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Reportage
11 settembre 2009 - Esteri - Afghanistan - Il Foglio
La lunga strada dopo l'11/9
di Fausto Biloslavo
Bala Baluk (Base Tobruk). “Capitano:
un razzo, un razzo…” urla il caporal
maggiore capo Carlo Aringhieri in mezzo
al caos della battaglia. “Avevo appena
visto un talebano che si stava piazzando
per tirarcelo addosso con un
Rpg. Un attimo dopo il razzo è arrivato
con un boato. E’ scoppiato contro la casa
dove eravamo asserragliati” racconta
il parà del primo plotone Nembo.
Trentaquattro anni, barba rossiccia, occhi
chiari ha i muscoli di un vichingo.
In realtà è una persona normale con a
casa una moglie e un figlio che lo aspettano
in provincia di Livorno. “Andrea
farà 5 anni il 28 ottobre spero di essere
tornato in Italia per il suo compleanno.
La mia signora è siciliana, sangue caldo.
Mi dice sempre che è gelosa della
Folgore” spiega il sottufficiale. Sul cappellino
color sabbia ha scritto “Ringhio”,
il suo nome di battaglia. Il 25 luglio,
con il primo plotone Nembo della
6° compagnia Grifi, gli hanno ordinato
di andare a tirare fuori dai guai alcuni
bersaglieri inchiodati dal fuoco dei talebani.
Da El Alamein all’ostica provincia
afghana di Farah “la sabbia è sempre
la stessa” dicono i parà.
Quella mattina, alle 7.40, sono accolti
da una pioggia di mortai mentre avanzano
verso la roccaforte talebana di
Shewan in cerca di un deposito di armi.
Un bersagliere rimane ferito, ma lo
scontro più duro scoppia fra le case del
villaggio abbandonate dai civili. “A 200
metri da noi c’era un muro alto come
una persona – racconta “Ringhio” – Una
cinquantina di insorti ci sparavano addosso
all’impazzata con sventagliate di
kalashnikov, che sollevavano sopra il riparo.
Quando tiravano fuori la testa cercavamo
di colpirli”. I parà, armati di fucili
di precisione inquadrano il nemico
con il turbante nero e premono il grilletto.
“Ne abbiamo visti cadere diversi. In
momenti del genere pensi solo mors tua
vita mea, ma poi quelle immagini ti rimangono
stampate nel cervello. Non te
le dimentichi per tutta la vita”. La casupola
con le pareti in fango e paglia dove
sono intrappolati i bersaglieri viene
scossa come un fuscello dai razzi dei talebani.
“Continuavano a tirarci addosso.
Allora prendo il Panzerfaust me lo piazzo
in spalla e faccio fuoco aprendo una
breccia nel muro che serviva da riparo
agli insorti” ricorda Aringhieri. La battaglia
continua con gli elicotteri Mangusta
che attaccano dal cielo le postazioni
talebane. A Shewan comanda mullah
Sultan, un ex prigioniero di Guantanamo
tornato a infiammare la guerra santa
nella provincia di Farah al comando
di 300 insorti. Suo figlio li guida in battaglia
nel grande villaggio lungo la statale
517, soprannominata l’autostrada per
l’inferno. Ogni volta che ci passi finisci
su una trappola esplosiva o in un’imboscata.
A Shewan i talebani hanno scavato
gallerie e camminamenti che collegano
le postazioni, spesso annidate fra le
case con il rinforzo di sacchetti di sabbia.
Alcuni cunicoli, lunghi fino a 400
metri, spuntano all’aperto fuori dalla
roccaforte e servono come via di fuga.
“Mi colpisce come vanno incontro alla
morte. In Afghanistan sto facendo il
mio dovere e so che pure io potrei non
tornare, ma penso sempre al dopo, a una
casa, a costruirmi una famiglia con la
mia ragazza, Lucia. I talebani combattono
come se non avessero futuro” spiega
il primo caporal maggiore Gianluca Miola,
28 anni, di Taranto. Anche lui dei Grifi,
la compagnia del 187° reggimento Folgore
che conosce un solo motto: “Impavidi
e bestiali”. Poco più di 100 ragazzi
sotto le tende di base Tobruk, 140 metri
per 40, nel distretto di Bala Baluk infestato
dagli insorti. Alla mattina quando
le “zanzare”, gli elicotteri che fanno la
spola con il caposaldo avanzato, sorvolano
la base sollevando la sabbia del deserto
sembra un film. Il paesaggio attorno
è lunare: la Ring road, una striscia
d’asfalto che sembra perdersi nel nulla,
i resti di una vecchia base sovietica con
gli edifici ridotti a una groviera da anni
di guerra e l’assurda piscina vuota, con
tanto di trampolino in una specie di resort
abbandonato. Con una media di 50
gradi, che quasi ti soffocano, i parà escono
ogni giorno per strappare ai talebani
il controllo del territorio. “Siamo sopravvissuti
a un paio di battaglie, sette
bombardamenti con razzi o colpi di mortaio
e le trappole esplosive. I feriti sono
stati una decina” sottolinea il capitano
Gianluca Simonelli. Barba appena accennata,
