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Reportage
08 gennaio 2025 - Esteri - Siria - Panorama
C’è una Siria che non ci sta
DAMASCO -  “Vedi quelle colline con le grandi ville? E’ tutto proprietà di Assad e ci vivono i suoi fedelissimi, che hanno messo da parte le armi, tante armi e anche qualche carro armato. Si preparano al peggio e hanno un piano in mente”. Ahmed è un alauita, la setta sciita del dittatore di Damasco fuggito in Russia, ma gironzola ancora fra i resti anneriti dalle fiamme del grande mausoleo di al Qordaha, dedicato al fondatore della dinastia Hafez al Assad. La suntuosa tomba è stata spogliata di tutto, come gli altri palazzi simbolo degli Assad, ma il corpo non c’era ed i nuovi conquistatori, ex ribelli jihadisti o presunti tali, si sono portati via i resti del figlio primogenito e prediletto, Bassil morto in un incidente d’auto.
Nei giorni di Natale proprio ad al Qordaha, roccaforte alauita e Tartus, dove i russi hanno ancora la base navale, sono scoppiati violenti scontri armati c3on i miliziani del nuovo governo di Salvezza nazionale messo in piedi a Damasco da Ahmed al-Sharaa. Nome di battaglia al Joulani è un ex seguace di al Qaida, che si presenta al mondo come talebuono. Il Comitato per la liberazione del Levante (Hts) che lo ha portato al potere conta su 40mila uomini, troppo pochi per controllare tutta la Siria. I siriani sognano un futuro di stabilità e pace, ma in molti, curdi, drusi, cristiani si fidano ben poco e non vogliano saperne di stato islamico, sharia e legame stretto con il sultano Erdogan.
I primi che non ci stanno sono le sacche di irriducibili alauiti, che nel triangolo fra Latakia, Qordaha e Tartus “si sentono abbandonati da Assad al loro destino, ma non vogliono cedere le armi. Il nuovo governo ha dovuto mandare un migliaio di uomini per mantenere sotto controllo la situazione” secondo una fonte di intelligence.
Fra il 25 e 26 dicembre sono scoppiati violenti scontri con dozzine di uomini del nuovo governo uccisi prima di riuscire a catturare il generale Mohammed Kanjo Hassan. Il ricercato era responsabile della giustizia militare del regime accusato degli orrori del carcere-mattatoio di Sednaya alle porte di Damasco.
A Latakia, altra roccaforte dell’ex regime, il crollo è raffigurato dalla fila chilometrica all’ingresso di una caserma del ministero dell’Interno, dove gli ex militari e poliziotti consegnano le armi e ottengono un agognato salvacondotto.  “Riusciamo a gestirne 2000 al giorno al massimo e va avanti così dalla fine del regime” spiega Mohammed Mostafa un giovane barbuto in uniforme e mascherina nera per non fare vedere il volto. “Non trattateci come i cani di Assad - sbotta un ex soldatino in fila - Anche noi siamo contenti che il figlio di buona donna sia caduto. Ho pure disertato per non farmi ammazzare, ma sono stato acciuffato e rimandato in guerra”.
I barbuti che li sorvegliano fanno il segno di vittoria con le dita e scatta l’urlo “takfir”, contro gli apostati come Assad, fra gli ex soldati che sembrano allinearsi con il nuovo corso. Sul retro della caserma vengono consegnate le armi e le chiavi delle automobili governative. Un ufficiale di polizia ha portato la sua pistola, anche se non sembra molto convinto che tutto andrà per il meglio. L’importante è ottenere il salvacondotto del nuovo governo con foto e numero di registrazione, che dovrebbe servire un domani a richiamare in servizio militari e agenti.
In coda si presenta pure una guardia del corpo di Assad, che evidentemente non viene riconosciuto dai barbuti. Anche lui consegna la pistola e fa finta di niente.
Ad Homs le tetre file di palazzi sbrecciati dai combattimenti ricordano la brutalità della guerra civile siriana. Gli alauiti sono scesi in piazza ed è stato imposto il coprifuoco. Il vescovo Jacques Murad era stato rapito nel 2015 dai tagliagole del Califfato. Confratello di padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita italiano sparito nel nulla dal 2013, denuncia che “ad Homs i sunniti entrano nelle case mascherati per uccidere gli alauiti. Anche se avessero partecipato al massacro perpetrato dal regime bisogna processarli con una corte indipendente nel rispetto dei diritti dell’uomo. Il nuovo governo sostiene che si tratta di azioni individuali. Non ci credo”. E poi rivela che in una riunione con emissari arrivati da Damasco, il capo della delegazione, ha affermato “che hanno una lista di 40mila persone da uccidere. Sono rimasto shoccato”.
