image
Articolo
24 giugno 2024 - Inserto 50 anni - Mondo - Il Giornale
Ospite di Gheddafi o in una cella russa: cambia la tecnologia non l’anima dell’inviato
Fausto Biloslavo
“I russi? Me li ricordo bene in Finlandia nel ’41” sono le parole di Indro Montanelli dopo avere ascoltato i racconti delle mie disavventure afghane catturato dai sovietici. Nel 1988 il Giornale ospitò 11 puntate sulla prigionia a Kabul, durata sette mesi, con il direttore che correggeva le cartelle battute a macchine impugnando la vecchia matita rossa e blu. Se usava troppo la parte rossa bisognava riscrivere tutto.
Del grande inviato mi rimane impressa la storica foto, seduto per terra, mentre batte il pezzo sulla leggendaria Lettera 22. Fino alla sanguinosa disgregazione della Jugoslava di Tito, la guerra alle porte di casa, si usava ancora la macchina a scrivere dettando gli articoli ai dimafonisti, che magari non avevi mai visto in faccia, ma diventavano amici e confidenti fra una bomba e l’altra.
In pochi anni sarebbe cambiato tutto con il computer portatile, il satellitare, l’avvento di internet e dei social, la guerra raccontata in diretta. Per farlo, però, bisogna sempre andare sul campo come ci ha insegnato non solo Montanelli, ma i grandi inviati del Giornale da Egisto Corradi, tenente nella campagna di Russia, Livio Caputo, che in un’imboscata si è salvato dai vietcong tirando una bomba a mano e Lucio Lami sfiorato da un cecchino a Beirut.
In quasi quarant’anni di reportage per il nostro quotidiano sono tanti i ricordi come l’entrata per primo, fra i giornalisti italiani, nella Kabul liberata dai talebani dopo l’11 settembre. L’inizio della guerra al terrore e dell’illusoria esportazione della democrazia come se fosse un televisore o una lavatrice da attaccare alla corrente per farla funzionare a qualsiasi latitudine. Chi avrebbe mai immaginato di vedere sventolare il tricolore a Kabul, Herat, Nassiryha? Le “guerre” di pace degli italiani raccontate per il Giornale in mezzo al sangue e al sudore dei nostri soldati.
Non ci siamo fatti abbindolare dall’ubriacatura delle primavere arabe, che si sono trasformate ben presto in gelido e sanguinoso inverno. Muammar Gheddafi mi ha accolto nella famosa tenda verde da beduino, in mezzo a Bab al-Aziziya, la sua roccaforte a Tripoli, mentre fuori si sparava, per l’ultima intervista ad una testata italiana prima del suo linciaggio, pochi mesi dopo. Alla vigilia dei bombardamenti della Nato, il colonnello sceglieva il Giornale nella speranza che Silvio Berlusconi, allora presidente del Consiglio, fermasse l’irreparabile. Nell’intervista esclusiva, ripresa dalle testate di mezzo mondo, aveva previsto tutto: l’arrivo di un milione di clandestini dall’Africa, la perdita dei nostri interessi strategici ed energetici, il caos in Libia e la sua morte.
E proprio a Sirte, la città natale di Gheddafi, ho cominciato a seguire per il Giornale l’ascesa e la caduta delle “capitali” dello Stato islamico. Battaglie durate mesi, anche a Mosul e Raqqa, senza pietà, fra cecchini e brandelli di kamikaze che ti piovevano addosso. Non basta più l’articolo, ma bisogna essere in grado di fare tutto inviando foto, video per il sito e postando sui social. “E’ la multimedialità, bellezza” direbbe oggi Humphrey Bogart.
Non avrei mai immaginato, quarant’anni dopo il primo reportage in Afghanistan invaso dai sovietici, di tornare a Kabul per assistere alla Caporetto della Nato e alla riconquista del potere dei talebani.
L’inizio del peggio, una terza guerra  mondiale a pezzi, come sostiene Papa Francesco, esplosa con l’invasione russa nel cuore dell’Europa. La guerra in Ucraina la sento anche “mia” dopo mesi al fronte pubblicando sul Giornale la storia dei civili in fuga sul ponte distrutto di Irpin, dei giovani difensori di Kiev come i ragazzi di Budapest e Praga del secolo scorso, dei “morituri” che tiravano la monetina per il cambio in trincea, delle battaglie disperate nelle roccaforti perdute a Severodonetsk, Bakhmut, Avdiivka. Solo dopo il cinquantesimo sibilo di una granata, che significa impatto a distanza ravvicinata, e puoi solo buttarti a terra sperando di salvarti dalle schegge, ho deciso di tirare il fiato.
Le guerre non si combattono solo con i proiettili, ma è sempre più pesante il conflitto dell’informazione e della disinformazione. Il Giornale ha pubblicato i reportage dell’ultima guerra fra israeliani e palestinesi, che mi sono imposto di raccontare da tutte e due le parti della barricata. Il giovane paracadutista, che viene dall’Italia, con la stella di David e il tricolore sulla giubba. I funerali ogni giorno, dopo una notte di scontri, dei palestinesi di Hamas in cittadine come Jenin, soprannominata la “piccola Gaza”.
L’importante è tratteggiare il lato oscuro dell’umanità con un minimo di onestà intellettuale e serietà professionale per essere sempre gli occhi della guerra dei lettori seguendo l’esempio della vecchia scuola, come ai tempi dei “russi, in Finlandia, nel ’41”.
[continua]

