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Reportage
29 agosto 2008 - Prima - Afghanistan - Il Foglio
Noi e gli americani in battaglia
GARMSIR – Una lunga raffica di mitragliatrice fa sobbalzare i marines. Apache sud l’avamposto sperduto, la punta più meridionale dell’avanzata americana nella provincia di Helmand, è sotto attacco. I talebani hanno lanciato due razzi Rpg ed i marines della compagnia Alfa stanno rispondendo al fuoco con raffiche intermittenti e mirate. Al comando dell’unità americana, in un altro avamposto dove si sentono bene i tonfi dello scontro, sono tutti ai posti di “combattimento”. Uno specialista dei marines collega ad una linea riservata il suo computer portatile e corazzato. Sullo schermo arrivano le immagini in diretta girate da un velivolo senza pilota, che sta sorvolando Apache sud. L’unica differenza con la realtà è che si tratta di un video in bianco e nero. La telecamera del piccolo aereo si focalizza su una casa afghana all’angolo di una strada, dove il giorno prima siamo passati con una pattuglia dei marines. I talebani hanno lanciato i razzi nascosti dal muro di cinta, ma si sono subito dileguati. Un attacco “mordi e fuggi” per tastare le difese degli “infedeli”, che hanno fatto a pezzi la loro roccaforte nel distretto di Garmsir. L’impennata degli allarmi per le trappole esplosive e questo attacco di “prova” fanno temere il peggio. I talebani stanno prendendo le misure per passare al contrattacco.
Apache sud è la preda più esposta ed ambita. Un “fortino” afghano di un centinaio di metri per 50, diviso in due compound. In mezzo c’è un polveroso spiazzo per gli Humve, i gipponi bassi degli americani. Oppure gli alti e tozzi Mrep, un mezzo blindato speciale con un fondo a V, che dovrebbe resistere alle trappole esplosive. Il “fortino” è immerso nel verde delle coltivazioni, ma isolato rispetto alle altre case afghane che spuntano a macchia di leopardo. Tutto attorno Apache sud i marines hanno steso il filo spinato. Ai quattro angoli dell’avamposto i sacchetti di sabbia nascondono dei nidi di mitragliatrice. Giorno e notte le sentinelle di guardia scrutano la zona con il dito sul grilletto.
La base più a sud della Nato nella provincia di Helmand sembra l’avamposto degli uomini perduti, che si adattano alla dure condizioni di vita in questo angolo di Afghanistan. Molte delle brande da campo dove dormono i marines sono all’aperto rasenti ai muri di terra e fango per trovare un filo d’ombra. Tende e teli mimetici, che servono a ripararsi dal sole a picco, hanno trasformato l’avamposto in una specie di baraccopoli. Le poche stanze polverose sono stracolme di marines con i loro zaini e le armi a fianco della branda. Per entrarci bisogna tapparsi il naso. Un lezzo di sudore e di ambiente chiuso ti prende alla gola. Poi ti abitui e sopravvivi. Chi sceglie un tetto di stelle delle splendide notti afghane deve rinchiudersi in una zanzariera, simile ad un loculo di rete traforata. L’avamposto ospita un centinaio di marines, che per urinare scavano un buco rettangolare a terra e poi lo ricoprono quando trabocca. Per bisogni più importanti i marines hanno inventato un ottimo sistema. Attorno ad un finto gabinetto di plastica si infila un sacco verde speciale, dentro il quale si fa la cacca. Una volta finito si chiude il sacco grande dentro uno più piccolo e resistente. Poi si butta il “pacco” in una fossa, ad un passo dalla base, in mezzo al fuoco di un improvvisato inceneritore a cielo aperto.
Apache sud ricorda gli avamposti dimenticati ripresi in tanti film sul Vietnam. I marines hanno sistemato pure un tavolo, che si appoggia su pile di scatoloni vuoti di Mre, le razioni di combattimento. Sul tavolaccio spunta una bandierina americana e le foto di donnine in costume. Non manca mai un po’ di musica rock amplificata da piccole casse diventate opache per la sabbia. Ogni tanto con i rifornimenti arrivano i giornali americani. John Tricklar, una specie di “gigante buono” di 21 anni, è appena rientrato da una pattuglia e si rilassa sulla branda sfogliando la copia di un tabloid dedicata a Barack Obama, il candidato democratico alle presidenziali Usa. John viene da un paesino del Tennesee, talmente minuscolo che non lo trovi sulla carta geografica. “Fin da piccolo mi è rimasta impressa la figura di un marine in alta uniforme che montava la guardia, dritto ed immobile. Da quel momento ho capito che la mia vita sarebbe stata nelle truppe da sbarco” spiega il caporale. A 18 anni si è arruolato. Lo hanno mandato a Ramadi nel famigerato triangolo sunnita dell’Iraq e adesso in Afghanistan.
Nell’avamposto perduto i marines hanno ricavato un mini campo di pallavolo e si sfidano fino all’ultima battuta davanti ad una gigantesca bandiera a stelle e strisce distesa su un muro del fortino. Il tenente Chris Franklin, comandante del plotone, sembra non preoccuparsi troppo del caldo torrido, che in alcuni casi ha sfiorato i sessanta gradi. Agli estremi di una sbarra di ferro ha legato un paio di sacchetti di sabbia inventandosi un bilanciere. Quando non è attaccato alla radio del posto di comando, per controllare gli spostamenti delle pattuglie, si distende a terra vicino ad un gigantesco ventilatore. Tira su gli improvvisati pesi per farsi i muscoli, come se fosse in palestra. Ogni tanto, però, il caldo soffocante fa saltare le batterie della radio da campo. Tutti fuggono dal loculo del comando fino a quando il fumo nocivo della batteria che bolle non si dirada.
“Viviamo così da tre mesi, ma questo posto lo chiamiamo “casa”. All’inizio si dormiva per terra. Da quando ci hanno portato le brande da campo, poche settimane fa, Apache sud è diventato un “hotel” a cielo aperto” spiega con una risata il tenente Miller Shawn. Occhi verdi, texano, 24 anni, comanda il 2° plotone ed è al suo battesimo del fuoco. Sotto la branda ha una copia della Bibbia. In battaglia ha visto i corpi dilaniati dei talebani ed i turbante neri insanguinati.
Il sergente maggiore Galen Haffner, invece, è il “vecchio” del plotone a soli 29 anni. Tira fuori un piccolo album che tiene sempre in tasca, con le foto della figlia Adah. La bimba è nata il 20 giugno nel Wisconsin, mentre papà combatteva in Afghanistan.
