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24 febbraio 2020 - Il Fatto - Italia - Il Giornale
Il ministero: “Poche mascherine per gli agenti”
Fausto Biloslavo
Maschere e guanti che scarseggiano, allarme sovraffollamento nelle Questure, un metro e mezzo di distanza per evitare contagi e stop all\'addestramento sono alcuni passaggi dell\'ultima direttiva del ministero dell\'Interno sull\'emergenza virus. Sabato la direzione centrale Sanità del Viminale ha inviato a tutte le forze di polizia la nuova circolare sul Covid-19 «in considerazione della diffusione dell\'infezione () in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Lazio».
La prima frase che risalta del documento di cinque pagine in possesso del Giornale, riguarda i guanti e le mascherine, che sono in dotazione per fronteggiare l\'emergenza. «Si sottolinea che i dispositivi di protezione individuali, anche in considerazione dell\'attuale difficoltà di approvvigionamento degli stessi» saranno distribuiti in maniera selezionata al personale in «immediato contatto con il pubblico». In pratica viene ammessa, nero su bianco, la «difficoltà di approvvigionamento» ovvero di scorte sufficienti. Da questa mattina saranno schierati 300 militari per cinturare i due focolai del virus nella zona di Lodi e Padova assieme a 500 uomini delle forze dell\'ordine. L\'esercito ha organizzato un ponte aereo da Roma per inviare a Milano e Venezia ulteriore scorte di guanti e mascherine.
I sindacati della polizia hanno sollevato il problema e in risposta il Viminale ha spiegato che «da circa 10 giorni è stato attuato un piano nazionale di distribuzione dei dispositivi di protezione individuale per il personale della Polizia di Stato». Al Giornale risulta che alcune Questure, in prima linea nelle regioni a rischio, non ne hanno abbastanza. In un caso si è dovuto sopperire chiedendo in prestito alla scientifica guanti e mascherine. Dal Viminale assicurano che «ad oggi non c\'è poliziotto senza strumenti idonei. Abbiamo guanti e mascherine in quantità sufficiente, ma nessuno può immaginare quanto durerà l\'emergenza. Per questo distribuzione e utilizzo devono avvenire in maniera responsabile».
La stessa direttiva del 22 febbraio «raccomanda, nello specifico, negli uffici per il ricevimento del pubblico (immigrazione, passaporti, ecc.) di evitare il sovraffollamento dei locali e assicurare la frequente areazione degli stessi». E ordina di controllare che venga effettuata da parte delle ditte incaricate un\'accurata pulizia e disinfezione delle superfici e degli ambienti con comune candeggina.
Un\'altra disposizione riguarda la distanza che gli agenti dovrebbero tenere dal pubblico, compresi i migranti, che accedono agli uffici di polizia. «Utilizzare, ove esistenti, gli sportelli con vetro di protezione - si legge a pagina 4 della direttiva - e, comunque, mantenere un\'adeguata distanza pari ad almeno 1,5 metri dall\'utente». Facile a dirsi, ma più complicato metterlo in pratica. La gravità della situazione è dimostrata dalla richiesta di «non impiegare» nei contatti con il pubblico dipendenti «affetti da patologie croniche o maggiormente suscettibili alle infezioni». E soprattutto la circolare consiglia vivamente di «limitare () le occasioni che comportino condizioni di permanenza di più persone in ambienti circoscritti, quali attività addestrative ed esercitative, convegni, ecc.».
Poi si torna sulle protezioni soprattutto per gli agenti impegnati in strada o nelle stazioni. «Nei servizi di controllo del territorio, quali ad esempio quelli svolti dalla Polizia stradale e ferroviaria, in cui generalmente si verifica il contatto diretto con soggetti non immediatamente identificabili - recita la circolare - il personale operante sarà dotato dei DPI (dispositivi di protezione individuale nda) previsti (guanti e maschere facciali FFP3), che dovranno essere utilizzati nel caso in cui si verifichino concrete condizioni di rischio». La mascherina FFP3 è indicata per il coronavirus, ma servirebbero anche gli occhiali. In diversi casi si è preferito non fare indossare le protezioni a tutti gli agenti e di continuo per evitare che aumenti ancora di più il panico e la psicosi collettiva.
[continua]

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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