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08 maggio 2024 - Interni - Ong - Panorama
Ong l’inchiesta affondata
Darius Begui, il comandate di nave Juventa dei talebani dell’accoglienza tedeschi, si presentava alle udienze della madre di tutti i processi alle Ong di Trapani in ciabatte e canottiera. Il 19 aprile al giudice per l’udienza preliminare, sono bastati 15 minuti per affondare l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina perchè “il fatto non sussiste”. Il comandante Begui ha lasciato le sue ciabatte all’ingresso del palazzo di giustizia di Trapani e un’altra estremista dell’accoglienza, dopo aver scavalcato il cancello, si è messa a urinare per marcare il territorio in segno di vittoria.
Dopo otto anni di inchiesta e processo, 50mila ore di intercettazioni, spese per 3 milioni di euro, un agente sotto copertura a bordo di una nave delle Ong, filmati, foto e testimonianze che sembravano dimostrare collusioni con scafisti e trafficanti, la grande inchiesta è colata a picco. I dieci imputati rimasti della piccola Jugend Rettet tedesca e di colossi umanitari come Medici senza frontiere e Save the children parlano “di accuse ridicole e infondate”.
Per capire come il processo sia evaporato in una bolla di sapone Panorama ha letto le 17 pagine di requisitoria del procuratore aggiunto, Maurizio Agnello, che aveva ereditato la patata bollente. Il 28 febbraio, dopo due anni di udienza preliminare “una delle più lunghe e complesse dalla storia giudiziaria italiana”, la stessa accusa affonda l’inchiesta individuando testimoni poco attendibili, prove non sufficienti e il via libera della Guardia costiera alle Ong. La Procura chiede il “non luogo a procedere” spiegando in maniera un po’ sorprendente che “pur avendo l’attività degli imputati oggettivamente agevolato l’ingresso di cittadini non appartenenti all’UE sul territorio dello Stato, questa non appare frutto della loro volontà di aggirare la normativa in tema di immigrazione”.
Il caso è sempre stato ad alta tensione politica, a tal punto che su richiesta delle Ong  viene “concessa la presenza in quest’aula di “osservatori internazionali”, come se ci trovassimo di fronte a un tribunale speciale pronto a dar vita a un processo di Norimberga”. Il procuratore aggiunto ricorda che la Corte di Cassazione, sul sequestro di nave Juventa, oggi ridotta ad una carcassa, “riteneva si fossero verificate “consegne concordate di migranti”: non si sarebbe trattato di operazioni di soccorso in mare , ma del trasbordo di migranti dai barchini degli scafisti alle navi delle Ong”.
Nonostante questa premessa l’accusa demolisce i pilastri dell’inchiesta che riguardano Juventa, nave Vos Hestia, noleggiata da Save the children e Vos Prudence utilizzata da Medici senza frontiere (Msf). Testimoni chiave come Pietro Gallo e Lucio Montanino, della Imi security service, ingaggiata dall’armatore olandese di Vos Hestia, diventano inattendibili dopo aver denunciato che “le Ong sarebbero entrate in contatto con i trafficanti di uomini”. Gallo ridimensiona le accuse sostenendo addirittura che “fosse sostanzialmente una sua deduzione” si legge nella carte.
Montanino tiene botta e conferma “di ricordare perfettamente due barchini legati fra loro con due persone a bordo che dalla Juventa facevano rotta (di rientro) verso la Libia”. Però sbaglia il mese, non il 10 ottobre 2016, ma settembre. Il vero nodo dell’attendibilità è che il personale dell’Imi, secondo Agnello, aveva interesse “a denunciare opache modalità operative delle Ong, per poi spendere tale loro iniziativa con un leader politico fortemente interessato alle politiche migratorie (Matteo Salvini nda) al fine di ricavarne un guadagno sotto forma di un posto di lavoro prestigioso e ben retribuito,  tale da poter riscattare il loro allontanamento dalla Polizia di Stato”. Montanino, disgustato dalla fine del processo, dichiara a Panorama, di essere “andato in pensione dalla polizia dopo 27 anni. Non sono stato allontanato. Confermo quello che ho visto e per l’errore fra settembre ed ottobre, tenendo conto che è passato tanto tempo, penso sia una svista comprensibile”.