I cristiani ridotti a 300mila anime dall’oltre milione e mezzo prima della guerra sono i più deboli. Il primo Natale senza Assad, dopo 53 anni, lo vivono fra speranza e paura. Firas Lufti, il francescano custode della Terra Santa a Damasco, sottolinea che “i miliziani al potere hanno alle spalle  un bagaglio islamo fanatico, estremista e jihadista. Questo stile di governo non può reggere in Siria, un paese mosaico di etnie e religioni. Speriamo di non arrivare alla conclusione che si stava meglio quando si stava peggio”. Fahda Nasr, con i capelli lunghi e sciolti, è appena uscita dalla messa del domenica a Bab Touma, la porta di Tommaso, il quartiere dei cristiani nella capitale. “Va bene il cambiamento - ribadisce - ma non manca la paura che ci impongano il velo. Spero che rispettino la nostra religione”.
 Georges Assadourian, vescovo armeno di Damasco, che parla italiano, nutre speranza,  per una “Siria libera, indipendente e laica”. Però rivela che “hanno cominciato a girare per i negozi cristiani dicendo di non vendere alcolici. Questo è uno dei nostri timori”.
La strada principale, che porta verso nord, da dove sono calati velocemente i ribelli che l’8 dicembre hanno conquistato Damasco, è disseminata ad intermittenza di mezzi militari abbandonati. Un camion con un cannone semovente, tank con le uniformi dei carristi gettate via, basi aeree sguarnite dove i Mig hanno ancora le bombe russe sotto le ali e automobili inzuppate di raffiche di mitra sono il simbolo di una specie di 8 settembre e 25 aprile siriani uno dietro l’altro.
Ad Aleppo, chi non ci sta sono i curdi, che presidiano da anni due quartieri nella Milano della Siria. Si entra solo attraverso dei posto di blocco, dove donne e uomini armati di kalashnikov controllano tutte le macchine. “Siamo disponibili a collaborare con Hayat Tahrir al-Sham (Hts), che deve rispettare la nostra lingua e autonomia. Il nemico è il cosiddetto Esercito nazionale siriano messo in piedi dai turchi, che ha compiuto crimini nei confronti dei curdi” spiegano Nouri Sheikho e Heaven Suleiman, uomo e donna alla guida dei quartieri. Il ritratto di Apo Ocalan il leader incarcerato del Pkk, che i turchi bollano come terrorista, è semi nascosto per non attirare l’attenzione dei giornalisti.
L’area curda è piena di gente, ma con le fogne a cielo aperto, elettricità a singhiozzo ed edifici da campo profughi. Non mancano gli yazidi, sterminati dal Califfato, pure loro in armi.
La bestia nera dei curdi è l’Esercito nazionale siriano (Sna), finanziato e armato dalla Turchia, che ha sfruttato il crollo del regime per attaccare i curdi nelle loro roccaforti come Mambji. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan vuole creare una zona cuscinetto lungo la frontiera con la zona di Amministrazione autonoma nel Nord Est della Siria chiamata Rojava. Un terzo del paese controllato dalle Forze democratiche siriane, che hanno sconfitto l’Isis con l’appoggio degli Usa. E Israele considera i curdi “alleati naturali”.
Allo Sheraton di Aleppo, semi deserto, si nota una squadra turca in borghese, ma alcuni hanno la pistola alla cintola sotto i maglioni. Al Four Season, l’hotel di lusso di Damasco, era arrivato fin dalla prima settimana di “liberazione”, il nuovo ambasciatore di Ankara, dopo la rottura delle relazioni diplomatiche all’inizio della primavera araba, con gli uomini del Mit, l’intelligence turca. Non è un caso che il neo nominato governatore di  Aleppo, Azzam Garib, laureato in Turchia, sia legato ai Fratelli musulmani dell’Sna che si ispirano a Erdogan. Anche il nuovo ministro degli Esteri, Asaad Hassan al-Shaybani, ha ottenuto un master a Istanbul. E pure la prima donna nell’esecutivo provvisorio, Aisha al Dibs, è un’attivista dei diritti umani con doppia cittadinanza turca e siriana. “Se Fratellanza musulmana e salafiti di al Joulani si mettono d’accordo possono farcela a gestire il paese - spiega un diplomatico a Damasco - E si confida nella Turchia per trovare un via d’uscita e stabilizzare la Siria”.