Occhi azzurri, biondino, il sergente dei marines ha un telefono satellitare per chiamare ogni tanto a casa. Nel villaggio di Wakil Kamal, vicino ad Apache sud, ha visto la morte in faccia. I talebani sono riusciti a scoperchiare il tetto di una casa, dove erano annidati i marines, a colpi di razzi Rpg. “Allora sono arrivati i “Comanche” i tiratori scelti e ne hanno fatto fuori 36” racconta il sergente americano con il cuore nel Wisconsin. Beccare i talebani non era facile perché si nascondevano a 400 metri dai marines, in mezzo agli alberi, dove avevano scavato delle trincee. “Non riuscivano a vederli, neppure di giorno, a causa della zona d’ombra garantita dagli alberi” spiega Haffner. Gli Scout sniper, i cecchini dei marines, lavorano in coppia. Uno è il puntatore che individua l’obiettivo e l’altro spara. “La storia più incredibile è quella di un puntatore che aveva individuato solo il mezzo busto di un talebano con una camera termica, ma il tiratore scelto non riusciva a inquadrarlo nel mirino telescopico” ricorda il sergente maggiore. Il puntatore non si è perso d’animo indicando al suo compagno di quanto alzare il fucile di precisione e di spostarlo per alcuni gradi. Fino a quando il talebano non è finito nel mirino. “A quel punto il tiratore ha sparato senza vedere l’obiettivo, ma centrandolo in pieno” spiega Haffner.
La vita negli avamposti dei marines nella provincia di Helmand è dura, non solo per la minaccia talebana. Di notte capita che i ragni ti massacrino i talloni mangiandoti le calze. Se non consumi una decina di bottigliette d’acqua minerale al giorno, solitamente calda come il tè, l’urina diventa scura. Il primo segnale della disidratazione. I marines attaccano dappertutto la scala dei colori della pipì per farti capire se il tuo fisico sta cedendo al caldo. Per raffreddare un po’ l’acqua infilano le bottigliette di plastica dappertutto. Compreso un pertugio nei gipponi vicino ad una ventola che le rende fresche. L’acqua dei pozzi, che escono dalle pompe stile Far West degli avamposti hanno spesso un colorito marrone, ma è l’unica per lavarsi. Da mesi i marines vanno avanti con le razioni di combattimento. Le variazioni di menù prevedono piatti pronti per musulmani senza carne di porco, rigorosamente kosher per gli ebrei, piccanti per i messicani e l’immancabile pasta italiana. Nonostante l’offerta i marines preferiscono le razioni a base di pollo.
All’imbrunire arrivano le zanzare talmente fastidiose da venir ribattezzate “Mig sovietici”. I marines hanno una pomata bianca nauseabonda che devi spalmarti sulla pelle per tenere lontano le bestiacce e la malaria. Con il calare del buio, per chi non va in pattuglia, c’è un attimo di relax. Un computer portatile diventa il piccolo schermo del cinema all’aperto di Apache sud. Una mezzaluna che fa capolino nel cielo stellato è il contorno della prima notte passata con i marines dell’avamposto perduto. Il dvd in programmazione non poteva essere che Full metal Jacket, una pietra miliare dei film americani sulla guerra in Vietnam.
I marines della compagnia Alfa escono di pattuglia a piedi. Oltre l’avamposto c’è la terra di nessuno, i talebani ed il Pakistan a poche ore di macchina lungo una sola strada. I soldati americani la chiamano Cowboy road. Le pattuglie organizzano posti di blocco volanti alla ricerca di terroristi suicidi. Oppure rifornimenti di carburante, che cercano di eludere la tenaglia dei marines. Più a nord i talebani che combattono contro le truppe britanniche nella provincia di Helmand hanno disperato bisogno di benzina.
I marines del primo plotone si piazzano ai lati della strada polverosa e sconquassata dalle buche. Un paio di soldati, assieme all’interprete afghano, intimano al camion o all’automobile in arrivo da sud di fermarsi a distanza di sicurezza. Poi viene ordinato agli afghani di spegnere il motore, scendere dal mezzo e sollevare le lunghe tuniche che usano da questa parti per mostrare che sotto non portano armi o cinture esplosive. Alla fine i marines si avvicinano per controllare meglio. Qualche afghano saluta cordialmente, altri ti guardano come se non aspettassero altro che tagliarti la gola. Il sergente Michael Nesmith, 23 anni, oncia di tabacco in bocca e baffetti alla Clark Gable ha le idee chiare. “Siamo in Afghanistan a fare la cosa giusta: spazzare via i talebani. E ci resteremo fino a missione compiuta” ribadisce il sergente di ferro.
Missione non facile come dimostra il parabrezza di un blindato americano scheggiato dal proiettile di un cecchino. “Il mezzo lo hanno colpito 65 volte, ma siamo ancora vivi” sottolinea John Gordon, 23 anni della Florida, con la fronte imperlata di sudore. Al collo porta orgoglioso i resti di una pallottola di kalaschnikov, che si era conficcata nel suo zaino appeso sul tetto del blindato.
Al ritorno dalla prima linea, salendo su un camion corazzato, quasi inciampiamo su un fagotto umano, sporco e lacero accovacciato in un angolo. Barba impolverata, rapato a zero, benda sugli occhi, mani legate, ha appeso ai polsi un cartellino bianco con scritto il nome, Wali Jan. E’ un sospetto talebano fatto prigioniero dai marines. Dopo un po’ ne salgono altri due appena fermati ad un posto di blocco, che sembrano meno pericolosi. Wali Jan si dimena, cerca di tirarsi giù la benda, urla e protesta. Indossa una maglietta nera strappata, un paio di pantaloni a sbuffo, che una volta erano azzurri e puzza come un caprone. Un marine lo tiene sotto tiro. Sull’elmetto ha scritto “fuck the taleban” e “sono orgoglioso di essere repubblicano”. Il soldato americano è da quattro mesi in prima linea e ha gli scarponi bucati. Non vede l’ora di arrivare nella base delle retrovie dove consegnerà il prigioniero e si godrà la prima pausa dagli inizi dei combattimenti a fine aprile. Chi tratta peggio il sospetto talebano è un interprete afghano: “Io andrò in America a scopare e bere birra, tu finirai a Guantanamo con la tuta arancione”. Diamo una bottiglia d’acqua al prigioniero, che beve con avidità. Il marine di guardia non gli torce un capello, ma diventa sempre più nervoso e lo insulta con il dito sul grilletto chiamandolo “scimmia”. Dopo aver sbarcato l’interprete, nell’ultima parte del viaggio infernale nel deserto la colonna non si ferma mai. Quando arriviamo a camp Dweyr fanno scendere i prigionieri. Il sospetto talebano lacero e sporco emana un odore terribile. Soffre di diarrea e non è riuscito a trattenere una scarica. Ad un certo punto si era alzato urlando nel retro del camion, in mezzo al deserto, forse nel tentativo di spiegarsi, ma parlava solo pasthu e nessuno l’ha capito.
Fausto Biloslavo


