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10 luglio 2025 - Interni - Grilz - Il Giornale
Quegli irriducibili che sfregiano Grilz
A lbatross di tutto, di più: dal Pd intelligente che viene a vedere il film a quello ottuso di Trieste che lo boicotta con foga da muro di Berlino. Per non parlare delle critiche deliranti sui giacconi di montone degli anni Settanta, che sarebbero «fasci», agli odiatori da tastiera scatenati nell'oltraggio senza limite.
Nonostante sia fuori dalla top ten al botteghino, le presentazioni si sono chiuse in bellezza a Torino con una grande sala piena e Maria Grazia Grippo, presidente del Consiglio comunale, espressa dal Partito democratico. Presente a titolo personale avendo mosso i primi passi come giornalista quando, in alternanza con Gian Micalessin, dirigevo Notizia Oggi Vercelli. «Mi è tornato in mente un quadro, durante una riunione di redazione a casa di Fausto a Milano - ricorda Grippo - con tre soldati a cavallo. Uno era riverso sulla sella, in mezzo agli altri due e con il film ho conosciuto più da vicino questa storia». Maria Grazia «è la ragazza dei sogni», che con un percorso inverso rispetto ad Almerigo Grilz è passata dalla passione per il giornalismo a quella della politica. A Torino ha preso la parola anche Maurizio Marrone, assessore regionale di Fratelli d'Italia ringraziando il regista, Giulio Base, per non avere omesso la prima vita, politica, di Almerigo nel Fronte della Gioventù di Trieste. La parte «sbagliata» che lo ha condannato per decenni alla damnatio memoriae. La presentazione di Torino ha dimostrato che tutti possono venire a vedere il film e commentarlo, senza tirare fuori spranghe e chiavi inglesi, boicottaggi o insulti.
A Trieste, purtroppo, la città di Almerigo, il Pd locale è rimasto fermo agli anni settanta. La giovane segretaria, Maria Luisa Paglia, che non si capisce quale film abbia visto, emette addirittura un comunicato contro Albatross denunciando la «riscrittura ideologica» e rifiutando la «riconciliazione bipartisan». Il titolo dice tutto: «La cultura è libera, ma la storia non si omette o si falsifica». Il regista, che ha scritto la sceneggiatura, non si nasconde minimamente dietro un dito e in alcuni passaggi calca pure la mano. Grilz, come sempre, più che il primo giornalista caduto sul campo dopo la fine del secondo conflitto mondiale, rimane l'uomo nero «della destra neofascista» secondo il Pd triestino. Gli odiatori da tastiera, sulla pagina di TriesteCinema, sono riusciti a pubblicare una vignetta di un detrattore con il faccione del maresciallo Tito, che urina sulla tomba del «fascista di m». Grilz viene accusato di essere «un terrorista, mercenario» e al di sotto del genere umano. Roberto Bonazza scrive: «Beh uomo non esageriamo adesso». Igor Petelin si rammarica che non sia stato infoibato dai partigiani titini. Una delle chicche è il post di Alessandro Metz, che assieme a Casarini è sotto processo a Ragusa per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina con l'aggravante del profitto. Però pontifica: «A Trieste del giornalista non c'è traccia solo il ricordo di un fascista picchiatore».
Alle presentazioni, da Roma a Torino passando per Trieste e Milano le sale sono sempre gremite, ma nel capoluogo lombardo al cinema Anteo, cattedrale filmica della sinistra, abbiamo scoperto all'ultimo momento che non era gradito, come nelle altre città, l'intervento di Gian Micalessin e di chi scrive, fondatori dell'Albatross press agency con Grilz. A Milano e Monfalcone, la gente si è presentata per vedere il film, previsto nella programmazione o sui giornali, ma era sparito dalle sale. Ancora prima dell'uscita si è scatenato un bombardamento di critiche, sempre accettabili, se dotate di un minimo di senno.
Al contrario, sul Manifesto, un certo Alberto Piccinini, delira sostenendo che «costumista e regista hanno trovato particolarmente significativo avvolgere i due (Micalessin e Biloslavo, chi scrive) nei giacconi di montone che erano il top della moda fascia dell'epoca, assegnando per lo stesso motivo a Grilz un paio di Ray Ban a goccia. (Della nuova egemonia culturale farà parte anche una revisione dello stile e delle priorità vintage?)». Si trattava di innocui montoni del 1987 indossati nell'ultima foto che Almerigo ha voluto scattare a Trieste («non si sa mai»), un mese prima di venire ucciso in Mozambico, che il film ha ricostruito senza pensare che fosse un terribile simbolo «fascio». Albatross, di tutto, di più.
[continua]