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Reportage
13 agosto 2009 - Esteri - Afghanistan - Panorama
Strane storie dal fronte
Attorno alla base Tobruk
sembra quasi che sia
passato il diavolo. Il caldo
soffocante del deserto
avvolge una lama
d’asfalto che chiamano Ring road e collega
la provincia di Farah al resto del paese.
I talebani sono a pochi chilometri, annidati
nelle roccheforti di Bala Baluk e
Shewan. Piazzano trappole esplosive, lanciano
razzi e organizzano imboscate contro
i soldati italiani.
In questa terra di nessuno sventola il
tricolore. Base Tobruk è il fortino più
avanzato dei parà nell’Afghanistan sudoccidentale,
tenuto con le unghie e con
i denti dalla 6ª compagnia Grifi, «Impavidi
e bestiali» come recita il loro motto
di battaglia. Il posto giusto per un abbraccio
in prima linea fra padre e figlio.
Tutti e due con il basco amaranto della
Folgore, partiti per la prima volta in missione
assieme. Il colonnello Danilo Prestia,
51 anni, veterano dei fronti difficili,
è assegnato al comando del contingente
italiano di Herat. Fra i 120 uomini della base Tobruk c’è suo figlio,
Alessandro, 24 anni, che a fine luglio ha
vissuto il battesimo del fuoco.
«Quando si è arruolato e poi siamo
partiti assieme per l’Afghanistan, mia
moglie ha detto: “Non bastava uno scemo
in famiglia, adesso siete in due”» racconta
con ironia il colonnello Prestia.
Barba spruzzata di grigio, occhi azzurri
limpidissimi come il suo ragazzo, ammette
che i momenti difficili non mancano.
«Quando il 14 luglio è stato ucciso
da una trappola esplosiva Di Lisio, la
prima notizia parlava di un caporalmaggiore
che si chiamava Alessandro, come
mio figlio. È stato un momento terribile
» ricorda l’ufficiale dei parà. «Se gli capitasse
qualcosa, mi sentirei in colpa, ma
in fondo questa è la sua scelta di vita».
Il giovane Alessandro, maglietta verde
e capelli corti, sorride sotto la tenda
comando della base Tobruk: «Papà mi
ha spianato la strada: la mamma oramai
è addestrata. Questa vita ce l’ho nel sangue.
Quando sono sbarcato dall’elicottero
la sabbia mi ha avvolto, il caldo era
terribile e davanti avevo solo case in fango
e paglia con gente che mi guardava
come fossi un marziano. Non era più un
servizio in tv, ma il vero Afghanistan».
Il 25 luglio nel covo dei talebani di
Shewan sembrava tutto tranquillo durante
l’avanzata dei parà con i soldati afghani.
A un tratto però sono cominciati
a piombare sugli italiani i primi colpi di
mortaio. Il caporalmaggiore Prestia non
ci ha pensato due volte a premere il grilletto
della sua Browning, la mitragliatrice
sul tetto del blindato.
«Un attimo di paura l’ho avuto, è
umano, poi ho pensato solo a combattere
» racconta Alessandro. «Sopra la testa
mi fischiavano i proiettili, vedevo i talebani
correre e prendere posizione per colpirci
con i razzi Rpg». Mascella squadrata,
bicipiti da palestra, il giovane parà
non ha raccontato nulla a casa. E neppure
il padre ha osato.
Fra i paracadutisti dell’avamposto in
prima linea il maresciallo Antonino Tasca
sta preparando i bagagli. Va in licenza
perché fra una settimana nascerà il suo
primo maschietto. Nella provincia di Farah
guida sugli obiettivi, con il laser, le
bombe degli aerei. Finora, per fortuna,
non è stato necessario. «Con mia moglie
Sara sono in contatto via internet su Skype
» racconta Tasca, 32 anni, siciliano.
«Mi ha fatto arrivare un dvd con l’ecografia,
così ho visto anche il bambino nel
pancione della mamma». Sul cruscotto
del blindato Lince tiene Aldino il pinguino,
un pupazzo portafortuna. A fine
mese, dopo la nascita del figlio, tornerà
in Afghanistan.
Soldati veri, che non si tirano indietro,
come il tenente colonnello Roberto Trubiani
alla testa dei parà del reggimento
Nembo a Bala Murghab, sul fronte nord.
L’ufficiale è cognato di Flavia Perina, direttore
del Secolo d’Italia, e sul cappellino
ha scritto il nomignolo di battaglia:
Aragorn, mitico personaggio di John
R.R. Tolkien. Sotto la tenda si è portato
lo spadone del principe guerriero del Signore
degli anelli, il regalo di un soldato.