Impresa densa di incognite a cominciare dalle migliaia di volontari della guerra santa internazionale non più isolati nella sacca di Idlib, il piccolo Califfato da dove è partita la conquista di Damasco. La mega villa di Bashar Assad, il cugino omonimo del presidente destituito, è spogliata di tutto dopo il saccheggio. Si sono portati via pure le tapparelle, ma hanno lasciato la grande aquila all’ingresso e le pacchiane pseudo sculture romane fatte con il cartongesso. Un fuoristrada bianco senza targa arriva a tutta velocità con tre uzbeki in mimetica e il dito sul grilletto. Sospettosi chiedono subito: “Parli russo?”. La risposta è ovviamente no, anche se conosco qualche frase, ma ci vuole un po’ per calmarli spiegando che sono italiano. Alla fine si fanno qualche selfie nella villa saccheggiata e se ne vanno via come se fossero i nuovi padroni.
Nella piazza d’ingresso di Idlib, roccaforte jihadista, sventola la bandiera bianca con i versi in nero del Corano, uguale a quella dei talebani in Afghanistan. Le donne girano rigorosamente con il niqab, il “burqa” nero che le copre dalla testa ai piedi lasciando solo una fessura per gli occhi. Il mercato è pieno di roba, ma si paga con le lire turche. E in una piazzetta al Joulani ha autorizzato un piccolo monumento “da Idlib a Gaza” inneggiante all’attacco stragista di Hamas del 7 ottobre con un mosaico-dipinto di un terrorista che arriva dal cielo in parapendio verso la cupola dorata della moschea di Gerusalemme,.
Un giovanotto con gli occhi a mandorla e orologio militare al polso, originario del Kirghizistan, sta comprando un chilo di patate da un fruttivendolo.  “Sono venuto a combattere la guerra santa per difendere i fratelli siriani - spiega a telecamera spenta - Faccio parte, assieme ad altri volontari dell’Asia centrale come gli uiguri (militanti islamici cinesi nda), della Kahtiba al Tawid Wal Jihad”. Il gruppo, legato ad al Qaida, è sulla lista nera delle organizzazioni terroristiche. Alla domanda su cosa farà adesso risponde che “il dittatore è scappato. Probabilmente andremo in Giordania” per la nuova guerra santa. Una macchina con i finestrini oscurati lo aspetta per portarlo via.
A sud di Damasco, vicino al confine giordano, la roccaforte di Sweida è una città di 120mila abitanti controllata armi in pugno dai drusi, che non intendono mollare il potere a nessuno. Una sentinella con elmetto e giubbotto antiproiettile all’ingresso di Liwa al Jabal, uno dei gruppi di volontari della difesa di Sweida, saluta con un cordiale “Salam aleikum”, la “pace sia con te”. Una dozzina di armati, compreso il figlio del comandante che ha soli 15 anni, sono schierati nella base con la bandiera rossa ed i fucili incrociati sullo sfondo. “Rifiutiamo il radicalismo, la sharia e lo Stato islamico - ribadisce il comandante Shaker Azzam - Su questo non negozieremo mai”. Ziad, che ha un cappellino del Venezuela e parla inglese, ci scorta in giro dalla chiesa cristiana presidiata per proteggerla, alla banca centrale e l’ex base dell’intelligence di Assad soprannominata “l’inferno” per le torture sui prigionieri. “Il vecchio regime ha messo in testa a tutta la popolazione siriana che Israele è il nemico - spiega Ziad, in mimetica - Non è così. Ci sono molti drusi in Israele che sono nostri fratelli e nonni”. Un giovane è ancora più netto: “Se dovessi scegliere fra la sharia e Israele non avrei dubbi a preferirei il secondo”.
Yousuf al Jarbu, barbone d’argento, tenuta nera e tipico copricapo bianco dei leader drusi, è uno dei tre sheik che governano la comunità. “Sappiamo bene che i nuovi arrivati a Damasco erano di Al Qaida - sottolinea - Ci hanno garantito che rispetteranno tutte le minoranze. Vediamo se manterranno le promesse”.
In molti sperano che Al Sharaa sia il primo jihadista, illuminato sulla via di Damasco, che al posto delle armi e del Califfato riesca a fare uscire il paese dal tunnel. Uno dei veterani della nostra intelligence sul campo è scettico: “In Siria è stato scoperchiato il vaso di Pandora. L’Occidente ne subirà i riflessi per anni”.
Fausto Biloslavo
[continua]