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28 agosto 2008 | Studio Aperto | reportage
Afghanistan: italiani in guerra
Studio aperto, Tg1 e Tg2 hanno lanciato il nostro servizio esclusivo di Panorama sui soldati in guerra in Afghanistan. Le immagini che vedete non sono state girate da me o da Maki Galimberti che mi accompagnava come fotografo, come dicono nel servizio, bensì dagli stessi soldati italiani durate la battaglia di Bala Murghab.
Di seguito pubblico il testo che ho ricevuto dai coraggiosi cineoperatori con l'elmetto: "Nei giorni dell’assedio di Bala Murghab il 5,6,7 e 8 agosto, con i fucilieri della Brigata Friuli erano presenti anche quattro militari Toni T. , Francesco S. , Giuseppe N. , Giuseppe C. , tutti provenienti dal 28° Reggimento “Pavia” di istanza Pesaro. È stato proprio il C.le Mag.Sc. Francesco S. a girare le immagini che vedete con una telecamera di fortuna, in condizioni difficili e con grande rischio personale.Infatti tra i compiti assolti dal 28° Reggimento di Pesaro c’è proprio la raccolta di informazioni e documentazioni video sulle operazioni di prima linea".

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22 agosto 2008 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Taccuino di guerra - Predator: gli occhi invisibili del contingente italiano
Afghanistan,un'estate in trincea.In prima linea con i soldati italiani