Un altro ufficiale che sembra nato per
fare il paracadutista è il capitano Aldo
Lanteri. Barba rossiccia, occhi chiari, è il
comandante degli Angeli neri, una compagnia
dell’8º reggimento guastatori di
Legnago. I suoi uomini fanno il lavoro
più infame: gli apripista per sfidare la
minaccia delle trappole esplosive. Il 16
giugno sulla famigerata statale 517 (la
stessa sulla quale un mese dopo avrebbe
perso la vita Di Lisio, anche lui uno degli
Angeli neri) il capitano era a bordo
di un Buffalo, un mostro d’acciaio fatto
apposta per stanare le mine. «Il frastuono
è stato terribile e il fumo nero dell’esplosione
ci ha subito avvolti. Eravamo
saltati su un ordigno che ha portato
via uno pneumatico» racconta Lanteri.
«Il mezzo si è inclinato su un fianco andando
avanti per un minuto, senza controllo,
sulle due ruote opposte. Quando
ci siamo fermati, incolumi, abbiamo
pensato: che fortuna». Da quel giorno
l’ufficiale è stato soprannominato «il Santo
» e i suoi uomini lo toccano come fosse
un miracolato.
A garantire la sicurezza delle elezioni presidenziali del 20 agosto penseranno anche
due gemelli parà. Aldo e Angelo Sarappa sono nati il
4 maggio 1978 a cinque minuti di distanza l’uno dall’altro.
In Afghanistan li hanno separati, ma di poco.
Aldo è in prima linea nell’avamposto Tobruk e Angelo
si trova con la 4ª compagnia Falchi, in una base
40 chilometri più a nord. «Siamo come Mazinga, due
componenti dello stesso essere. Fin da piccoli giocando
con i soldatini ci piacevano i paracadutisti. Poi un
giorno abbiamo deciso di lanciarci nel vuoto saltando
dal balcone su un camion posteggiato sotto casa»
racconta Aldo. Questi gemelli di Latina sono come
due gocce d’acqua, a parte i capelli che Angelo continua
a difendere: stessa classe, bocciati assieme, hanno
trovato due sorelle come moglie di uno e fidanzata
dell’altro. Nella Folgore sono entrati come un sol
uomo e all’estero erano tutti e due in Kosovo, Iraq e
Afghanistan nel 2003.
«Inutile nasconderlo: la preoccupazione non manca
» racconta Aldo. «Quando la compagnia di mio fratello
esce in missione gironzolo attorno alla sala radio
per sentire se succede qualcosa». Muscolosi e con una
rondine come tatuaggio comune, sono uniti da un filo
invisibile: un po’ per scelta, un po’ per scaramanzia
non amano farsi fotografare assieme. «L’11 giugno è
stato il giorno più difficile. Mio fratello era sotto il fuoco
talebano e la mia compagnia è stata allertata per dare
man forte in caso di necessità. Al suo fianco sarei stato
più tranquillo. Lo avrei raggiunto anche a piedi»
spiega Angelo nella base di Shouz, a sud di Herat.
Dall’altra parte dell’Afghanistan, a Kabul, sono in
missione due sposi di Siena. Rossella Di Donato, 28
anni, e Giovanni Bozzini, 45, portano il basco amaranto
del 186º reggimento della Folgore, schierato
nella capitale e nella pericolosa valle di Mushai. Si sono
conosciuti cinque anni fa in Kosovo e sposati poche
settimane prima della partenza per l’Afghanistan.
Non c’è stato tempo per il viaggio di nozze e a Camp
Invicta i coniugi dormono separati. Lei è caporalmaggiore
in sala radio e lui primo maresciallo assegnato
alle attività umanitarie dell’unità Cimic. Da 25 anni
sotto le armi, Bozzini è stato decorato in Somalia per
un conflitto a fuoco. Infastiditi dall’attenzione mediatica
non parlano più con i giornalisti, ma la coppia
in missione a Kabul ha un grande sogno: «Appena
torniamo a casa arriverà il primo figlio».
Altri parà portano nello zaino le calzette del loro
neonato, che hanno tenuto fra le braccia prima di partire.
E pregano San Michele, protettore dei paracadutisti,
di farli rientrare in patria. Quando escono verso
l’ignoto nei blindati, accendono a tutto volume la musica
dei giovani d’oggi. Oppure, prima della battaglia,
si caricano con la colonna sonora remixata del
film Il gladiatore. Un modo come un altro per esorcizzare
la paura della morte. Il giovane caporalmaggiore
Prestia, invece, il suo credo l’ha tatuato sul braccio.
Il paracadute con una frase della preghiera della
Folgore: «Se è scritto che cadiamo sia».




