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Speciale
08 ottobre 2009 - Esteri - Forze armate - Panorama
Professione soldato
In Afghanistan la tua seconda
pelle è il giubbotto
antiproiettile. Nella
neve o in mezzo a un deserto
puoi vivere il battesimo
del fuoco come in Lawrence
d’Arabia. In Libano o nei Balcani
costruisci un pozzo, una strada, o
regali un sorriso a un bambino che
l’ha perso sotto le bombe. Al largo
della Somalia, a bordo di una nave
da guerra, insegui i pirati. Ai comandi
di un caccia diventi un top gun,
come nei film di Hollywood.
Questo e altro è il mestiere del soldato
oggi, fra tecnologie avanzate e missioni
all’estero (vedere le storie di ufficiali
emergenti in queste pagine).
I soldati sanno che nelle missioni difficili
come quella in Afghanistan rischiano
la vita. Il 17 settembre sei militari, uccisi
in un attentato a Kabul, sono rientrati in
patria in una bara avvolta nel tricolore. Dagli
anni Sessanta sono 115 i soldati italiani
caduti in missioni all’estero: di questi
ben 47 hanno perso la vita in Iraq e in Afghanistan.
Il numero verde attivato dallo stato
maggiore dell’Esercito per le informazioni
alle famiglie sull’ultimo attacco terroristico
di Kabul è stato tempestato di telefonate.
Oltre 500 in poche ore, quando
non erano ancora stati resi noti i nomi dei
caduti. In molti, anche non più giovani,
chiedevano cosa dovessero fare per andare
in Afghanistan al fianco dei paracadutisti
della Folgore. Una reazione d’orgoglio
e di amor patrio simile all’impennata
degli arruolamenti dopo la strage di
Nassiriya. «Quando subiamo perdite gli italiani si stringono attorno alle forze
armate. Non solo, dopo l’attentato di
Kabul un sondaggio indicava che l’82 per
cento vuole regole d’ingaggio più aggressive.
In pratica ci invitano a fare ancora
di più il nostro dovere» sottolinea il generale
Massimo Fogari, capo della pubblica
informazione nello stato maggiore
della Difesa. «Per gli arruolamenti
l’aspetto positivo è che non ci sono flessioni
» fa notare l’alto ufficiale. «Sui media
tutti vedono i pericoli che si corrono
nelle missioni all’estero. Benché si rischi
la vita, i giovani sono sempre attratti dal
mestiere delle armi. Evidentemente non
si arruolano solo per la paga».
La vita non ha prezzo e tantomeno i
133,40 euro al giorno che guadagna la
truppa in Afghanistan. «Se ti piace girare
il mondo e non disdegni l’avventura,
arruolati nelle forze armate» dicono i reclutatori.
Basta essere giovani. Da una decina
d’anni anche le donne indossano la divisa. Con la paga del militare di
professione si riesce a comprare la prima
macchina, ad accendere un mutuo per la
casa o a mettere su una famiglia. Dopo
un anno da soldato si può cambiare idea.
Oppure scegliere la carriera militare per
studiare e imboccare uno stile di vita in
difesa del Paese.
Esercito, Marina e Aeronautica arruolano
circa 180 mila uomini, ai quali vanno
aggiunti 115 mila carabinieri. Con la
sospensione della leva nel 2005 le forze
armate professionali sono diventate una
realtà agile, su base esclusivamente volontaria,
proiettata verso qualità e tecnologia.
«Un giovane fra 18 e 25 anni può
entrare nelle forze armate con circa 850
euro al mese, oltre a vitto e alloggio garantiti.
Però il mestiere del soldato non
si fa solo per quello. Bisogna crederci ed
essere pronti a sacrifici». Parola del capitano
Valeria Giannandrè, che si occupa
di comunicazione presso lo stato maggiore
dell’Esercito. Fino al 2000 era
un’insegnante. «Subito dopo l’attentato
di Kabul il telefono non smetteva mai
di squillare» racconta il capitano. «Sull’onda
dell’emozione per i caduti molti
ci chiedevano come fare per arruolarsi e
andare in Afghanistan».
I bandi di arruolamento sono riaperti
dal 18 settembre. Ora è troppo presto per
capire la tendenza, ma nel 2003, dopo la
strage di Nassiriya, ci fu un’esplosione di
domande: 40 mila in tre mesi rispetto alle
24 mila dell’anno precedente.
Quest’anno le forze armate hanno bisogno
di 21.562 volontari, compresi 633
ufficiali. In tempi di crisi non guasta cominciare
come maresciallo, con 1.450 euro
al mese, o sottotenente, con una paga
di 1.550. Chi vuole compiere il primo
passo si arruola nella truppa per un anno
e poi può passare nelle forze di polizia.
Oppure, se preferisce, firma come volontario
per quattro anni. Per gli ufficiali si
fa domanda per il corso in accademia.
L’obiettivo è diventare «il leader del domani
», recita uno slogan del reclutamento.
La carriera non si basa solo sull’anzianità,
ma anche sul merito.