video
18 ottobre 2019 | Sna | reportage
100 anni degli agenti di assicurazione
Il palco del Centenario Sna ha accolto anche Fausto Biloslavo, oggi certamente il più famoso e tenace reporter di guerra. Attraverso fotografie e filmati tratti dai suoi reportage nelle zone dei conflitti, Biloslavo ha raccontato la sua vicenda professionale, vissuta fra pericoli e situazioni al limite del disumano, testimonianfo anche l’orrore patito dalle popolazioni colpite dalla guerra. Affrontando il tema del coraggio, ha parlato del suo, che nonostante la quotidiana esposizione della sua vita a rischi estremi gli permette di non rinunciare a testimoniare la guerra e le sue tragiche e crudeli conseguenze. Ma il coraggio è anche di chi la guerra la subisce, diventando strumento per l’affermazione violenta delle ragioni di parte, ma non vuole rinunciare alla vita, alla speranza. E lottare per sopravvivere richiede grande coraggio. Sebbene possa sembrare un parallelo azzardato, lo stesso Biloslavo, spiega che il coraggio è sostenuto dalla passione, elemento necessario in ogni attività, in quella del reporter di guerra come in quella dell’agente di assicurazione. Il coraggio serve per cominciare da zero, ma anche per rialzarsi quando si è colpiti dalle difficoltà o per adattarsi ai cambiamenti, è il messaggio di Biloslavo alla platea del Centenario.

play
12 ottobre 2017 | Tele Capodistria | reportage
Gli occhi della guerra
"Gli occhi della guerra" sarà questo il tema della prossima puntata di Shaker, in onda venerdì 13 ottobre alle ore 20. Nostro ospite FAUSTO BILOSLAVO, giornalista di guerra che, in oltre 35 anni, ha vissuto e raccontato in prima persona la situazione su tutti i fronti più caldi: Libano, Afghanistan, Iran, Iraq, ex Jugoslavia... e ultimamente Ucraina, Libia, Siria... Cosa vuol dire fare il reporter di guerra? Com'è cambiato questo "mestiere"? Perchè è ancora così importante? Come mai tanti giovani vogliono farlo? Quali consigli dargli? Tante le domande cui cercheremo di dare risposta. If you LIKE it, please SHARE it!!!

play
16 giugno 2016 | Tgcom24 | reportage
Gli occhi della guerra, l’arte imperitura del reportage
Presentazione Gli occhi della guerra e del documentario "Profughi dimenticati" dal nord dell'iraq

play
[altri video]
radio

20 ottobre 2009 | Radio Uno | intervento
Mondo
Rassegna stampa - Ultime da Babele
Cmmento ai giornali fra il mito del posto fisso ed i problemi del Medio Oriente.

play

17 dicembre 2018 | Tracce Radio Rai FVG | intervento
Mondo
Guerra guerra guerra
35 anni di reportage in prima linea

play

14 gennaio 2019 | Peter Pan Radio Rai FVG | intervento
Mondo
I bambini e la guerra
In 35 anni di reportage i drammi dei bambini, le vittime innocenti dei conflitti

play

25 agosto 2010 | Radio 24 | intervento
Mondo
Professione: Reporter di guerra
"NESSUN LUOGO E' LONTANO" è il nuovo programma di approfondimento di esteri di Radio 24. Giampaolo Musumeci parla della professione reporter. Come si racconta la guerra? Esiste un modo giusto? Come si fa il giornalista di guerra e come è cambiato il mestiere? Le testimonianze di chi lo ha fatto per anni e chi lo fa tuttora.

play

06 luglio 2015 | Radio Capodistria | intervento
Mondo
Non solo Califfato
Una panoramica della situazione internazionale e il ricordo di Franco Paticchio, grande Direttore ed Editore dimenticato

play

[altri collegamenti radio]