video
15 novembre 2001 | TG5 - Canale 5 e Studio Aperto - Italia 1 | reportage
Si combatte a sud di Kabul
Si combatte a sud di Kabul

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29 luglio 2015 | Sky Tg24 | reportage
Omar il fantasma
“Mullah Omar, il capo dei talebani, è morto nel 2013” rivela il governo di Kabul, ma sulla sua fine aleggia il mistero. Il leader guercio dei tagliagole afghani, dato per morto tante volte, è sempre “resuscitato”. Questa volta, per Omar il fantasma, potrebbe essere diverso. Abdul Hassib Seddiqi, portavoce dell’Nds, l’intelligence di Kabul ha sostenuto in un’intervista al New York Times che l’imprendibile mullah “è morto due anni fa in un ospedale alla periferia di Karachi, città pachistana”. Sicuramente l’Isi, il potente servizio segreto militare di Islamabad, aveva idea di dove fosse. Non è escluso che il capo dei talebani sia stato un sorvegliato speciale, praticamente agli arresti domiciliari, a Qetta, capoluogo della provincia pachistana del Baluchistan al confine con l’Afghanistan. Un ex ministro dei talebani ha dichiarato ieri, in cambio dell’anonimato, che il mullah “è morto due anni e 4 mesi fa di tubercolosi e poi sepolto in Afghanistan” in gran segreto.

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20 maggio 2010 | Rai 1 Mattina | reportage
L'ultimo addio ai caduti
I funerali di stato, a Roma per il sergente Massimiliano Ramadù ed il caporal maggiore Luigi Pascazio. La mattina del 17 maggio sono saltati in aria su una trappola esplosiva lungo la “strada maledetta”. Una pista in mezzo alle montagne di sabbia che porta da Herat, il capoluogo dell’Afghanistan occidentale, a Bala Murghab, dove i soldati italiani tengono con le unghie e con i denti una base avanzata. I caduti fanno parte del 32° reggimento genio guastatori della brigata Taurinense.
Il racconto di come vivono e combattono i nostri soldati in Afgahnistan.