video
09 settembre 2013 | Tg5 | reportage
La battaglia di Maalula perla cristiana
Fausto Biloslavo, appena arrivato in Siria si trova al centro degli scontri tra governanti e ribelli. Il video terribile ed il racconto della battaglia

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08 settembre 2013 | Tg5 | reportage
La battaglia di Maalula perla cristiana
Fausto Biloslavo, appena arrivato in Siria si trova al centro degli scontri tra governanti e ribelli. Il video terribile ed il racconto della battaglia

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18 febbraio 2016 | Terra! | reportage
La guerra dei russi in Siria
Chi l’avrebbe mai pensato di ritrovarmi faccia a faccia con i russi in Siria. Negli anni ottanta, durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan, il faccia a faccia con l’Armata rossa mi costò sette mesi di galera a Kabul. Gli inviati Fausto Biloslavo, Sandra Magliani, Lorena Bari e Anna Migotto documentano la guerra in Siria, l’immigrazione, i profughi, i morti ed i bombardamenti L’immigrazione, la guerra in Siria, i morti, i profughi che premono alle frontiere della Turchia cercando un varco per l’Europa, i bombardamenti.

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radio

23 gennaio 2014 | Radio Città Futura | intervento
Siria
La guerra continua


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02 luglio 2015 | Radio24 | intervento
Siria
La famiglia jihadista
"Cosa gradita per i fedeli!!! Dio è grande! Due dei mujaheddin hanno assassinato i fumettisti, quelli che hanno offeso il Profeta dell'Islam, in Francia. Preghiamo Dio di salvarli”. E’ uno dei messaggi intercettati sulla strage di Charlie Hebdo scritto da Maria Giulia Sergio arruolata in Siria nel Califfato. Da ieri, la prima Lady Jihad italiana, è ricercata per il reato di associazione con finalità di terrorismo internazionale. La procura di Milano ha richiesto dieci mandati di cattura per sgominare una cellula “familiare” dello Stato islamico sotto indagine da ottobre, come ha scritto ieri il Giornale, quando Maria Giulia è arrivata in Siria. Il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli ha spiegato, che si tratta della “prima indagine sullo Stato Islamico in Italia, tra le prime in Europa”.

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02 dicembre 2015 | Radio uno Tra poco in edicola | intervento
Siria
Tensione fra Turchia e Russia
In collegamento con Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa. In studio conduce Stefano Mensurati.

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