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Reportage
23 settembre 2010 - Fatti - Italia - Panorama
La mezzaluna a scacchi
“Insultano per provocare lo scontro, dandoci dei fascisti, dei razzisti, dei servi degli americani. E quando sono morti sei soldati italiani in un attentato a Kabul, nel settembre scorso, si sono messi a esultare urlando “Allah u akbar”. Scuote la testa Giampiero Longu, comandante della polizia penitenziaria nel carcere di Macomer, in mezzo alla Sardegna. Si riferisce ai detenuti della Sezione di alta sicurezza 2, dove sono isolati 17 islamici duri e puri coinvolti nel terrorismo internazionale. Fra questi c’è Adel Ben Mabrouk, uno dei tre tunisini ex prigionieri di Guantanamo che la Casa Bianca ha spedito in Italia.
Nelle carceri italiane sono 9.742 gli “ospiti” che si dichiarano musulmani, su circa 24 mila stranieri. In gran parte si tratta di delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre, ma il pericolo del radicalismo è sempre in agguato. Per questo motivo il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha deciso di concentrare l’ottantina di detenuti islamici con reati di terrorismo in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano.
Per la prima volta Panorama entra nell’istituto sardo dove corre la prima linea dell’Islam dietro le sbarre. L’ultima aggressione a una guardai è del 14 agosto. La sezione è un corridoio di piccole celle con le porte blindate. Un agente apre uno spioncino e un detenuto legato ad Al Qaeda ci guarda in cagnesco. Nel mese del Ramadan, il digiuno islamico terminato il 10 settembre, gli accusati di terrorismo hanno pregato nella zona d’aria: un rettangolo di cemento armato.
“Questa sezione è un carcere dentro il carcere, l’isolamento fa solo aumentare l’odio” sostiene Jamal Housni, un marocchino classe 1983, condannato a 7 anni perchè faceva parte di una cellula che reclutava volontari per la guerra santa nel nord dell’Iraq. Sbarbato, occhialini da intellettuale, si dice innocente: “Dopo l’11 settembre, gli islamici sono sotto tiro ovunque. Non sono un terrorista, come i fratelli in galera con me”. Jamal dovrebbe essere già libero perchè ha finito di scontare la pena, ma una volta fuori verrebbe espulso in Marocco, dove teme maltrattamenti e torture. “Voglio solo tornare a una vita normale” sostiene Housni “e finire il liceo scientifico”.
Oltre all’ex di Guantanamo è ospite a Macomer il convertito francese Raphael Gendron, arrestato a Bari l’11 novembre 2008 assieme all’imam Bassam Ayachi. Gendron ha assunto il nome islamico Abdel Raouf. Barba e capelli neri lunghi, sembra un Cristo musulmano che guida la preghiera nel torrido agosto sardo. Quando la pattuglia di integralisti arrivò, nel maggio 2009, la tensione rimase alta per un bel po’. I detenuti per terrorismo facevano pubblicare lettere di protesta su siti antagonisti in cui parlavano di Macomer come di una Guantanamo sarda. Lo stesso Housni ammette “di essere in contatto per posta con i fratelli nelle altre carceri e con le associazioni islamiche che si occupano dei detenuti musulmani in Francia e Gran Bretagna”.
Ora la situazione è migliorata, si è instaurato un dialogo, ma ogni tanto scoppia una scintilla come il giorno prima di Ferragosto. Il 15 doveva venire una parlamentare del Pd in visita, poi rimandata. Uno dei detenuti avrebbe dato un pugno a un agente e la reazione della polizia penitenziaria ha scatenato la protesta. Fra giornali bruciati, “Allah è grande”  e “battitura” delle sbarre, la sezione è diventata incandescente. Solo l’intervento negoziale del comandante Longu ha evitato il peggio, ma chi sgarra viene trasferito e sottoposto ad un regime ancora più duro. “Cerchiamo di concedere il possibile, come la saletta di svago trasformata in luogo di preghiera. Stiamo acquistando attrezzi da palestra, che ci hanno richiesto i detenuti per tenersi in forma. La tattica è di gettare acqua sul fuoco, ma nessuno di questi signori è dentro per reati di opinione” spiega Giovanni Monteverdi, direttore di Macomer. Nelle carceri ha vissuto fin dagli anni di piombo: “Il loro radicalismo mi ricorda, per certi aspetti, le Brigate rosse”.
I detenuti per terrorismo non permettono agli agenti di toccare il Corano, che ognuno possiede. Si sospetta che il libro sacro dell’Islam possa essere usato per nascondere pizzini. Una volta hanno inutilmente protestato per la croce al collo di un agente. “Alcuni non si fanno visitare dalle donne e volevano che le infermiere indossassero il velo” racconta Massimo D’Agostino, responsabile medico. Secondo l’arabista Sergio Bianchi, si tratta “di una polveriera. Ci vogliono corsi di formazione sull’Islam per la polizia penitenziaria, imam nelle carceri, come i cappellani cristiani, e mediatori culturali preparati”. Fondatore dell’ong Agenfor, ha scritto La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee, un rapporto di 364 pagine per la Commissione europea.
La stragrande maggioranza di islamici nelle carceri, compresa Macomer, è composta da detenuti comuni:  più numerosi sono i marocchini (5.249), seguiti da tunisini (3.167) e algerini (951), anche se non tutti si sono espressamente dichiarati musulmani. Nel penale di Padova sono oltre 150 quelli che seguono rigorosamente il Ramadan. L’amministrazione fornisce carne “halal”, secondo le regole islamiche. Non solo, in occasione del mese di digiuno un’aula scolastica è stata trasformata in temporanea moschea.
“La fede è una speranza, un appiglio a cui ci aggrappiamo. Invochiamo Allah per trovare la serenità e superare la dura prova del carcere” afferma Enhaji Abderrahman, un marocchino di 34 anni. In galera per omicidio, è un imam fai da te perchè conosce meglio degli altri il Corano. “La jihad in carcere è una battaglia dentro te stesso per migliorare e non cadere in tentazione” osserva Abderrahman, nella sua tunica color crema, dopo la preghiera con i compagni di cella. Sulla guerra in Iraq, Afghanistan e Palestina concordano “che è un diritto dei musulmani difendersi dagli occupanti”. Però Ibrahim Higal, un egiziano, condanna con fermezza i kamikaze: “Il Corano proibisce il suicidio. Piuttosto che ammazzare civili vadano a combattere a viso aperto con il kalashnikov in pugno”. Altri sostengono che “a Guantanamo ci sono anche innocenti”.
Cinzia Sattin, educatrice con gli occhi azzurri, ascolta le storie più terribili. A.W,, 25 anni, iracheno, dentro per reati legati alla droga, è arrivato da poco. “Mi ha raccontato della sua casa distrutta da un terrorista suicida. Sotto le macerie ha perso tutta la famiglia” informa la Sattin. “Appena chiudeva gli occhi mi diceva che si vedeva anche lui imbottito di tritolo e avrebbe voluto farsi saltare in aria”.
La casa circondariale di Rimini  è un porto di mare con 1.900 entrate e uscite l’anno. Per oltre metà i detenuti sono stranieri, 68 islamici osservanti. “Stiamo molto attenti a rispettare tutto l’anno il vitto musulmano e alla fine del Ramadan, il 10 settembre, c’è una festa con dolci e datteri” sottolinea Maria Benassi, direttrice con 28 anni di servizio. “Gli facciamo una “terapia femminile” scherza, ma non troppo. “Le infermiere sono tutte donne, come le insegnanti per i corsi scolastici”. Qui Jalal Trabelsi, tunisino, dice di “cercare rifugio nella preghiera”. E vive in cella con Besmir Metuelaj, un albanese che ha il fratello imam, ma non si genuflette verso la Mecca. Non sono mancati i fiori d’arancio, nella speranza di ottenere gli arresti domiciliari. Un tunisino ha sposato in carcere una ragazza di Ravenna. Al rito (civile) la direttrice ha fatto da testimone dello sposo.