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radio

14 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani / Trappola esplosiva per i parà
SHEWAN - Il fumo nero e lugubre si alza in un istante per una quindicina di metri. “Attenzione Ied alla testa del convoglio” lanciano subito l’allarme per radio i paracadutisti della Folgore in uno dei blindati più vicini all’esplosione. La tensione è alle stelle. La trappola esplosiva, chiamata in gergo Ied, era nascosta sulla strada. I parà che spuntano della botola dei mezzi puntano le mitragliatrice pesanti verso le casupole di Shewan, roccaforte dei talebani. La striscia d’asfalto che stiamo percorrendo è la famigerata 517, soprannominata l’autostrada per l’inferno. Il convoglio composto da soldati italiani, americani e poliziotti afghani scorta due camion con il materiale elettorale per le presidenziali del 20 agosto. I talebani di Shewan da giorni annunciano con gli altoparlanti delle moschee che i veri fedeli dell’Islam non devono andare alle urne. Chi sgarra rischia di venir sgozzato o quantomeno di vedersi tagliare il dito, che sarà segnato con l’inchiostro indelebile per evitare che lo stesso elettore voti più volte. La colonna è partita alle 13.30 da Farah (Afghanistan sud occidentale) per portare urne, schede e altro materiale elettorale nel distretto a rischio di Bala Baluk. Novanta chilometri di paura, con i talebani che attendono i convogli come avvoltoi. Prima ancora di arrivare nell’area “calda” di Shewan giungevano segnalazioni di insorti in avvicinamento verso il convoglio. Li hanno visti i piloti degli elicotteri d’attacco Mangusta giunti in appoggio dal cielo. Ad un certo punto la strada si infila fra quattro casupole in fango e paglia, dove i civili afghani sembrano scomparsi da un momento all’altro. I talebani avevano già colpito e dato alle fiamme due cisterne afghane ed un camion che trasportava un’ambulanza. Le carcasse fumanti che superiamo sono la prima avvisaglia che ci aspettano. Nel blindato Lince del tenente Alessandro Capone, 30 anni, romano, comandante del primo plotone Nembo, i parà sono pronti al peggio. La trappola esplosiva ha colpito un Coguar americano, all’inizio della colonna con l’obiettivo di immobilizzarlo e bloccare tutto il convoglio. Invece il mezzo anti mina resiste e prosegue senza registrare feriti a bordo. Sui tetti delle casupole stanno cercando riparo alcuni soldati dell’esercito afghano. “L’Ana (le forze armate di Kabul nda) ha visto qualcosa” urla il parà che spunta dalla botola del Lince. Tutti hanno il dito sul grilletto e ci si aspetta un’imboscata in piena regola dopo lo scoppio dell’Ied. Invece la coppia di elicotteri Mangusta che svolazzano bassi su Shewan consigliano i talebani di tenere giù la testa. L’attacco è fallito. Il materiale elettorale un’ora dopo arriva destinazione, ma la battaglia per le elezioni in Afghanistan continua.

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11 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ A caccia dei razzi talebani
A caccia di mortai e razzi talebani che colpivano Tobruk, la base più avanzata dei paracadutisti italiani nella famigerata provincia di Farah. E’ questa la missione del 2° plotone Jolly guidato dal maresciallo Cristiano Nicolini, 35 anni, di Ancona. Si esce di notte con i visori notturni montati sull’elmetto che fanno sembrare il paesaggio afghano ancora più lunare di quello che è, con una tinta verdognola. Si va verso Shewan la roccaforte dei talebani, dove gli inosrti hanno scavato tunnel e cunicoli che collegano le case, le postazioni trincerate e spuntano a 300 metri dall’abitato in campo aperto. Come i vietcong. Un reticolo mortale per i parà che da queste parti hanno combattuto battaglie durissime. “Negli ultimi due mesi le trappole esplosive e le imbosctae sono aumentate fortmente, in vista delle elezioni” spiega il maresciallo Nicolini. Per il voto del 20 agosto che eleggerà il nuovo presidente afghano sono previsti 1089 seggi elettorali nel settore ovest del paese controllato dagli italiani. Almeno il 15% è a rischio. I seggi vengono ricavati in scuole e moschee ed i parà li hanno ispezionati tutti nell’ostica provincia di Farah. In alcuni casi neppure esistevano, in un villaggio gli afghani non avevano idea che ci fossero le elezioni e da altre parti non hanno trovato anima disposta a parlare del voto. La maggioranza dei seggi, però, sarà aperta con l’aiuto della Folgore. Fausto Biloslavo da base Tobruk, Afghanistan occidentale per Radio 24 Il Sole 24 ore