Il fondatore dell’Imi, Cristian Ricci, che era pure a bordo di Vos Hestia, consegna a Panorama la registrazione di un colloquio con il responsabile di Save the children, che conferma la volontà di non collaborare con le autorità italiane nell’individuazione di scafisti o trafficanti. Ricci chiedeva se è “importante trovare prove sui facilitatori” dell’immigrazione clandestina come richiesto da polizia e Guardia costiera. “E’ meglio di no - rispondeva il rappresentante della Ong - la nostra è una prospettiva umanitaria”. Ricci è stato contattato qualche mese fa da Trapani e voleva consegnare l’audio, ma poi non l’hanno mai chiamato in aula.
Nella requisitoria la Procura non considera un reato la mancata collaborazione con la polizia. Ricci ribadisce a Panorama: “Tutti sapevano dove eravamo con la nave, pure i trafficanti, che di conseguenza facevano partire i gommoni. Non c’era bisogno di un contatto diretto. Spesso non si rispondeva ad un Sos, ma ci si piazzava davanti alla Libia. Bastava aspettare e arrivavano i migranti”.
Foto e relazioni dell’agente sotto copertura del Servizio centrale operativo della polizia a bordo di nave Vos Hestia non vengono considerate prove definitive. Neppure l’immagine dei trafficanti del clan libico Dabbashi, sotto bordo di una delle nave delle Ong, viene presa in seria considerazione. “In definitiva, rimane un grande dubbio (o addirittura non risulta per niente provato) circa l’effettiva presenza di scafisti che abbiano accompagnato i migranti e poi fatto rientro verso le coste libiche” sostiene il procuratore aggiunto.
Maurizio Debanne, capo ufficio stampa di Msf a Roma, risponde a Panorama, augurandosi che non sia “mai più sostenibile in nessun tribunale l’incriminazione del soccorso civile come favoreggiamento dell’immigrazione irregolare”.
La vera mazzata all’inchiesta arriva dalle comunicazioni “terra-bordo”, fornite dalla difesa, di Imrcc, il Centro di comando e soccorso a Roma della Guardia costiera italiana. Agnello arriva alla conclusione che, nonostante informazioni “non immediate” le navi delle Ong “una volta comunicata la loro presenza al centro di coordinamento si siano strettamente attenute alle indicazioni ricevute da Imrcc, anche accogliendo a bordo su specifica richiesta dei militari un numero di migranti di gran lunga superiore alla loro capacità di carico”.
Una fonte di Panorama, in prima linea sul fronte del mare, sostiene che “l’informativa riassuntiva di oltre 600 pagine dell’inchiesta si basava proprio sul fatto che la Guardia costiera aveva ricevuto informazioni errate, parziali o devianti. Questo era il sistema”.
Nelle conclusioni della requisitoria, che affondano il processo, si legge: “La deduzione investigativa di contatti intercorsi fra gli imputati e scafisti finalizzati alla “consegna concordata” di migranti” non ha trovato riscontro”. Al contrario si adombra un fattore attrazione essendo “certamente vero e provato che i natanti delle Ong svolgevano una vera e propria attività di “pattugliamento” delle zone SAR di fronte le coste libiche in attesa di imbarcazioni in precarie condizioni di navigazione stracariche di migranti”.
Però non trova conferma il comportamento doloso delle Ong: “Non vi è prova sufficiente della consapevolezza da parte degli imputati della illegittimità del trasporto - scrive il procuratore aggiunto - anche se questo finisce per agevolare l’ingresso illegale di stranieri nel territorio dello Stato”.
Fausto Biloslavo
[continua]