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18 giugno 2024 - Prima - Italia - Il Giornale
Dagli alpini al sogno della Difesa Ue I giovanni ufficiali: “Era come un padre”
Il generale Claudio Graziano «è andato avanti», come dicono gli alpini, di sua scelta.
Piemontese, quasi 71 anni, si è innamorato delle penne nere da adolescente leggendo i libri di Bedeschi e Rigoni Stern.
«Grande personaggio - sottolinea con il Giornale il presidente del Senato, Ignazio La Russa - La dimostrazione è che ha avuto incarichi di rilievo con tutti i governi perché era un servitore dello Stato».
Da ministro della Difesa aveva voluto Graziano al suo fianco, come capo di gabinetto, «e siamo sempre rimasti in contatto. Se avesse voluto l’avremmo candidato. Ci ha pensato, ma ha preferito mantenere il suo ruolo». La Russa sapeva «che gli pesava molto la morte della moglie Marisa. Non potevo, però, immaginare quello che è accaduto». Nel libro «Missione.
Dalla guerra fredda alla Difesa europea» scritto dopo mezzo secolo di servizio, Graziano ricordava un canto degli alpini: «Figli di nessuno che noi siam, (...) ma se troviamo uno che ci sappia comandar e dominar (...) anche a digiuno sappiamo marciar». E «per un diciottenne che già si immagina futuro tenente, era un invito implicito a mettersi continuamente in gioco». Nella sua lunga carriera ha saputo unire le capacità strategiche e l’esperienza militare alla visione geopolitica mescolata alla conoscenza diretta di personaggi influenti in mezzo mondo. I primi passi dopo il 154° corso dell’accademia è il servizio con la brigata Tridentina in Alto Adige. Il battesimo delle missioni oltremare arriva con la missione Albatross, in Mozambico, nel 1993 al comando del battaglione Susa.
Graziano è determinato e ha già in testa una folgorante carriera. Nel 2001 è addetto militare all’ambasciata a Washington, tre anni dopo alla guida della Taurinense e a Kabul comanda la brigata multinazionale. Attento, ma sempre disponibile con i giornalisti fa il salto nel 2007, quando viene chiamato dall’Onu al comando della missione Unifil. Uno stretto collaboratore di allora, ancora in servizio, ricorda una frase storica di Graziano: «Se non è Meloni In tutta la sua vita ha reso onore alla Nazione e alle Forze Armate pace non sarà guerra». La Russa, allora ministro della Difesa, lo scopre proprio in Libano. La penna bianca da generale diventa l’ombra del ministro, che alla fine lo porta al vertice dell’Esercito. «C’erano quattro ufficiali davanti per anzianità e allora sono andato dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a chiedere consiglio - rivela La Russa - Il capo dello Stato disse che quando verranno a lamentarsi dirò che era compito del ministro. E aggiunse: “Sono convinto che fai molto bene. Graziano è il migliore”».
Il generale ha tessuto la rete dei cosiddetti «Graziano boys», che talvolta fanno storcere il naso. «Non devo nulla a Graziano, anzi, - spiega un alto ufficiale - ma lo ammiro perché ha ridato profilo internazionale alla classe dei comandanti italiani dopo la retorica del dopoguerra». Dall’apice, come capo Stato maggiore della Difesa, viene nominato nel 2017 presidente del Comitato militare dell’Unione europea.
Ieri, fra i giovani ufficiali che sono stati al suo fianco, c’è chi piangeva al telefono raccontando che «non aveva figli e per noi è stato come un papà.
Ci ha cresciuti inculcandoci che bisogna esseri uomini delle istituzioni e non di un governo o dell’altro». A Bruxelles si è impegnato nell’ultima sfida di resuscitare la Difesa comune europea. Anche nell’ultimo incarico, senza stellette, come presidente di Fincantieri «è rimasto il Capo, estremamente esigente».
[continua]

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16 febbraio 2007 | Otto e Mezzo | reportage
Foibe, conflitto sulla storia
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21 settembre 2012 | La Vita in Diretta | reportage
Islam in Italia e non solo. Preconcetti, paure e pericoli


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11 novembre 2008 | Centenario della Federazione della stampa | reportage
A Trieste una targa per Almerigo Grilz
e tutti i caduti sul fronte dell'informazione

Ci sono voluti 21 anni, epiche battaglie a colpi di articoli, proteste, un libro fotografico ed una mostra, ma alla fine anche la "casta" dei giornalisti triestini ricorda Almerigo Grilz. L'11 novembre, nella sala del Consiglio comunale del capoluogo giuliano, ha preso la parola il presidente dell'Ordine dei giornalisti del Friuli-Venezia Giulia, Pietro Villotta. Con un appassionato discorso ha spiegato la scelta di affiggere all'ingresso del palazzo della stampa a Trieste una grande targa in cristallo con i nomi di tutti i giornalisti italiani caduti in guerra, per mano della mafia o del terrorismo dal 1945 a oggi. In rigoroso ordine alfabetico c'era anche quello di Almerigo Grilz, che per anni è stato volutamente dimenticato dai giornalisti triestini, che ricordavano solo i colleghi del capoluogo giuliano uccisi a Mostar e a Mogadiscio. La targa è stata scoperta in occasione della celebrazione del centenario della Federazione nazionale della stampa italiana. Il sindacato unico ha aderito all'iniziativa senza dimostrare grande entusiasmo e non menzionando mai, negli interventi ufficiali, il nome di Grilz, ma va bene lo stesso. Vale la pena dire: "Meglio tardi che mai". E da adesso speriamo veramente di aver voltato pagina sul "buco nero" che ha avvolto per anni Almerigo Grilz, l'inviato ignoto.

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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea. Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.

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20 giugno 2017 | WDR | intervento
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra

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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


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