31 anni di Roma, è il comandante
della compagnia. Il 27 giugno un
blindato Lince è saltato in aria su uno
Ied, il nome in gergo per le trappole
esplosive. “Al momento del botto ti senti
volare ed entri in una specie di tunnel.
Le orecchie ti fischiano senti l’odore
di bruciato e il sapore di zolfo che ti
entra in bocca, il sapore dello Ied”. Ringhio
parla come se rivivesse le “urla dell’uomo
in ralla”, il parà in torretta con il
dito sul grilletto della mitragliatrice. Il
più esposto con metà del corpo fuori
dalla botola del veicolo d’acciaio di 12
tonnellate, che si è alzato da terra come
un grissino. Per poi ripiombare giù con
il peso di un macigno, mentre tergicristalli,
taniche, pezzi di pneumatico volano
dappertutto. E nell’abitacolo corazzato
ci si tocca l’uno con l’altro, le gambe e
le braccia per controllare di essere ancora
interi. Il parà che era in ralla grida
di dolore: “La schiena, la schiena”, ma
sopravviverà senza conseguenze. Infine
la voce alla radio, che fa tirare un sospiro
di sollievo al resto del plotone: “Qui
Ringhio tutto a posto. Siamo vivi”. I ragazzi
saltati in aria a Bala Baluk ricordano
un particolare: “Alessandro aveva
un rosario di padre Pio. Prima di uscire,
il giorno della trappola esplosiva, ci ha
invitato a baciarlo dicendo: non si sa
mai”. Non a caso su
Facebook è nato il
gruppo “Santo Lince”.
Michele Pessolano,
32 anni, veterano
delle missioni all’estero
della Folgore,
che in Afghanistan
c’è già stato, nel 2003
a Khowst, vicino al
confine pachistano.
E’ “un vecchio”.
“Ero sul mezzo davanti
quando ho sentito
il tonfo dello Ied.
Una volta tornato indietro
mi sono reso
conto che avevamo
schivato la trappola
esplosiva di un centimetro”
racconta il
caporal maggiore capo.
Sul braccio ha
tatuato san Michele, protettore dei paracadutisti,
con alcune aggiunte: elmo
spartano, armatura da legionario e mantello
dei visigoti. Fra le tende di base Tobruk
circola la versione remixata della
colonna sonora del film “Il Gladiatore”.
Nelle cuffiette degli iPod la voce del generale
Massimo Decimo Meridio tuona
a ritmo di musica: “Al mio ordine scatenate
l’inferno”.
L’11 giugno i parà della compagnia
Grifi l’inferno l’hanno provato sulla loro
pelle. In colonna con l’Ana, l’esercito afghano,
escono sulla famigerata 517. Il
primo razzo colpisce un pick up e i soldatini
afghani saltano in aria come marionette
senza fili. I talebani scatenano
l’attacco con fuoco prolungato. Alla radio
una voce urla “attenzione a destra, a
sinistra” e alla fine “sono ovunque”. Alcuni
arrampicati sugli alberi, altri dietro
ai muretti, i più vicini a una cinquantina
di metri. Sembra quasi che da un momento
all’altro gli insorti possano assaltare
i mezzi italiani. “Sparavo, sparavo
fino a quando ho dovuto cambiare la
canna della mitragliatrice Mg perché
era rovente” racconta il caporal maggiore
Daniele Errico, 28 anni, della provincia
di Brindisi. Non dimenticherà mai
“quel talebano vestito di nero, turbante
e barba che ci tirava addosso. Si abbassava
dietro un muretto,
poi si rialzava
e sparava, come se
non avesse la minima
paura del nostro
volume di fuoco”. I
proiettili da 12,7 millimetri
delle Browning
colpiscono decine
di talebani, ma
quelli non desistono.
La colonna è inchiodata
nel campo
di tiro di 150 guerriglieri.
Una pallottola
buca la cassetta
delle munizioni di
Errico. “I colpi dentro
esplodono – spiega
il parà con gli occhi
azzurri con ancora
una piccola
scheggia nel braccio
– Quello che resta
del proiettile talebano rimbalzato sulla
cassetta l’ho trovato a battaglia finita
dentro la giubba mimetica. Da quel giorno
lo tengo sempre in tasca”. Un mitragliere
fortunato, ma durante i 28 minuti
di furiosa battaglia una bomba di mortaio
colpisce il Lince del sergente Stefano
Taggiasco. La granata esplode fra il
bagagliaio non blindato e la ruota di
scorta. Le schegge investono Tommaso
Angelini, che risponde al fuoco dei talebani
attaccato alla mitragliatrice sulla
torretta del mezzo. Il primo caporal maggiore
Fabio Saggiu, 24 anni, è al volante
del blindato e guarda nello specchietto
retrovisore: “Vedo un cadavere a terra,
in una pozza di sangue. Penso che sia il
corpo di Tommaso sbalzato dal mezzo
per l’esplosione. Il sergente mi ordina di
andare avanti. Sembra di vivere le scene
di un dvd impazzito e mi chiedo, ma
perché lo lasciamo lì?”. Invece il ferito è
crollato dentro il blindato e inizia a gridare:
“Ho perso la mano”. Una scheggia
l’ha quasi tagliata a metà, ma è vivo anche
