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07 gennaio 2025 - Prima - Italia - Il Giornale
La verità sul caso Belloni Già pronto il successore
Nel giro di 2-3 giorni verrà scelta «la persona giusta» alla guida del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, che coordina i servizi, dopo le dimissioni confermate, il 15 gennaio, di Elisabetta Belloni. Il Giornale ha ricostruito la vicenda che sta provocando la solita trottola di nomi di presunti successori.
Si parla di Bruno Valensise, che ha ricoperto l’incarico di numero due al Dis, ma è stato nominato a capo dell’Aisi, l’intelligence interna. Difficile che vengano rimescolate le carte. Sta circolando anche il nome del prefetto di Roma, Lamberto Giannini, nominato dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ma vicino a Franco Gabrielli che piaceva a Draghi e alla sinistra. Si parla anche dell’attuale capo della polizia, Vittorio Pisani o della «suggestione» del generale Figliuolo, che però ai primi di dicembre è diventato uno dei vice del servizio segreto estero. Nomi che vengono fatti uscire forse per bruciarli o per creare una cortina fumogena sui veri papabili.
Non è saltato ancora fuori, Giuseppe Del Deo, uno dei vicedirettori del Dis, che sarebbe una scelta interna naturale. L’altro vice, una donna, andrà in pensione. Del Deo era stato sponsorizzato dal ministro della Difesa, Guido Crosetto e dal sottosegretario alla Presidenza, Giovanbattista Fazzolari per il vertice del servizio interno poi finito a Valensise. Però sarebbe stato spostato al Dis per la faccenda mai chiarita di barbe finte o presunti tali, che si aggiravano attorno alla macchina del Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Voci o veleni, che non sono estranei all’ambiente dell’intelligence.
Il Giornale è in grado di confermare che il ricambio di Belloni, in scadenza maggio, era fisiologico. La prima donna a capo del Dis sapeva bene che non sarebbe stata riconfermata e ha giocato d’anticipo.
Uno dei motivi era tirarsi fuori dal tritacarne, che talvolta non esclude dossieraggi, visto anche con altri avvicendamenti nei servizi. In pratica voleva chiamarsi fuori, prima di fare da tiro al bersaglio e il 23 dicembre l’annuncio delle dimissioni era già stato concordato dopo le feste. L’uscita preventiva su Repubblica è stato uno scivolone e nonostante le secche smentite su nuovi incarichi europei è vero che la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha già un posto di rilievo per Belloni. Una specie di super sherpa, incarico che ha ricoperto per conto del governo italiano nell’anno di presidenza del G7. Un ruolo importante ai piani alti di Bruxelles, che non dispiace al governo Meloni. E al Quirinale continuerà a godere della fiducia del presidente, Sergio Mattarella, da sempre suo lume tutelare.
Il capo dimissionario del Dis è in realtà una eccellente veterana della diplomazia, che ha pestato un po’ di piedi e non è mai stata particolarmente amata dal ministro degli Esteri e vicepremier, Antonio Tajani. Non solo: Belloni non si è mai trovata completamente a sua agio nel mondo delle barbe finte, che a sua volta la considera un elemento esterno. Giorgia Meloni ha sempre lavorato bene con la prima donna del Dis, ma ci sono stati degli attriti anche se non determinanti per uno strappo, con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano.
Piuttosto, a ridosso della decisione sulle dimissioni anticipate di 4 mesi, c’è stata maretta e scaricabarile, fra l’Aise e il Dis, sulla mancata «allerta» o «esfiltrazione» di Cecilia Sala, che non era l’unica giornalista del nostro paese in Iran, quando abbiamo arrestato l’ingegnere dei droni dei Pasdaran a Malpensa su mandato di cattura americano.
Il governo Meloni è l’unico, che dopo due anni ha cambiato solo il vertice del servizio segreto interno. Nonostante la bagarre scatenata dall’anticipazione di Repubblica, quando il presidente del Consiglio rientrava dall’incontro con Donald Trump e all’inizio del caso Sala, il cambio al vertice del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza era fisiologico. Una veterana delle istituzioni come Belloni ha voluto giocare d’anticipo per evitare di venire impallinata più in là, ma alla fine è finita lo stesso nel «tritacarne» dei cambi ai vertici dei servizi.
[continua]

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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento
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L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.

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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento
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Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea. Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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