video
18 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
L'Islam nelle carceri
Sono circa 10mila i detenuti musulmani nelle carceri italiane. Soprattutto marocchini, tunisini algerini, ma non manca qualche afghano o iracheno. Nella stragrande maggioranza delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre. Ma il pericolo del radicalismo islamico è sempre in agguato. Circa 80 detenuti musulmani con reati di terrorismo sono stati concentrati in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano. Queste immagini esclusive mostrano la preghiera verso la Mecca nella sezione di Alta sicurezza 2 del carcere sardo di Macomer. Dove sono isolati personaggi come il convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari nel 2008 e Adel Ben Mabrouk uno dei tre tunisini catturati in Afghanistan, internati a Guantanamo e mandati in Italia dalla Casa Bianca. “Ci insultano per provocare lo scontro dandoci dei fascisti, razzisti, servi degli americani. Una volta hanno esultato urlando Allah o Akbar, quando dei soldati italiani sono morti in un attentato in Afghanistan” denunciano gli agenti della polizia penitenziaria. Nel carcere penale di Padova sono un centinaio i detenuti comuni musulmani che seguono le regole islamiche guidati dall’Imam fai da te Enhaji Abderrahman Fra i detenuti comuni non mancano storie drammatiche di guerra come quella di un giovane iracheno raccontata dall’educatrice del carcere Cinzia Sattin, che ha l’incubo di saltare in aria come la sua famiglia a causa di un attacco suicida. L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione degli spazi per la preghiera e fornisce il vitto halal, secondo le regole musulmane. La fede nell’Islam serve a sopportare la detenzione. Molti condannano il terrorismo, ma c’è anche dell’altro....

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radio

25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.

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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

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