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Articolo
16 dicembre 2025 - Prima - Italia - Il Giornale
Toghe pro Islam
Fausto Biloslavo
Regalo di Natale dei giudici all’imam di Torino, Mohamed Shahin. Grazie alla Corte d’appello di Torino è tornato in libertà facendo esultare pro Pal, mezza sinistra a cominciare da quella estrema, l’Anpi e associazioni varie amiche dell’Islam a casa nostra. Non solo: l’espulsione chiesta dal ministro dell’Interno per il “messaggero di un'ideologia fondamentalista ed anti-semita” non sarebbe più esecutiva, per ora. In realtà fonti del Viminale fanno sapere che si andrà avanti con il ricorso in Cassazione per ottenere il rimpatrio in Egitto.
Secondo il ministero dell’Interno l’imam “si è reso responsabile di comportamenti che costituiscono una minaccia concreta, attuale e grave per la sicurezza dello Stato”, ma i giudici hanno fatto spallucce accogliendo il ricorso dei legali. Fairus Hamed Jama, attivista che ha fondato l’ “Associazione Avvocati di Discendenza Straniera” e Gianluca Vitale di Giuristi democratici, dichiaratamente di sinistra e socio della solita Asgi pro migranti.
Nessuno deve avere visto le foto che il Giornale pubblica in esclusiva, che la dicono lunga sulla “moderazione” dell’imam di Torino. Il 12 agosto 2012 Shahin si fa immortalare sorridente, nella moschea di via Saluzzo del capoluogo piemontese, con Robert “Musa" Cerantonio, un convertito all’islam australiano, ma di padre calabrese. Noto in seguito come “il più famoso jihadista d’Australia” stava muovendo i primi passi da propagandista della guerra santa. Cerantonio, però, si fa pure scattare una fotografia mostrando una bandiera nera dell’Islam davanti piazza San Pietro. E spiega il suo credo: "I cristiani non meritano di avere chiese e l'Islam alla fine conquisterà Roma”. Il vessillo è stato adottato da al Qaida nella penisola arabica e con una forma un po’ diversa dal Califfato. Cerantonio verrà arrestato la prima volta nelle Filippine nel 2014 e nel 2019 si beccherà una condanna in Australia a sette anni di carcere per un complotto islamista.
Il consigliere Ludovico Morello, della Corte d’appello di Torino, ha sentenziato ieri che l’imam, recluso nel Centro di permanenza per il rimpatrio di Caltanissetta dal 24 novembre, può tornare in libertà. Si suppone senza avere idea della conoscenza con Cerantonio, il magistrato assolve Shahin per altri “contatti con soggetti indagati e condannati per apologia di terrorismo (vedi articolo sotto nda)” spiegando che "sono isolati e decisamente datati (si fa unicamente riferimento a una identificazione del 2012 e a una conversazione del 2018, quest’ultima peraltro intercorsa tra soggetti terzi) e sono stati ampiamente spiegati e giustificati dal trattenuto”. Sulle marachelle più recenti, come la giustificazione dell’attacco stragista di Hamas del 7 ottobre, “il procedimento relativo alle frasi proferite alla manifestazione del 9.10.2025 – di centrale rilievo nella presente vicenda è stato immediatamente archiviato (in data 16.10.2025) da parte della stessa Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino”. Le dichiarazioni pro Hamas dell’imam vengono candidamente considerate ““espressione di pensiero che non integra gli estremi di reato” e che, quindi, sono da ritenersi pienamente lecite”. Non solo: Shahin è un bravo religioso islamico che “ha espressamente e fermamente affermato di essere contrario a ogni forma di violenza”. 
Demolita anche l’ultima motivazione per l’espulsione relativa ad un blocco stradale dello scorso maggio durante una delle manifestazioni pro Pal, che non sono quasi mai pacifiche fino in fondo. Morello sostiene che “dall’esame degli atti emerge una condotta del trattenuto non connotata da alcuna violenza e/o altro fattore peculiare indicativo di una sua concreta e attuale pericolosità”. La spiegazione è disarmante: “il medesimo era meramente presente sulla tangenziale assieme ad altre numerose persone”. 
Alla fine si sottolinea che Shahin “presente in Italia da oltre 20 anni, nonché perfettamente integrato e inserito nel tessuto sociale del Paese - è soggetto completamente incensurato”. Ovviamente non ha importanza se sulla sua pagina Facebook ha pubblicato foto dei leader di Hamas sorridenti, che fanno con le dita il segno di vittoria, come Ismail Haniyeh, ucciso a Teheran lo scorso anno, e Khaled Mashal. E ancora prima dello sceicco Ahmad Yassin, eliminato dagli israeliani, che predicava la distruzione di Israele e l’impiego dei kamikaze. L’integrato e incensurato imam è un dichiarato oppositore del presidente egiziano Al Sisi e seguace dei Fratelli musulmani di Mohammed Morsi, fuori legge in Egitto. Per di più posta foto di kalashnikov e colori della Palestina, ma non è pericoloso. 
[continua]