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07 agosto 2008 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Taccuino di guerra - In pattuglia con i marines
Afghanistan, un'estate in trincea. In prima linea con i marines

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08 agosto 2008 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Taccuino di guerra - Cowboy road la strada dei kamikaze
Afghanistan, un'estate in trincea. In prima linea con i marines

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12 agosto 2008 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Taccuino di guerra - Il prigioniero talebano
Afghanistan,un'estate in trincea. In prima linea con i marines

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22 agosto 2008 | Panorama.it | intervento
Afghanistan
Tre soldati italiani feriti a nord di Kabul
Tre soldati italiani sono rimasti feriti da un’esplosione a nord di Kabul.Ieri mattina verso le 7.20, le 4.50 in Italia, una piccola colonna del nostro contingente si stava dirigendo fuori dalla capitale. Circa 20 chilometri a nord di Kabul un mezzo è stato investito da un’esplosione nella parte posteriore. Il veicolo coinvolto è un Vm 90, il meno protetto che abbiamo dispiegato in Afghanistan. Nella parte dietro è scoperto e ha solo due piastre protettive laterali. L’esplosione non deve essere stata molto forte, perché ha provocato solo tre feriti leggeri. Se fosse stata una vera e propria trappola esplosiva non ci sarebbero superstiti su quel tipo di mezzo. Forse si è trattato di un ordigno che ha fatto cilecca.

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