se butta sangue dappertutto. “Il
morto che avevo visto era dell’esercito
afghano – racconta Fabio – Provavo
pietà per lui, ma allo stesso tempo ho
ringraziato il cielo che Tommaso fosse
vivo. Ce l’avevamo fatta: tutti per uno,
uno per tutti”.
L’11 giugno c’è chi ha pensato al figlio
che stava per nascere e chi non sapeva
cosa dire quando un bambino di nove
anni ha chiesto al padre “oggi i talebani
vi hanno attaccato?”. Il sergente Taggiasco
ha realizzato dopo, sotto una doccia
a base Tobruk, che cosa era successo:
“Siamo stati bravi, ma anche fortunati”.
Ligure, 31 anni, ha le idee chiare sul mestiere
del soldato e la missione in Afghanistan.
“Prendiamo 133,40 euro al giorno
per rischiare la vita. Chi lo fa soltanto
per la paga è un fallito. Un operaio specializzato
guadagna come noi e alla sera
torna a casa” osserva il sergente nella
piccola oasi d’ombra ricavata accanto alla
tenda. “In questi posti si diventa fratelli.
Si crea una sorta di seconda famiglia
– spiega Taggiasco – Quando torniamo
in Italia siamo il diversivo di una serata
per gli amici. Un disco che racconta
il conflitto in Afghanistan, ma alla fine
interessa poco, si stufano e se ne dimenticano”.
“Parliamoci chiaro: dopo
l’11 settembre questa è una battaglia
fondamentale per l’occidente – spiega
senza peli sulla lingua il sergente – Se
poi gli afghani abbracciano la democrazia
bene, ma non dimentichiamo che in questo deserto corre la prima linea di
difesa del nostro mondo”.
Un fronte, quello della provincia di
Farah, dove il 14 luglio è caduto Alessandro
Di Lisio, 25 anni, dell’8° reggimento
guastatori paracadutisti di Legnago.
La bandiera della 22° compagnia Angeli
neri è a mezz’asta a campo El Alamein,
una fornace a cielo aperto alla periferia
di Farah, il capoluogo provinciale.
Alessandro era uno degli “occhi” della
squadra “combat” di ricognizione
avanzata, che dà la caccia alle trappole
esplosive e ai trabocchetti dei talebani.
La squadra verrà ribattezzata Ares, il
dio della guerra, in ricordo del parà caduto.
Prima della missione Alessandro
aveva rotto con la fidanzata, lei non voleva
che partisse per l’Afghanistan.
Il destino ha riservato una sorte diversa
ai tre parà della 4° compagnia Falchi
– motto: “Non conosco l’impossibile”
– finiti nel mirino di un attacco suicida.
Nel primo pomeriggio del 3 luglio il caporal
maggiore Davide Grasso, 27 anni,
di Acireale, era al volante del suo Lince
alla periferia della città di Shindad.
“Nel mezzo davanti a noi l’uomo in ralla
ha intimato l’alt ad un minivan carico di
sacchi. Il guidatore era vestito di bianco
e ha accostato – racconta il miracolato –
Giunto alla sua altezza, a 60 chilometri
orari, ho sterzato per allargare, come da
procedura, e lui si è fatto saltare in aria.
Ricordo un fragoroso taboom e il fumo
grigio che ha subito avvolto il blindato”.
Il Lince si sbilancia avanzando su due
ruote, poi ruota di 180 gradi e si ribalta
sul fianco strisciando all’indietro. “Ho
visto la fiammata giallognola dell’esplosione.
I pezzi del minivan sono volati
dappertutto e le budella dell’attentatore
sono finite spiaccicate sul nostro parabrezza”
racconta il caporal maggiore capo
Alessio Leoni. Trent’anni, della provincia
di Sassari, era a bordo del mezzo
che seguiva. Nel Lince ribaltato il tenente
Michele Mascolo, 25 anni, foggiano,
non riesce ad uscire. Il rallista è salvo
perché al momento della sterzata vicino
al terrorista si è infilato a “tartaruga”
nell’abitacolo. A parte qualche escoriazione
nessuno è ferito, ma scoppia un incendio
nel vano motore. I parà intervengono
con gli estintori e anche il tenente
viene tirato fuori incolume. Del kamikaze
è rimasto solo un piede, che un cane
stava portandosi via e la spina dorsale
schizzata a 150 metri. Per sdrammatizzare
i sopravvissuti all’attentato hanno soprannominato
il terrorista “Jonathan”,
come il figlio Pierino di una famiglia sfigata
visto in un programma comico su
Antenna Sicilia”.
Il 20 agosto, il giorno delle elezioni
presidenziali in Afghanistan, i Falchi
combattono a fianco dei bersaglieri. I talebani
sparano dai tetti del villaggio di
Pust i Rod. Via radio si sentono le fasi
concitate dello scontro. I parà chiamano
l’appoggio aereo e i piloti dei caccia inquadrano
le sorgenti di fuoco. Dal comando
non è concessa l’autorizzazione a
bombardare per evitare vittime civili.
Saggia decisione anche se i talebani sono
abili ad utilizzare la gente dei villaggi
come scudi umani. Il conflitto in Afghanistan
è spietato e insidioso.