Il 65 per cento della truppa viene dall’Italia
meridionale, mentre il reclutamento
al Nord è fermo a poco meno dell’8
per cento. La Valle d’Aosta è in coda fra
le regioni. Pure il glorioso corpo degli alpini
soffre per i pochi volontari dall’Italia
settentrionale.
In pantaloncini neri e pettorina arancione
può capitare, d’estate, di incrociare
sulle spiagge ragazzi già arruolati che distribuiscono
materiale informativo sulle
forze armate. I giovani veterani delle missioni
nei Balcani o in Medio Oriente vanno
a parlare nelle scuole per raccontare le loro esperienze. Video promozionali vengono
proiettati prima dei film nei cinema.
Negli spot un ragazzo in maglietta
verde militare scala una parete con appigli
che si chiamano «impegno», «formazione
», «crescita» e «futuro». L’Aeronautica,
invece, «punta in alto» con due giovani
piloti, un uomo e una donna, che si
incrociano in palestra, poi si ritrovano in
volo fra le nuvole e alla fine del video decidono
se andare a ballare o a mangiare la
pizza. E la Marina fa entrare un ragazzo e
una ragazza, appena diplomati, nel palazzo
dello stato maggiore. Poi si aprono le
finestre e una polena, la figura femminile
sulla prua dei velieri, illustra con filmati
«un futuro a portata di mare».
«La forza armata è una comunità. Se un
giovane vuole scoprire un mondo di valori
e di spirito di servizio a favore della
nazione, si arruoli» ribadisce il capitano
Giannandrè.
Il colonnello Aldo Zizzo comanda il
186° reggimento Folgore a Kabul. Cinque
delle sei vittime del 17 settembre erano
suoi ragazzi. Diversi baschi amaranto
hanno tatuata sul braccio una frase della
preghiera dei paracadutisti. «Se è scritto
che cadiamo, sia!». E il colonnello risponde
con la frase successiva: «Ma da ogni
goccia del nostro sangue sorgano gagliardi
figli e fratelli…». Aggiunge: «Quando
ho perso i miei uomini, ho pensato subito
che bisogna andare avanti, anche se
non sono riuscito a riportarli tutti a casa.
Come comandante fa male, però la missione
continua. La sera stessa dell’attentato
metà del plotone di Antonio Fortunato,
uno dei caduti, era di nuovo fuori a
scortare del materiale verso l’aeroporto».
Dal 1999 c’è posto anche per le donne in
tutti gli incarichi compreso paracadutista,
pilota (18 su tutti gli aerei, compresi i cacciabombardieri)
o nelle truppe da sbarco.
«Sono circa 9 mila e la prima donna a diventare
generale dovrebbe arrivare verso il
2030» prevede il colonnello Maurizio Mattei
dallo stato maggiore della Difesa.
Per le missioni all’estero, soprattutto
nell’Esercito esiste anche la riserva selezionata.
Professionisti civili sono utilizzati
part-time con i gradi di ufficiale a
seconda dell’età. Medici, giornalisti, ingegneri,
architetti, avvocati, ma pure
esperti di storia, questioni etniche e religiose
vengono arruolati per i 4-6 mesi
di una missione. Lo scorso anno erano
130 su 500 ufficiali della riserva disponibili.
In Libano si occupano di pubblica
informazione, a Herat costruiscono
canali di irrigazione e nei Balcani aiutano
la popolazione. Tutti mantengono il
posto di lavoro in patria.
Le operazioni all’estero sono il maggiore
impegno delle nuove forze armate. In
questo momento ci sono circa 10 mila militari impegnati in 21 paesi diversi
con 33 missioni. La parte del leone
la fanno l’Afghanistan (3.100 uomini a
giugno), il Libano (2.470) e i Balcani
(2.405). I militari italiani sono presenti
anche in Congo, al confine fra India e Pakistan,
al largo della Somalia e in altri luoghi
esotici.
All’estero si rischia la pelle per garantire
la pace e la paga è più alta. Nell’area
balcanica la truppa guadagna 2.787 euro
al mese, in Afghanistan e Iraq 3.861
e in Libano 5.190, poiché la missione è
sotto la bandiera dell’Onu.
Gli stipendi degli ufficiali variano da
3.119 a 5.497 euro, secondo il teatro operativo,
mentre i generali sfiorano al massimo
i 6 mila euro, in Libano.
«Prendiamo 133,40 euro al giorno per
rischiare la vita. Chi lo fa solo per la paga
è un fallito. Un operaio specializzato
guadagna come noi e alla sera torna a casa
» spiega il sergente Stefano Taggiasco
della 6ª compagnia Grifi. Base Tobruk è
un avamposto da film nell’ostica provincia
di Farah, dove la «sabbia del deserto
afghano» dicono i parà «è come quella di
El Alamein». In Afghanistan sta arrivando
il cambio della brigata Sassari per un
turno di sei mesi. «In passato si viveva in
caserma aspettando una guerra che per
fortuna è rimasta sempre fredda» osserva
il colonnello Mattei. «Oggi, con le ottonove
brigate che ruotano sui teatri operativi,
i giovani militari hanno sempre lo
zaino e l’arma pronti per partire».