[altri video]
radio

27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

play

24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

play

15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento
Italia
Missioni militari e interesse nazionale
https://www.radioradicale.it/scheda/535875/missioni-militari-e-interesse-nazionale Convegno "Missioni militari e interesse nazionale", registrato a Roma giovedì 15 marzo 2018 alle 09:23. L'evento è stato organizzato da Center for Near Abroad Strategic Studies. Sono intervenuti: Paolo Quercia (Direttore del CeNASS, Center for Near Abroad Strategic Studies), Massimo Artini (vicepresidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, Misto - Alternativa Libera (gruppo parlamentare Camera)), Fausto Biloslavo (giornalista, inviato di guerra), Francesco Semprini (corrispondente de "La Stampa" da New York), Arije Antinori (dottore di Ricerca in Criminologia ed alla Sicurezza alla Sapienza Università di Roma), Leonardo di marco (generale di Corpo d'Armata dell'Esercito), Fabrizio Cicchitto (presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa). Tra gli argomenti discussi: Difesa, Esercito, Esteri, Forze Armate, Governo, Guerra, Informazione, Italia, Ministeri, Peace Keeping, Sicurezza. La registrazione video di questo convegno ha una durata di 2 ore e 46 minuti. Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio

play

25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.

play

03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


play

[altri collegamenti radio]




fotografie







[altre foto]