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L'anticamera dell'inferno
Fausto Biloslavo TRIESTE - “Per noi in prima linea c’è il timore che il ritorno alla vita normale auspicata da tutti possa portare a un aumento di contagi e dei ricoveri di persone in condizioni critiche” ammette Gianfranco, veterano degli infermieri bardato come un marziano per proteggersi dal virus. Dopo anni in pronto soccorso e terapia intensiva lavorava come ricercatore universitario, ma si è offerto volontario per combattere la pandemia. Lunedì si riapre, ma non dimentichiamo che registriamo ancora oltre 250 morti al giorno e quasi duemila nuovi positivi. I guariti aumentano e il contagio diminuisce, però 17.569 pazienti erano ricoverati con sintomi fino al primo maggio e 1578 in rianimazione. Per entrare nel reparto di pneumologia semi intensiva respiratoria dell’ospedale di Cattinara a Trieste bisogna seguire una minuziosa procedura di vestizione. Mascherina di massima protezione, tuta bianca, copri scarpe, doppi guanti e visiera per evitare il contagio. Andrea Valenti, responsabile infermieristico, è la guida nel reparto dove si continua a combattere, giorno e notte, per strappare i contagiati alla morte. Un grande open space con i pazienti più gravi collegati a scafandri o maschere che li aiutano a respirare e un nugolo di tute bianche che si spostano da un letto all’altro per monitorare o somministrare le terapie e dare conforto. Un contagiato con i capelli grigi tagliati a spazzola sembra quasi addormentato sotto il casco da marziano che pompa ossigeno. Davanti alla finestra sigillata un altro paziente che non riesce a parlare gesticola per indicare agli infermieri dove sente una fitta di dolore. Un signore cosciente, ma sfinito, con i tubi dell’ossigeno nel naso è collegato, come gli altri, a un monitor che segnala di continuo i parametri vitali. “Mi ha colpito un paziente che descriveva la sensazione terribile, più brutta del dolore, di non riuscire a respirare. Diceva che “è come se mi venisse incontro la morte”” racconta Marco Confalonieri direttore della struttura complessa di pneumologia e terapia intensiva respiratoria al dodicesimo piano della torre medica di Cattinara. La ventilazione non invasiva lascia cosciente il paziente che a Confalonieri ha raccontato come “bisogna diventare amico con la macchina, mettersi d’accordo con il ventilatore per uscire dal tunnel” e tornare alla vita. Una “resuscitata” è Vasilica, 67 anni, operatrice di origine romena di una casa di risposo di Trieste dove ha contratto il virus. “Ho passato un inferno collegata a questi tubi, sotto il casco, ma la voglia di vivere e di rivedere i miei nipoti, compreso l’ultimo che sta per nascere, ti fa sopportare tutto” spiega la donna occhialuta con una coperta sulle spalle, mascherina e tubo per l’ossigeno. La sopravvissuta ancora ansima quando parla del personale: “Sono angeli. Senza questi infermieri, medici, operatori sanitari sarei morta. Lottano ogni momento al nostro fianco”. Il rumore di fondo del reparto è il ronzio continuo delle macchine per l’ossigeno. L’ambiente è a pressione negativa per aspirare il virus e diminuire il pericolo, ma la ventilazione ai pazienti aumenta la dispersione di particelle infette. In 6 fra infermieri ed un medico sono stati contagiati. “Mi ha colpito la telefonata di Alessandra che piangendo ripeteva “non è colpa mia, non è colpa mia” - racconta Confalonieri con il volto coperto da occhialoni e maschera di protezione - Non aveva nessuna colpa, neppure sapeva come si è contagiata, ma si struggeva per dover lasciare soli i colleghi a fronteggiare il virus”. Nicol Vusio, operatrice sanitaria triestina di 29 anni, ha spiegato a suo figlio che “la mamma è in “guerra” per combattere un nemico invisibile e bisogna vincere”. Da dietro la visiera ammette: “Me l’aspettavo fin dalla prime notizie dalla Cina. Secondo me avremmo dovuto reagire molto prima”. Nicol racconta come bagna le labbra dei pazienti “che con gli occhi ti ringraziano”. I contagiati più gravi non riescono a parlare, ma gli operatori trovano il modo di comunicare. “Uno sguardo, la rotazione del capo, il movimento di una mano ti fa capire se il paziente vuole essere sollevato oppure girato su un fianco o se respira male” spiega Gianfranco, infermiere da 30 anni. Il direttore sottolinea che “il covid “cuoce” tutti gli organi, non solo il polmone e li fa collassare”, ma il reparto applica un protocollo basato sul cortisone che ha salvato una novantina di contagiati. Annamaria è una delle sopravvissute, ancora debole. Finalmente mangia da sola un piattino di pasta in bianco e con un mezzo sorriso annuncia la vittoria: “Il 7 maggio compio 79 anni”.

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20 giugno 2017 | WDR | intervento
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Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento
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Missioni militari e interesse nazionale
https://www.radioradicale.it/scheda/535875/missioni-militari-e-interesse-nazionale Convegno "Missioni militari e interesse nazionale", registrato a Roma giovedì 15 marzo 2018 alle 09:23. L'evento è stato organizzato da Center for Near Abroad Strategic Studies. Sono intervenuti: Paolo Quercia (Direttore del CeNASS, Center for Near Abroad Strategic Studies), Massimo Artini (vicepresidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, Misto - Alternativa Libera (gruppo parlamentare Camera)), Fausto Biloslavo (giornalista, inviato di guerra), Francesco Semprini (corrispondente de "La Stampa" da New York), Arije Antinori (dottore di Ricerca in Criminologia ed alla Sicurezza alla Sapienza Università di Roma), Leonardo di marco (generale di Corpo d'Armata dell'Esercito), Fabrizio Cicchitto (presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa). Tra gli argomenti discussi: Difesa, Esercito, Esteri, Forze Armate, Governo, Guerra, Informazione, Italia, Ministeri, Peace Keeping, Sicurezza. La registrazione video di questo convegno ha una durata di 2 ore e 46 minuti. Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento
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Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra

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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento
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L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.

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