video
01 ottobre 2019 | Tg4 | reportage
I talebani alle porte di Kabul
GUERRA ALLE PORTE DI KABUL A Maidan Shahr, cinquanta chilometri da Kabul, la guerra con i talebani è senza esclusione di colpi L’artiglieria di fabbricazione russa dell’esercito afghano martella le postazioni dei talebani che controllano l’entroterra Il comandante della quarta brigata spiega che è stata individuata una base del nemico, dushman ed i suoi esploratori confermano via radio che l’obiettivo è stato centrato e distrutto Non è semplice per gli occidentali arrivare a Maidan Shahr Nel capoluogo provinciale la polizia ci porta subito in un’operazione notturna Un avamposto governativo è sotto attacco e ha bisogno di fuoco di copertura Il generale che comanda la polizia del Wardak sostiene con orgoglio che i suoi uomini hanno eliminato 540 talebani negli ultimi sette mesi I numeri vanno presi con le pinze, ma anche l’esercito vuole farsi vedere attivo Il comandate intercetta le comunicazioni radio del nemico e ci scorta fino sulla prima linea appena a dieci chilometri da Maidan Shahr I governativi controllano il capoluogo e a malapena l’autostrada numero 1 I blindati avanzano e pochi minuti dopo arrivano i primi colpi Queste sono le immagini di un altro scontro il giorno prima La provincia di Wardak è la porta d’ingresso di Kabul infestata dai talebani