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13 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ La "tregua" di Bala Murghab
La vallata di Bala Murghab, nella provincia di Badghis, è il fronte nord dei soldati italiani schierati nell’Afghanistan occidentale. Da fine maggio i parà della Folgore hanno sostenuto 15 scontri costati una dozzina di feriti. I talebani uccisi sono diverse decine. Le storie di guerra dei parà del 183° reggimento Nembo si sprecano: ad Eduardo Donnantuono un proiettile di kalashnikov ha centrato l’elmetto. Quando è uscito dal blindato il suo volto era una maschera di sangue, ma la pallottola gli ha fatto solo un graffio sulla testa. Pochi millimetri più in là e sarebbe morto. Ad Alessandro Iosca, un parà romano di 23 anni, un proiettile ha bucato il braccio. Si è rimesso in sesto è tornato in prima linea a Bala Murghab con la sua unità. Dopo due mesi e mezzo di aspri combattimenti gli anziani dei villaggi hanno convinto il governo afghano ed i talebani a concordare la “nafaq.”. Una specie di tregua in vista delle elezioni. L’esercito afghano si è ritirato ed i talebani hanno smesso di attaccare gli italiani. Il comandante dei parà di Bala Murghab, colonnello Marco Tuzzolino, però, preferisce parlare di “pausa operativa”. Sul voto per le presidenziali e provinciali del 20 agosto, Nimatullah, capo villaggio vicino agli insorti, con il barbone nero come la pece, assicura che dei 33 seggi previsti almeno 27 apriranno regolarmente. Quasi tutti nelle zone controllate dai talebani. Fausto Biloslavo Afghanistan occidentale per Radio 24 Il Sole 24 ore

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21 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ I primi risultati nel distretto di Bala Baluk
L’Afghanistan ha vinto la “battaglia” per il voto”. Anche nelle zone più a rischio, come la provincia di Farah, i talebani non sono riusciti a far saltare in aria le elezioni. Nonostante molti seggi siano rimasti chiusi. I primi conteggi indicano che gli afghani, nella zona calda di Bala Baluk, hanno votato per il presidente in carica Hamid Karzai. La sicurezza garantita dai paracadutisti della Folgore è stata determinante. I baschi amaranto della 6° compagnia Grifi presidiavano a distanza i soli 5 seggi aperti su 30 del turbolento distretto. Dove hanno votato 862 afghani. Ben oltre la metà, 569, per Karzai. Secondo, con 121 voti, il rivale pasthun del presidente in carica Ashraf Ghani Ahmadzai. Seguito dal tajiko Abdullah Abdullah con 105 voti. Frozan Fana, candidata donna, ha ottenuto 2 voti in un’area dove esiste solo il burqa. Si è votato anche a Chakab. Non un paesino qualunque, ma il villaggio dove è nato Said Ayub il governatore ombra degli insorti nella provincia di Farah. Centoventicinque elettori, su 600 registrati, hanno sfidato le minacce talebane andando a votare nella piccola moschea di Chakab. I voti per Karzai sfiorano il 90%. Comunque non è stata una passeggiata. Nelle ultime 36 ore nel settore occidentale dell’Afghanistan, comandato dal generale della Folgore, Rosario Castellano, sono stati registrati 22 attacchi. Compresi tre razzi lanciati contro Tobruk, la base avanzata italiana a Bala Baluk. Il più vicino è esploso a 150 metri da una torretta di sorveglianza. Fausto Biloslavo da base Tobruk, provincia di Farah Per Gr24 il sole 24 ore

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10 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ Base Tobruk
Visori notturni e musica a palla nei blindati Lince del convoglio diretto a base Tobruk, nella famigerata provincia di Farah. Il fortino più avanzato sul fronte sud dello schieramento italiano nell’Afghanistan occidentale. Il pericolo, anche di notte, sono le trappole esplosive piazzate lungo le poche strade asfaltate. Un piatto di pressione che attiva l’ordigno al passaggio del blindato o un radiocomando, anche un semplice telefonino, e salti in aria. I ragazzi della 6° compagnia Grifi confidano in San Michele, protettore dei paracadutisti e negli inibitori di segnale montati sui blindati. A dieci giorni dalle cruciali elezioni presidenziali del 20 agosto l’avamposto Tobruk è in prima linea per garantire la sicurezza del voto in una delle aree più pericolose dell’Afghansitan. Bala Baluk e Shewan, a pochi chilometri di distanza sono roccaforti dei talebani e dei combattenti stranieri della guerra santa internazionale. I seggi elettorali in quest’area dovrebbero essere un a trentina, ma non è ancora chiaro quanti saranno effettivamente aperti il giorno delle elezioni. “Verranno sicuramente ridotti per motivi di sicurezza – conferma il capitano Gianluca Simonelli comandante di base Tobruk – ma ci stiamo organizzando con l’esercito afghano e la polizia per garantire il diritto di voto anche nelle zone più calde. I talebani non la faranno da padroni”. Fausto Biloslavo da base Tobruk, Afghanistan occidentale

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