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19 novembre 2001 | Studio Aperto - Italia 1 | reportage
Uccisa Maria grazia Cutuli e altri tre giornalisti
Uccisa Maria grazia Cutuli e altri tre giornalisti

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25 novembre 2001 | TG5 - Canale 5 e Studio Aperto - Italia 1 | reportage
Il futuro governo dell'Afghanistan
Il futuro governo dell'Afghanistan

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[altri video]
radio

04 ottobre 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
10 anni di Radio24. UNO SPOT SULLA CADUTA DI KABUL
Il mio servizio dalla prima linea di Kabul dopo l'11 settembre 2001, come spot per i 10 anni di Radio24. Era il 4 ottobre del 1999 quando a Milano nasceva Radio 24, la prima emittente news&talk italiana. Informazione, attualità, intrattenimento, economia, cultura, con un'attenzione sempre costante alla voce degli ascoltatori: questa la formula di un successo confermato dagli oltre 4,8 milioni di ascoltatori alla settimana, come confermano i dati Audiradio, relativi al quarto bimestre 2009.

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20 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ La "battaglia" per il voto
L’Afghanistan ha vinto la “battaglia” per il voto” .Anche nelle zone più minacciate, come la provincia di Farah, i talebani non sono riusciti a far saltare le elezioni presidenziali e provinciali. L’aiuto dei paracadutisti della Folgore è stato determinante. I baschi amaranto della 6° compagnia Grifi sono partiti all’alba da Tobruk, la base avanzata italiana nel turbolento distretto di Bala Baluk. L’obiettivo del plotone Nembo è di garantire la sicurezza del seggio più a sud nel villaggio di Chakab. Non un paesino qualunque, ma il villaggio dove è nato Said Ayub il governatore ombra dei talebani nella provincia di Farah. Centoventicinque elettori hanno sfidato le minacce talebane andando a votare per il nuovo presidente nella piccola moschea di Chakab. Invece tre razzi sono stati lanciati contro base Tobruk. Il più vicino è esploso a 150 metri da una torretta di controllo del campo italiano. La battaglia più dura è scoppiata alle 11.30 ora afghana con un bombardamento di mortai su una colonna di bersaglieri partiti da Farh, il capoluogo provinciale. I fanti piumati hanno dovuto ripiegare, ma gli scontri sono continuati con i talebani che sparavano del villaggio di Pust i Rod. Il giorno delle elezioni e la notte precedente sono stati registrati 22 attacchi nel settore occidentale dell’Afghanistan comandato dal generale Rosario Castellano. Fausto Biloslavo da base Tobruk, provincia di Farah per Gr24 il sole 24 ore

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18 settembre 2009 | Radio Anch'io | intervento
Afghanistan
La sfida che non possiamo perdere
Perchè non possiamo perdere la sfida afghana e le dimenticanze di Emergency sulle vessazioni dei talebani

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13 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ La "tregua" di Bala Murghab
La vallata di Bala Murghab, nella provincia di Badghis, è il fronte nord dei soldati italiani schierati nell’Afghanistan occidentale. Da fine maggio i parà della Folgore hanno sostenuto 15 scontri costati una dozzina di feriti. I talebani uccisi sono diverse decine. Le storie di guerra dei parà del 183° reggimento Nembo si sprecano: ad Eduardo Donnantuono un proiettile di kalashnikov ha centrato l’elmetto. Quando è uscito dal blindato il suo volto era una maschera di sangue, ma la pallottola gli ha fatto solo un graffio sulla testa. Pochi millimetri più in là e sarebbe morto. Ad Alessandro Iosca, un parà romano di 23 anni, un proiettile ha bucato il braccio. Si è rimesso in sesto è tornato in prima linea a Bala Murghab con la sua unità. Dopo due mesi e mezzo di aspri combattimenti gli anziani dei villaggi hanno convinto il governo afghano ed i talebani a concordare la “nafaq.”. Una specie di tregua in vista delle elezioni. L’esercito afghano si è ritirato ed i talebani hanno smesso di attaccare gli italiani. Il comandante dei parà di Bala Murghab, colonnello Marco Tuzzolino, però, preferisce parlare di “pausa operativa”. Sul voto per le presidenziali e provinciali del 20 agosto, Nimatullah, capo villaggio vicino agli insorti, con il barbone nero come la pece, assicura che dei 33 seggi previsti almeno 27 apriranno regolarmente. Quasi tutti nelle zone controllate dai talebani. Fausto Biloslavo Afghanistan occidentale per Radio 24 Il Sole 24 ore

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18 settembre 2009 | Radio24 | intervento
Afghanistan
Morire per Kabul
Un intervento senza ipocrisie sull'Afghanistan dopo l'attentato che ha ucciso sei parà della Folgore.

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